lunedì 22 dicembre 2025

LEGGENDA NATALIZIA -


Nell’estremo sud della Basilicata, là dove sorge  Monte Pollino, c’ era una grotta disponibile  per un miracolo particolare. Molto particolare. Nonostante il nome affibbiatole - Grotta di Gesù e Maria – essa nascondeva non  Gesù Bambino ma un tesoro favoloso. Favoloso assai! Una grande pietra ne sigillava l’ingresso.  Non c’erano guardie a vigilare perché tale pietra rotolava su se stessa soltanto una volta l’anno lasciando libero l’accesso  alla grotta. Avveniva durante la notte di Natale. In vari anni più di un individuo,  reso coraggioso dall’ avidità, provò a impossessarsi di tale tesoro. Ma esso era interrato e quindi bisognava scavare per prenderlo. Scavare al buio però in quanto anche la luce di una tenue fiammella avrebbe reso vano  il tentativo.  Se lo scavatore non finiva prima del suono della campana di mezzanotte – ora della nascita del Bambinello – la grande pietra rotolava su se stessa e chiudeva l’imbocco della grotta intrappolando  l’avido speranzoso.                                                                                                                                                                              Ma venne una sera  in cui un furbone si mise d’accordo col sagrestano…  E così le campane non suonarono a mezzanotte ma un’ora dopo, all’una. Giusto il tempo perché il furbone venisse  “miracolato”. Cioè diventasse ricco… Però  non si dimenticò del sagrestano infedele.

L’avidità e la corruzione fioriscono  anche a Natale.             

(fonte: Comprensorio di Viggianello [PZ])

 



martedì 16 dicembre 2025

KEGGENDA NATALIZIA LUCANA\

 

 


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 LEGGENDA  NATALIZIA  LUCANA – Nella grotta di Betlemme Maria allattava il Bambino. Le sue mammelle erano però tanto  piene che anche dopo la poppata il latte continuava a fluire. Con pazienza, Maria lo raccoglieva in una tovaglia. Ma ci fu un momento in cui Lei si distrasse e una goccia di latte fini per terra. Una rondine  piena di freddo e di fame scese in picchiata per raccoglierla col becco  e ingoiarla ma si bloccò… Quella goccia non era sua! Spiccò allora il volo verso l’ alto e là in cielo la consegnò a Dio. padrone di tutte le cose. Dio raccolse la goccia nel cavo della mano,  ci soffiò sopra e la lanciò nel cielo buio. La goccia cominciò a vagare per il cielo e più avanti andava e più lasciava dietro di se una scia luminosa fatta di tante altre gocce.                  E così furono le !                                                                                                                       Stretto Stretto tra  le braccia, Maria portò il Bambino sulla soglia della grotta perché  si incantasse a guardare  quel luminoso fiume di latte. Poi, sorridendo con amore di madre, Gli disse: ‘fa’ che lungo questo fiume  le anime si incamminino verso il Paradiso.’


mercoledì 26 novembre 2025

COMPLEANNOI

 

Sono nato il 27 novembre. Mi hanno registrato il giorno dopo e da allora per la carta d’identità sono nato il 28. Che fa? E’ solo un giorno di differenza.
Mia madre mi ha raccontato che erano le 15 di una domenica piovosa. Perciò da fuori non arrivava nessun rumore di passi o un richiamo. Dentro casa però c’erano le urla del travaglio mischiate alle parole delle cinque mie zie, sorelle tra loro lì a suggerire confortare incoraggiare a farmi venir fuori. Io però resistevo: dentro stavo così bene al calduccio! Ma il tepo era scaduto e “dovevo” uscire e uscendo strillai forte. Subito zia Lucia, la acida, fu perentoria: ‘strilla per avvisare la morte di essere arrivato nel mondo.’ Zia Filomena, la mite, la zitti con un ‘non si nomina quella là in faccia a una creatura’. La giovincella zia Letizia, fanatica della Madonna, mi guardò incuriosita: ‘perché invece di piangere non parla subito?’ Zia Felicita, che segretamente scriveva poesie, le rispose: ‘non parla subito per non dire che cosa ha visto in paradiso, dopo se lo dimentica’. Zia Carmela, la primogenita e quindi la più anziana, mi immerse in un catino di vino rosso per lavarmi augurando: ‘cresci forte forte, figlio mio!’ e mi appese al collo una catenina d’oro con un cornetto di corallo per non permettere al malocchio di colpirmi.
Vecchi usi e vecchie parole di quando si partoriva in casa. 
 
P.S, -- Una volta cresciuto sono riuscito a resistere a tutto, fuorché alle tentazioni.

giovedì 20 novembre 2025

AMARCORD.3SICCITA'

 

 MARCORD.3 – SICCITA’– Ricordo alcune estati degli anni Cinquanta del secolo scorso in cui la canicola pareva far precipitare la fine delle cose e induceva a credere che non sarebbero tornate presto le nubi cariche d’acqua. Le fiumare si esaurivano, si attardavano sulle sabbie, inaridite in una luce giallognola, quasi bianca, tra i sparuti cespugli. E le donne coi barili facevano lunghe e pazienti code  davanti le fontane pubbliche. Arrivava la tristezza, a volte la disperazione. I contadini allora andavano  dal prete a reclamare una processione col Santo capace di scaricare le nubi gonfie d’acqua. E il Santo veniva  portato in giro per le campagne seguito da donne scalze, a volte a capo coperto di spine, ora gementi  ora a  gridare a Lui che se ai campi non veniva tolta la sete, loro e i loro figli sarebbero morti di fame. Pioveva? Bisognava aver fede!

Ogni paese lucano aveva il suo “santo della pioggia”. Forse bisognerebbe tornare a portarli in processione per  far riempire le dighe lucane… Loro però non possono  riparare la tubature dell’acquedotto che perde per strada il 70% dell’acqua (dato ‘Sole24 ore’). Il guaio è che non c’è più fede: i ‘santi della pioggia’ se ne stanno abbandonati e solitari nelle loro nicchie e nessuno li prega per convertire gli intoccabili della Regione al bene comune. Ci fosse almeno  un “assessore della pioggia”! Macché. Pazienza, tanto la pazienza  è una moneta lucana stabile, molto stabile…     Bisogna aver fede!...

mercoledì 12 novembre 2025

AMARCORD

 

AMARCORD – E’ novembre e ricordo che nel mio paese un tempo i funerali venivano celebrati secondo tariffa. Moriva in contadino. Lo vestivano col suo abito di nozze conservato per anni quindi si alzavano alte grida con colpi al petto e al proprio viso, strappi di capelli per le donne, con abbracci e baci di addio al morto con parole singhiozzanti e rimproveri dolci per aver tradito la famiglia andandosene. Seguiva una sommessa cantilena per raccontare quel poco di bello goduto e quel molto male patito in vita. Era il “pianto-elogio”, come lo si chiama in antropologia. Acuto intenso scomposto esso diventava all’arrivo del prete venuto a portarsi via per sempre quel povero Cristo senza speranza di resurrezione. 

Non si gridava, invece, nelle case dei “signori” (avvocati, medici, farmacisti). Il pianto c’era, ma era contenuto. Siccome bisognava lasciare in paese un buon ricordo del defunto, veniva chiamata e pagata, una prefica. E lei, abito nero,  voce squillante intonava una monodia straziante per narrare le buone azioni  compiute dalla “santa anima benedetta” anche se tutti sapevano che santa non era  stata e che davanti ad un cadavere vale anche la finzione.

Si formava il corteo funebre. Dalla sua composizione si capiva se era per un contadino o per un ‘signore’. Per il primo non si negava un solo prete e una semplice croce astile portata dal sagrestano. Il corteo per il ‘signore’ aveva corone di fiori, gli incappucciati della Confraternita della Buona Morte,  gli spauriti orfanelli dell’ orfanatrofio  e un po’ di preti in stola nera.

Anche in chiesa si notava la differenza.  Dipendeva dal quattrini “offerti” al parroco. Una messa cantata con tre preti e un finale  ‘Dies irae’ solenne, oppure soltanto un ‘requiescat in pace’ e l’aspersione della bara. Questo secondo era detto “funerale piccolo”. Quello “grande” prevedeva  anche l’addobbo con un gran numero di candele e di fiori intorno al catafalco, “machina mortis di spagnolesca memoria. 

Terminato il rito in latinorum, ci si incamminava verso il cimitero. Il corteo contadino era breve: casa-chiesa-cimitero per la via più breve; quello del ‘signore’ percorreva le stesse strade in cui si portava in processione la Madonna e il santo Patrono…

La livella non esisteva, almeno formalmente…