mercoledì 26 novembre 2025
COMPLEANNOI
giovedì 20 novembre 2025
AMARCORD.3SICCITA'
MARCORD.3 – SICCITA’– Ricordo alcune estati degli anni Cinquanta del secolo scorso in cui la canicola pareva far precipitare la fine delle cose e induceva a credere che non sarebbero tornate presto le nubi cariche d’acqua. Le fiumare si esaurivano, si attardavano sulle sabbie, inaridite in una luce giallognola, quasi bianca, tra i sparuti cespugli. E le donne coi barili facevano lunghe e pazienti code davanti le fontane pubbliche. Arrivava la tristezza, a volte la disperazione. I contadini allora andavano dal prete a reclamare una processione col Santo capace di scaricare le nubi gonfie d’acqua. E il Santo veniva portato in giro per le campagne seguito da donne scalze, a volte a capo coperto di spine, ora gementi ora a gridare a Lui che se ai campi non veniva tolta la sete, loro e i loro figli sarebbero morti di fame. Pioveva? Bisognava aver fede!
Ogni paese lucano aveva il suo “santo della pioggia”. Forse bisognerebbe tornare a portarli in processione per far riempire le dighe lucane… Loro però non possono riparare la tubature dell’acquedotto che perde per strada il 70% dell’acqua (dato ‘Sole24 ore’). Il guaio è che non c’è più fede: i ‘santi della pioggia’ se ne stanno abbandonati e solitari nelle loro nicchie e nessuno li prega per convertire gli intoccabili della Regione al bene comune. Ci fosse almeno un “assessore della pioggia”! Macché. Pazienza, tanto la pazienza è una moneta lucana stabile, molto stabile… Bisogna aver fede!...
mercoledì 12 novembre 2025
AMARCORD
AMARCORD – E’ novembre e ricordo che nel mio paese un tempo i funerali venivano celebrati secondo tariffa. Moriva in contadino. Lo vestivano col suo abito di nozze conservato per anni quindi si alzavano alte grida con colpi al petto e al proprio viso, strappi di capelli per le donne, con abbracci e baci di addio al morto con parole singhiozzanti e rimproveri dolci per aver tradito la famiglia andandosene. Seguiva una sommessa cantilena per raccontare quel poco di bello goduto e quel molto male patito in vita. Era il “pianto-elogio”, come lo si chiama in antropologia. Acuto intenso scomposto esso diventava all’arrivo del prete venuto a portarsi via per sempre quel povero Cristo senza speranza di resurrezione.
Non si gridava, invece, nelle case dei “signori” (avvocati, medici, farmacisti). Il pianto c’era, ma era contenuto. Siccome bisognava lasciare in paese un buon ricordo del defunto, veniva chiamata e pagata, una prefica. E lei, abito nero, voce squillante intonava una monodia straziante per narrare le buone azioni compiute dalla “santa anima benedetta” anche se tutti sapevano che santa non era stata e che davanti ad un cadavere vale anche la finzione.
Si formava il corteo funebre. Dalla sua composizione si capiva se era per un contadino o per un ‘signore’. Per il primo non si negava un solo prete e una semplice croce astile portata dal sagrestano. Il corteo per il ‘signore’ aveva corone di fiori, gli incappucciati della Confraternita della Buona Morte, gli spauriti orfanelli dell’ orfanatrofio e un po’ di preti in stola nera.
Anche in chiesa si notava la differenza. Dipendeva dal quattrini “offerti” al parroco. Una messa cantata con tre preti e un finale ‘Dies irae’ solenne, oppure soltanto un ‘requiescat in pace’ e l’aspersione della bara. Questo secondo era detto “funerale piccolo”. Quello “grande” prevedeva anche l’addobbo con un gran numero di candele e di fiori intorno al catafalco, “machina mortis di spagnolesca memoria.
Terminato il rito in latinorum, ci si incamminava verso il cimitero. Il corteo contadino era breve: casa-chiesa-cimitero per la via più breve; quello del ‘signore’ percorreva le stesse strade in cui si portava in processione la Madonna e il santo Patrono…
La livella non esisteva, almeno formalmente…
lunedì 10 novembre 2025
lucano
Mi è capitato di rileggere una nota di Giustino Fortunato sui Lucani:
“Bisogna aver vissuto lungamente in Basilicata per conoscere il senso di nostalgia, della povertà di colore e del silenzio rattristante delle sue terre, e intendere come possono seguire mesi e anni senza mai imbattersi in un viso aperto e giocondo. Anzi più che altrove, la malinconia del paesaggio si riflette colà d’ordinario nella mestizia degli abitanti, e, se frequente vi è il costume della vita solitaria, tutt’altro che raro è anche l’abito di appartarsi del tutto. Quante volte, tornato nei miei paesi l’autunno, e chiesto di un conoscente che più non vedevo, mi sentii dire, testualmente “s’è chiuso”
E’ cambiato qualcosa da quando è stata scritta questa nota? (sicuramente nella forma) . Sono perplesso…
(in “Antologia dei suoi scritti”, Bari 1948, p.18)
giovedì 6 novembre 2025
BABY GANG
In questo periodo di baby gang, di baby spaccio, di baby coltelli, e di baby …. Tante altre cose, mi è venuta in mente l’”ultima lettera al figlio” scritta dal grande poeta turco Nazim Hikmet: “Non vivere su questa terra / come un estraneo / o come un turista nella natura./ Vivi in questo mondo / come nella casa di tuo padre; credi al grano, alla terra, al mare / ma prima di tutto credi all’essere umano. / Ama le nuvole, le macchine, i libri / ma prima di tutto ama l’ essere umano. / Senti la tristezza del ramo che secca / dell’astro che si spegne / dell’animale ferito che rantola / ma prima di tutto / senti la tristezza e il dolore dell’ essere umano. / Ti diano gioia tutti i beni della terra; / l’ombra e la luce ti diano gioia / le quattro stagioni ti diano gioia / ma soprattutto, a piene mani / ti dia gioia l’ essere umano!”
Forse sono un idealista ma lasciatemi vivere nella speranza di una gioventù migliore.
lunedì 27 ottobre 2025
EMOZIONI
Non ho nostalgie del genere però ricordo quel desiderio di vivere emozioni nuove. Conoscevamo soltanto il dorso dell’asino. Le macchine erano fatte per gli avvocati e i “galantuomini” –. Arrivò la lambretta come fulmine a ciel sereno. Accese in noi giovani quel desiderio. Vivere l ’emozione della velocità! L’ebrezza di essere schiaffeggiati del vento! Il piacere di lasciarci dietro l’eco di quell’allegria nuova! Ci sentivamo simili agli dei in uscita dalle desolate abitudini del paese. Che c’importavano gli spicchi di parole dette e ridette dalla preoccupazione sofferta delle mamme apprensive? Il casco? Non sapevamo neppure cosa fosse.
Le risate ribelli ci immergevano nell’ebrezza …
lunedì 20 ottobre 2025
U CARRUZZ'
Ce l’ho fatta anch’io a costruire “u carruzz’” - così si chiamava al mio paese. Lo feci con due amichetti. Insieme andammo di mastro in mastro a elemosinare pezzi di legno avanzati e ormai inutili nelle loro botteghe di falegnami. Loro capivano e sorridevano. Qualcuno di loro ci dava anche qualche consiglio e ci prestava il martello. Già, il martello per battere i chiodi che uno di noi tirava fuori dalla tasca, rubati a suo padre bottaio. Ci scappava qualche parolaccia e pur una bestemmiuccia al colpo di martello sulle dita invece che sui chiodi. Avevamo comprato – comprato? diciamo pagato secondo i nostri risparmi snelli - le quattro ruote a cuscinetto. Che fatica sistemarli nei pioli! Vicino ai pioli inchiodammo pure la fune per farci da manubrio. La fune Franco l’aveva presa….be’ … l’ aveva tagliata a quella del campanile…(tanto che fa, c’erano le altre campane con le loro lunghe corde!).
Fatto! Evvia con “u caruzz’” per la discesa della chiesa dei Morti! Invincibili perché felici… Felici.
lunedì 6 ottobre 2025
POLLINO
lunedì 8 settembre 2025
EMOZIONE
martedì 2 settembre 2025
UNA NOTTE SUL MONTE DI VIGGIANO
– Stavamo seduti intorno al falò acceso dai contadini pellegrini sul sagrato del santuario montano. Le lingue di fuoco creavano ombre profonde sul volto di quell’ anziano parroco seduto accanto a me e come me seduto per terra. Con un fuscello smosse la brace per ravvivare il fuoco. Con voce sommessa volle concludere il nostro lungo colloquio iniziato nel pomeriggio, giù in paese: “Lasciami dire una cosa ma non ti dispiacere…Sei nato borghese, poi ha creduto di cambiare il mondo facendo il ’68, adesso sei un professore…” Sorrise ironico: “Mai convinto di ciò in cui credevi e mai mezze misure…, ora non sai che fare e vivi in solitudine…La solitudine dello spirito.…” Fissò il suo sguardo nel mio e aggiunse: “Come me.” Non mi sopresi a questa sua confessione pensando alle sue precedenti confidenze sul silenzio, la solitudine, l’incomprensione, la fatica che tante volte erano prevalse nella sua vita di prete e che, come spine, gli avevano lasciato il segno.
Volli essere cattivo: “Ci siamo arresi ad una stanza borghese in cui tenere tutto in ordine, pulire la polvere sulle piccole cose che l’arredano, mangiare, dormire, venerare i santi che ciascuno ha per sé.” Ebbe una occhiata furtiva verso la porta del santuario della sua Madonna Nera. “E’ sempre aperta”, disse e cavò dalla tasca la corona del rosario: “La nostra fede in Dio o… – esitò per un momento – o nella rivoluzione trova sempre meno aria da respirare e morire di asfissia è una brutta morte.” Il rosario nel cavo della sua mano era tenuto con la stessa amorosa attenzione con cui si trattiene un pugno di grano. I contadini pellegrini sedettero intorno al falò e con lui sussurrarono il rosario guardando spesso, sospirosi, verso quella porta sempre aperta…
….. successe tutto qualche decennio fa.








