lunedì 10 novembre 2025

lucano

 

             


Mi è capitato di rileggere una nota di Giustino Fortunato sui Lucani:

“Bisogna aver vissuto lungamente in Basilicata per conoscere il senso di nostalgia, della povertà di colore e del silenzio rattristante delle sue terre, e intendere come possono seguire mesi e anni senza mai imbattersi in un viso aperto e giocondo. Anzi più che altrove, la malinconia del paesaggio si riflette colà d’ordinario nella mestizia degli abitanti, e, se frequente vi è il costume della vita solitaria, tutt’altro che raro è anche l’abito di appartarsi del tutto. Quante volte, tornato nei miei paesi l’autunno, e chiesto di un conoscente  che più non vedevo, mi sentii dire, testualmente “s’è chiuso”

E’ cambiato qualcosa  da quando è stata scritta questa nota? (sicuramente nella forma) . Sono perplesso…

(in “Antologia dei suoi scritti”, Bari 1948, p.18)

giovedì 6 novembre 2025

BABY GANG

 


In questo periodo di baby gang, di baby spaccio,  di baby coltelli, e di baby ….  Tante altre cose,  mi è venuta in mente l’”ultima lettera al figlio” scritta dal grande poeta turco Nazim Hikmet:                                       “Non vivere su questa terra /  come un estraneo / o come un turista nella natura./ Vivi in questo mondo / come nella casa di tuo padre;  credi al grano, alla terra, al mare / ma prima di tutto credi all’essere umano. / Ama le nuvole, le macchine, i libri  /  ma prima di tutto ama l’ essere umano.   /   Senti la tristezza del ramo che secca  / dell’astro che si spegne  /  dell’animale ferito che rantola / ma prima di tutto  / senti la tristezza e il dolore dell’ essere umano.  / Ti diano gioia tutti i beni della terra; / l’ombra e la luce ti diano gioia / le quattro stagioni ti diano gioia  /  ma soprattutto, a piene mani / ti dia gioia l’ essere umano!”

Forse sono un idealista ma lasciatemi vivere nella speranza di una gioventù migliore.

lunedì 27 ottobre 2025

EMOZIONI

 

Non ho nostalgie del genere però ricordo quel  desiderio di vivere emozioni nuove. Conoscevamo soltanto il dorso dell’asino. Le macchine erano fatte per gli avvocati e i “galantuomini” –. Arrivò la lambretta come fulmine a ciel sereno. Accese in  noi giovani  quel desiderio. Vivere l ’emozione della velocità! L’ebrezza di essere schiaffeggiati del vento! Il piacere di lasciarci dietro l’eco di quell’allegria nuova!  Ci sentivamo simili agli dei in uscita dalle desolate abitudini del paese. Che c’importavano gli spicchi di parole  dette e ridette dalla preoccupazione sofferta delle mamme apprensive? Il casco? Non sapevamo neppure cosa fosse.

Le risate ribelli ci immergevano nell’ebrezza …

lunedì 20 ottobre 2025

U CARRUZZ'

 

Ce l’ho fatta anch’io a  costruire “u carruzz’” -  così si chiamava al mio paese. Lo feci con due amichetti. Insieme andammo di mastro in mastro a elemosinare pezzi di legno avanzati  e ormai inutili nelle loro botteghe di falegnami. Loro capivano e sorridevano. Qualcuno di loro ci dava anche qualche consiglio e ci prestava il martello. Già, il martello per battere i chiodi che uno di noi tirava fuori dalla tasca, rubati a suo padre bottaio. Ci scappava qualche parolaccia e pur una bestemmiuccia al colpo di martello sulle dita invece che sui chiodi. Avevamo comprato – comprato? diciamo pagato secondo i nostri risparmi snelli - le quattro ruote a cuscinetto. Che fatica sistemarli nei pioli! Vicino ai pioli inchiodammo pure la fune per farci da manubrio.  La fune Franco l’aveva presa….be’ … l’ aveva tagliata a quella  del campanile…(tanto che fa, c’erano le altre campane  con le loro lunghe corde!).

Fatto! Evvia con “u caruzz’” per la discesa  della chiesa dei Morti! Invincibili perché  felici… Felici.

lunedì 6 ottobre 2025

POLLINO

 Giorni fa sono stato a Viggianello, nel cuore del Pollino, per ricevere un Premio (alla carriera o di fine vita?...) assegnatomi dalla UNPLI BASILICATA (Unione Nazionale Pro Loco Italia). Percorrendo il Parco mi è venuto in mente che il mio primo libro scritto sulla Basilicata illustrava le quattro stagioni di questo parco. Fu alcuni decenni fa e la narrazione partiva dall’ autunno. Tornato a casa ho riletto l'incipit:

“La memoria del tempo d’estate già si consuma. I merli spauriti cessano di cantare. Le api fuggono la rugiada. […]. Le bacche rotolano sul terreno. Sussurrano i fiori prossimi a morire…Opachi gli alberi si logorano nella illusione di non vedere scheletrire i rami. E il verde delle foglie si stinge giorno dopo giorno mentre le intesse un ordito di porpora, ultimo sussulto d’amore della vita. Verrà presto il giallo, ombra spettrale in cui dissolversi. Il sole si dilegua sbiadito. Si aprono le nubi e urlano i lampi. Tace perfino l’ombra del lupo.”
 
Rileggendolo mi sono chiesto “ma ho scritto proprio cosi”? Peccati di gioventù….
 
 
(dal libro “Il Parco del Pollino”, testo mio e ph. di R. Palese, Federico Motta Editore, Milano)

lunedì 8 settembre 2025

EMOZIONE

 

50 ANNI E UNA EMZIONE! Si, proprio così. Stamani mi sono emozionato al ricordo che proprio 50 anni fa, a settembre del 1975, uscì il mio PRIMO libro. "Cultura e religione nel cinema", edizione ERI – l’editrice della RAI -. Tracciava un profilo della storia del cinema a soggetto religioso. Ed era il primo libro del genere ad uscire in Italia. Suscitò attenzione nella stampa (es. il quotidiano “Il Messaggero” di Roma mi dedicò una intera pagina; anche questa fu un’emozione: e poi “L’Osservatore Romano”, “Il Giornale”, eccetera. Ne conservo ancora i ritagli).
Fra i quattro profili di altrettanto registi famosi – Bergman, Bresson, Bunuel, Dreyer – amai soprattutto quest’ultimo per il suo rigore stilistico e gli struggenti e profondi significati dei suoi film.
Non voglio essere sentimentale ma consentitemi di considerare “caro” questo ricordo.

martedì 2 settembre 2025

UNA NOTTE SUL MONTE DI VIGGIANO

 

– Stavamo seduti  intorno al falò acceso dai contadini pellegrini sul sagrato del santuario montano. Le lingue di fuoco creavano ombre profonde  sul volto  di quell’ anziano parroco seduto accanto a me e come me seduto per terra. Con un fuscello smosse la brace per ravvivare il fuoco. Con voce sommessa volle concludere il nostro lungo colloquio iniziato nel pomeriggio, giù in paese: “Lasciami dire una cosa ma non ti dispiacere…Sei nato borghese, poi ha creduto di cambiare il mondo facendo il ’68, adesso sei un professore…” Sorrise ironico: “Mai convinto di ciò in cui credevi e mai  mezze misure…,  ora non sai che fare e vivi in solitudine…La solitudine dello spirito.…” Fissò il suo sguardo nel mio e aggiunse: “Come me.” Non mi sopresi a questa sua confessione pensando alle sue precedenti confidenze sul silenzio, la solitudine, l’incomprensione,  la fatica che tante volte erano prevalse nella sua vita di prete e che, come spine, gli avevano lasciato il  segno.

Volli essere cattivo:  “Ci siamo arresi ad una stanza borghese in cui tenere tutto in ordine, pulire la polvere sulle piccole cose che l’arredano, mangiare, dormire, venerare i santi che ciascuno ha per sé.”                                                                                                                                                                         Ebbe  una occhiata furtiva verso la  porta del santuario della sua Madonna Nera.  “E’ sempre aperta”, disse  e cavò  dalla tasca la corona del rosario: “La nostra fede in Dio o… – esitò per un momento – o nella rivoluzione  trova sempre meno aria da respirare e morire  di asfissia è una brutta morte.”                                                                                                                                                                                                Il rosario  nel cavo della sua mano era tenuto con la stessa amorosa attenzione con cui si trattiene un pugno di grano. I contadini pellegrini sedettero intorno al falò e con lui sussurrarono il rosario  guardando spesso, sospirosi, verso quella porta sempre aperta…

 

 

….. successe tutto qualche decennio fa.

sabato 23 agosto 2025

L'ALBERO DELLA CUCCAGNA

 

In questa diffusa febbre della “sagra” di un qualcosa per far “riscoprire” sapori antichi (da supermarket) e padri nobili (tutti signori medievali buoni) mi è capitato di assistere, in un paese di confine della Basilicata, a una “scalata” dell’albero della cuccagna, gioco in uso nel mondo contadino da cui tutti sono scappati  ma oggi  ripensato con una fasulla nostalgia da Eden perduto.

Prepotente mi è venuto un giulivo ricordo di….Di quando anch’io ci provai.   Avevo tredici anni. Prima ancora che agli adulti, anche a noi ragazzi era permesso  di provare a scalare per allungare la mano a quel ben di dio appeso  in cima. Lo permettevano per dare sfogo a noi sbruffoncelli  o  per farci assaporare la sconfitta? Chissà. Sapevamo che occorreva un certo vigore per farcela. Sapevamo pure di essere simili a quei tanti Ercole che vedevamo  nei film dell’epoca. Lui vinceva sempre!  E noi perché non  sfidare il bitume che ricopriva il tronco? Allora io e il mio amico Franco, convinti ed entusiasti, cominciammo a cospargere il tronco di segatura per creare attrito e inerpicarci meglio.  Ma quel  bitume vischioso  dopo due metri ci face scivolare giù col culo per terra. Impietoso. E  quelli intorno a ridere e fischiarci  fino a farci vergognare come mai provato prima (allora ancora non si usava applaudire comunque).   

Con  mani e vestito imbrattati di nero mi presentai a casa. Mia made si arrabbiò, pro forma direi. Mio padre sorrise…c’era passato anche lui.