Sono le ferie e in tanti scendono
al paese d’origine. Io l’ho lasciato 70 anni fa senza mai tornare. Sono rimasto altrove, a Roma soprattutto, pur se la mia sensibilità ha custodito l’intensità di essere lucano.Infatti ho mantenuto quei ricordi che si sono sedimentati più profondamente nella mia memoria. Appartengono a un altro universo temporale, ma conservo ancora i simboli che hanno riempito la mia infanzia con le sue fantastiche riderie; e quei simboli affettivi degli angoli del paese “scoperti” come porzione di un mondo fantastico e lontano. Innocenti suggestioni!
Davanti agli occhi della mente spesso mi tornano i colori dei campi e il verde intenso dei boschi del Vùlture. Mi torna la fornaia sotto Natale e Pasqua con in testa la tavola carica di biscotti appena cotti e generosi nel lasciare il loro profumo lungo le vie…E le stalle coi loro asini carichi di odori intensi e di fatica sempre uguali… E le urla dei maiali uccisi in casa, lancinanti ma fascinosi nel mettere allegria…E l’eco delle bestemmie dei contadini in cantina a sera per una partitella di pochi spiccioli. Un occhio alle carte e l’altro al piatto di trippa alla diavola per bere meglio il mezzo litro che li ringalluzziva.
Ed io quindicenne galletto al primo amore, Florinda. Mi fasciò il cuore di mille trine multicolori.
Tutto è ormai negli interstizi dei miei lunghi anni. Tra essi c’è anche l’osservazione/rimprovero di una cara amica, Maria Letizia, lombarda di “quel ramo del lago”: - Ma voi meridionali non cambiate mai sangue!? – Rimango ancora intatto col mio sangue pur senza scendere a Rionero alla ricerca del tempo perduto o da intellettualoide con un libro sottobraccio…
[il ricordo della
piazza di ieri, la stessa ammodernata…]
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