domenica 5 febbraio 2023

SANREMO 1951

L’adolescenza era appena iniziata e dentro di noi entrò ‘Grazie dei fiori’, ascoltata in diretta radiofonica del primo Festival di Sanremo. Raccolti intorno all’apparecchio, ascoltavamo in religioso silenzio e in gioiosa agitazione per le note nuove ben diverse dal rimbombo creato nelle nostre orecchie dall’ Anno Santo tanto strombazzato l’anno prima assieme alla santificazione di Maria Goretti, ragazzina uccisa per un no detto al vertiginoso desiderio di un ragazzo come noi. Ci avevano detto in continuazione di invocarla per preservare la purezza della nostra anima. Cosa significava, che non dovevamo più guardare le ragazzine? La risposta fu sempre la stessa: la purezza conserva l’anima bianca come un giglio. Si, ma come? Il pudore ancora in circolazione ci suggeriva generiche soluzioni: “con la preghiera”, insisteva il prete; “con le mani sempre sul banco o sul tavolo” dicevano con ironia a scuola; “tenendo sempre le mani pulite…”, alludeva il medico. Lo avremmo imparato col tempo, ci dissero le nostre nonne.
E lo imparammo, infatti: le canzoni di quel primo Festival ci fecero capire in musica che esistevano pochi amori felici e molti infelici, amori amati e amori traditi. Colpì la nostra fantasia di ragazzi sentire che in esse era sempre l’uomo a far soffrire la donna. Questo ci portò a concludere che quegli amori cantati da Nilla Pizzi e compagni non erano per niente puri come gigli. E in più, che l’amore faceva soffrire sempre la donna dal cuore innamorato e dalla lacrima facile … Era giusto che fosse così, “sono donne!” affermavano gli adulti che ci stavano intorno e noi finimmo per crederli
Per mesi i nostri sguardi di ragazzi si accesero nel ripetere quei motivi usciti dall’apparecchio radio che in quattro e quattr’otto ci avevano fatto capire che l’amore è sempre bello anche quando è infelice (per la donna) e che i gigli erano fatti per stare bene soltanto sugli altari…
Viva il Festival di Sanremo.

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