domenica 14 novembre 2010

PASOLINI ATTO SECONDO

La settimana scorsa concludevo la narrazione sui miei contatti con Pasolini dicendo che un nuovo incontro lo ebbi per caso al Gran Caffè di Potenza. Dopo i preamboli di rito, feci subito una domanda sugli esiti del suo viaggio in Palestina. La notizia l’ avevo appreso dai giornali. Non bene, disse. Aveva trovato molta modernità nei luoghi narrati dai Vangeli. I suoi abitanti erano troppo segnati dal benessere – riferiti ad Israele – e somaticamente troppo caratterizzati – riferiti ai Palestinesi - e perciò entrambi estranei all’idea che egli intendeva realizzare col film. Voleva invece volti antichi, arcaici, di poveri e di miseri che consentissero allo spettatore di risalire immediatamente a quella condizione umana universale dannata dei reietti ai quali Gesù aveva dato una speranza di giustizia sociale. Concluse: “Chi vedrà quei volti [al cinema] non dovrà identificarli con i poveri della Palestina, ma semplicemente con il povero, l’escluso “. Replicai che Gesù era venuto anche per dare una speranza di salvezza spirituale. Precisò che questo aspetto non gli interessava.
L’idea di visitare la Basilicata gli era stata suggerita da Carlo Levi perché qui avrebbe trovato volti senza tempo. Ma lui ora stava girando tutto il Sud per scegliere non soltanto i luoghi più adatti ma soprattutto per trovare i volti più giusti. Gli chiesi scherzando: “Vuole fare qualcosa di simile alla ‘Giovanna d’Arco’ di Dreyer, con soli volti?” “Non sono a quel livello, ma è un regista che amo”. E continuò dicendomi di aver appena visitato Matera. All’indomani si sarebbe recato a Barile. Non fece trapelare altro. Mi venne da suggerire: “Strada facendo, si fermi al castello di Lagopesole, può darsi che possa trovarlo utile in qualche modo. Sa, Federico II quando lo ampliò forse pensò alle strutture dei palazzi reali dell’antico Oriente” “Lagopesole?” chiese retoricamente a conferma della mia indicazione.
Durante il nostro colloquio, fatto quasi sottovoce perché io mi adeguai al suo modo di parlare, il cameriere dietro il banco del Gran Caffè si teneva a distanza con l’espressione di un perbenista schifato. Dentro la sua mente forse turbinava l’idea che la diversità dello scrittore e regista appartenesse alla più grande delle sporcizie di questo mondo. Alzai le sopracciglia dicendo “è questione di mentalità!”. Pasolini si passò l’indice sinistro sulle labbra come a voler trattenere un qualche commento.
Nei giorni successivi non seppi se fosse passato per il castello. Seppi invece che durante le riprese tra le cantine di Barile, divenute la Betlemme nel film, qualcuno della sezione del Partito Comunista di quel paese lo aveva messo alla porta perché “non volevano gente come lui” (cioè omosessuale). Tempo prima c’era stato l’ostracismo datogli a Roma dai dirigenti del Partito, proprio per lo stesso motivo. Certo, oggi, a Barile si parla con orgoglio di quella scelta del regista. E’ vero, i tempi cambiano, d’accordo, ma scrivere che egli venne accolto con grande considerazione dalla popolazione locale è davvero una mistificazione becera. Tuttavia, dopo anni di incertezze – “di riflessione”, dicono loro – il Comune gli ha intitolato una piazza.
A film realizzato, vidi che il regista aveva utilizzato il cortile di Castel Lagopesole come cortile del palazzo del Sinedrio, nel quale, intorno ad un fuoco, si era consumato il rinnegamento prima e il pianto di Pietro dopo.
Rividi Pasolini ad Assisi, alla Settimana del Cinema alla Cittadella. Era li per ritirare il premio assegnato al suo film dall’OCIC (Office Catholique International du Cinéma). Un premio prestigioso dunque e, data la circostanza, anche importante se si considera il giudizio cauto espresso dall’Osservatore Romano sulla pellicola (“fedele al racconto non all'ispirazione del Vangelo”) e il silenzio assoluto seguito alla proiezione del film ai vescovi partecipanti al Concilio Ecumenico Vaticano II avvenuta nell’auditorium di Via della Conciliazione. E poi ancora le molte polemiche di una parte del mondo cattolico. Le quali stranamente furono in sintonia con i critici della sinistra ufficiale - vedi la rivista ‘Rinascita’ e il quotidiano ‘L’Unità’ di quei giorni.
Altri incontri occasionali li ebbi alla Libreria Croce, presso piazza Argentina a Roma, luogo di presentazione di libri. L’ultima volta che lo sentii fu per telefono nel settembre del 1975. La mia chiamata seguiva quella del direttore generale della ERI, l’editrice della RAI. Entrambi lo invitavamo ad essere uno dei relatori di presentazione del mio libro ‘Cultura e religione nel cinema’. Era l’unico libro di storia dei film a tema religioso. Gli ripetetti il nome degli altri due relatori sui quali non fece una piega. Mi chiese un po’ di tempo per poter leggere le mie pagine. Dopo qualche giorno mi telefonò per assicurarmi la sua presenza il quindici di novembre successivo. Con impudenza giovanile chiesi se gli fosse piaciuto l’ampio capitolo su Dreyer. “E’ il più bello del suo libro”, si limitò a dire. Chiuso il telefono, feci un salto di contentezza.
Che si volse in tristezza rabbrividente e attossicante quando al mattino del tre novembre la radio annunciò il suo assassinio barbaro perché atroce. Tutto era consumato.

angelolucano.blogspot.com

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