domenica 3 ottobre 2010

LA DIPENDENZA


La memoria naturale! I greci la chiamavano “antitrophon di divinità” che vuol dire ‘equivalente di virtù alla divinità’ in quanto essa rende presente il passato ed è un’arma indispensabile per capire le cose minime. La definivano “naturale” perché fornita da madre natura, senza gli orpelli della cultura. In parallelo vi è poi la “memoria artificiosa”, cioè quella costruita da ciascuno acquisendo cultura. Entrambi le memorie determinano nell’uomo quel che accade per i vasi. Se riescono ad essere col collo stretto, saranno facili da riempire e difficili da svuotare. Se torniti con il collo largo verseranno facilmente quello che contengono. A questo seconda categoria appartengono gli uomini pacifici, i rozzi e gli uomini politici di paese (questa conclusione non è mia ma di Plutarco, filosofo antico).
L’augurio sarebbe che tutti gli uomini diventassero con il collo stretto. E’ che si sono di quelli che non lo avranno mai e si danno da fare per apparire diversi da quello che sono. Con quali mezzi? Plutarco è immediatamente impietoso: di solito fanno politica. Un altro mezzo è spiritosamente suggerito da un intellettuale di fine Cinquecento, Carlo Rosselli. Egli narra di un uomo del sud andato a Rimini per vendere castagne. Là si imbatte in una coppia di giovani donne che gli vendono due unguenti miracolosi: il primo - detto unguento della bellezza -, spargendolo sul corpo, lo rendeva più bello in quanto nascondeva le sue imperfezioni. Il secondo – detto “unguento di rogna” – andava sparso sulla testa ogni qualvolta si stava per parlare in pubblico. L’effetto conseguente era quello di dire cose sensate tali da apparire intelligente. L’uomo del sud li comprò “per dare gran trastullo a se stesso! Ma – annota Rosselli - si ebbe il fatto strano che tornato dai suoi parlò dei miracoli compiuti dagli unguenti; li amici suoi da subito capirono la frode delle ciurmatrici di Rimini, ma nulla dissero a lui e semmai ebbero parole di compiacenza per la sua rinnovata intelligenza che egli mostrava ora più grande ora più piccola a seconda della quantità dell’unguento usato nell’ungere la testa” (in Thesaurus artificiosae memoriae). Trovo esilarante questa nota che possiamo anche interpretare anche come un apologo di certi iniziative regionali recenti!
Memoria naturale più memoria artificiosa danno dunque quel tipo uomo che ognuno vorrebbe essere: istruito, capace di decidere, di promuovere iniziative, di non essere succube di questo o talaltro ‘padrone’. Ebbene, se riflettiamo sulla storia antropologica del nostro popolo lucano troviamo che la classe dirigente locale – soprattutto negli ultimi centocinquant’anni di Unità – ha fatto del tutto per fabbricare vasi dal collo largo. Fuor di metafora, ha creato una società di uomini da mantenere in uno stato di soggezione e di chiusura mentale nei quali la memoria “doveva” essere soltanto di carattere “naturale” – cioè istintiva e senza idee e perciò soggetta a qualcuno. Questa classe politica, anche quando aveva un grado minimo di cultura, doveva impomatarsi con l’unguento che gli dava il “boss” politico di turno. Si è verificato tutto ciò prima, durante e dopo il fascismo, con la democrazia cristiana, e purtroppo continua ancora oggi.
San Terremoto ha portato in Basilicata l’Università, poi è venuto il consumismo, poi si è fatta avanti la cultura della globalizzazione ma la fabbrica dei vasi dal collo largo NON è entrata in crisi.
O meglio, è entrata in crisi solo a metà. In giro vi sono oggi vasi dal collo stretto. Cioè gente che pensa col proprio cervello. Ma c’è da gioire solo a metà.
Guardiamoci intorno. Dovremmo vedere i consigliere regionali pensare, elaborare, attuare idee di governo utili al benessere della regione. Consapevoli di non averne, essi usano per la loro testa l’“unguento di rogna” , cioè molte parole e poche idee innovative (in termini politici intendo). Guardiamo il Governatore, ex democristiano che cammina sul filo rosso del passato uomo democristiano modellatore della Basilicata per cinquant’anni, e lo troviamo tornitore di vasi dal collo largo. Gli danno una mano i dirigenti (più i duemila consulenti esterni) cortigiani di professione mirabilmente accettati e singolarmente graditi. Fuori di metafora, nel loro laboratorio di potere politico-amministrativo operano insieme per perfezionare sempre meglio quello che da decenni è ormai diventato il DNA della memoria lucana: la dipendenza. Il Lucano deve ricordarsi di dover dipendere, sempre.
Fateci caso: in regione egli difficilmente riesce ad avviare un’attività se prima non ha la certezza di poter godere in qualche modo di finanziamenti pubblici su concessione del boss politico di turno (pensiamo all’edilizia, all’agricoltura, ecc.).
Se guardiamo i giovani che escono dall’Università, pur lodevolmente dotati delle due memorie, il 90% crede nella raccomandazione risolutiva dei problemi personali. Cioè il giovane laureato lucano si muove nella memoria della dipendenza. Quel rimanente 10% si ribella, spesso anche ai propri genitori, e parte.

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