Questa mattina nel cimitero di Potenza…Già stavo con un piede sulla soglia della cappella funeraria dei miei che mi bloccò un forte colpo di tosse catarrosa. Proveniva da sinistra, pochi metri più in là, ed era di un vecchio. Ricurvo, arrotolava un pizzico di tabacco in una cartina, la umettò con la lingua, l’ annusò e la portò alla bocca. Frugò nelle tasche senza trovare di che accendere la sua sigaretta. ‘Tieni d’ appiccià?’, mi domandò con la sua faccia dalla pelle che pareva la scorza di un albero antico. Non fumo, risposi e chiesi fuoco a un passante. Mentre accendevo la sigaretta del vecchio, notai quanto egli fosse magro, ridotto all’essenziale! Colsi anche striature rossicce tra i suoi capelli bianchi, forse a memoria di un tempo passato. Mugugnò un grazie e, a sorpresa, fu curioso: “Tieni le mani ianche ianche, che ti scaldi ‘u culo a la Rreggione?” Scossi la testa: “No zio, non sono impiegato là. Ma lo sapete che nel cimitero non si fuma? è come dentro la chiesa’.’ Mi fissò con un lampo di occhi come per dirmi irritato ‘pensa ai fatti tuoi’, o a qualcosa di più pesante... Fa un tirata, butta al cielo il fumo e si china sulla lapide con la foto ovale maiolicata di una donna anziana. Soffia più volte il suo alito in faccia alla foto, poi , drizzatosi, sussurra appena percettibile , “Cinquantadue annìnzieme …sempe inzieme!...”. Era sua moglie. Si girò di spalle per asciugarsi una lacrimuccia. Era il pudore degli contadini di un tempo. Mi diede un’occhiata e alzò le sopracciglia come per chiedere scusa, fece un respiro di rassegnazione e di nuovo una tirata alla sigaretta, di nuovo fumò al cielo, di nuovo soffiò il suo alito sull’ovale ma… questa volta lo baciò più volte con baci brevi.
“Gli piaceva l’addore du tabacco mio…assai!” Appoggiò la mano sinistra sul bordo della lapide come a cercare un sostegno, fissò il ritratto: “gli piaceva l’addore e rideva….”
Come chiamare questo atto? Io lo chiamo “amore”
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