- In Basilicata non c’era nessun altro evento vissuto in senso tanto “distruttivo” come la Morte. Si diceva che Ella si impadronisse di un “povero Cristo di cafone” alla stessa maniera di un padrone, e cioè in modo dispotico.
Entrata in casa, Ella richiedeva una particolare ritualità: si iniziava col lavaggio del cadavere, quindi lo si vestiva con un abito migliore. “Si sposa con la morte”, sussurrava qualcuno, rassegnato. Lo si componeva sul letto mettendo tra le sue mani una corona del Rosario: doveva farsi perdonare dal Padreterno tutte quelle volte che se l’era presa con Lui per la siccità, i topi o le cavallette che ammazzavano le spighe mettendole sul piatto della miseria della famiglia.
Alla pulizia e vestizione del cadavere provvedevano i parenti stretti e alcuni del vicinato, che ponevano la bara a centro della casa coi piedi rivolti verso la porta. Era importante questo particolare: indicava al defunto l’uscita da questo mondo che non gli apparteneva più.
Iniziava il “pianto-elogio”. All’arrivo di un amico di famiglia l’onda del pianto rimontava riprendendo l’enumerazione delle ottime qualità (vere o presunte) appartenute all’estinto. Il diapason dello strazio raggiungeva la sua intensità con la venuta del prete: era il momento di chiudere la bara e togliere, per sempre, “l’uomo di casa dalla casa sua”, oppure “il figlio di mamma sua che aveva il cuore come l’Addolorata sotto la croce”. Un pianto collettivo a più voci acute, intense e scomposte, si alzava straziante da tutti i presenti e nessun poteva aveva gli occhi asciutti. Capitava allora di veder mettere nella bara un oggetto un tempo caro al defunto. Qualcuno ha detto che questo era un gesto pagano. No. Era soltanto un gesto d’ amore. L’ultimo compiuto “alla presenza sua”.
Gli uomini che trasportavano a spalle la bara (non esistevano ancora le ditte specializzate) ricevevano per compenso qualche chilo di farina e un litro d’olio.
Per sette-dieci giorni la famiglia in lutto non accendeva il fuoco in casa. I familiari o gli amici più stretti portavano “u cunzuòle” (cibo funebre) da mangiare. A lungo durava anche il periodo del lutto. Era in rapporto al grado di parentela col defunto: sei anni per il capofamiglia (e sua moglie non sarebbe uscita di casa per sei mesi): otto per un figlio maschio (era anche possibile che la madre vestisse di nero per tutta la vita). Gli uomini di casa non si radevano la barba per quaranta giorni. Per cinque anni indossavano una pettina nera e chissà per quanto tempo una fascia nera cucita alla manica sinistra della giacca.
Dopo qualche tempo poteva entrare in casa una farfalla bianca: era un’anima buona venuta a portare un augurio per qualcosa desiderata. Certo, qualcosa di diverso dalla miseria e dalla morte…
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