lunedì 13 settembre 2021

ELEMENTARI

QUELLA PRIMA ELEMENTARE – La scuola cominciò a farci capire come andava il mondo. Non che mancassero altre occasioni: intorno a  noi ragazzi c’erano Bartali e Coppi, acclamati. La squadra del Torino, osannata. L’Anno Santo, strombazzato. ‘Grazie dei fiori’, appresa in diretta da quel primo festival di Sanremo. C’erano pure i film coi marines sempre vincenti al canto del  loro inno trionfale che noi ripetevamo durante i giochi e non mancavano quegli altri, gli ‘arrivano i nostri’ sempre buoni,  a galoppo al suono della tromba e a fucili fumanti contro gli indiani cattivi. Queste cose, ciascuna per la sua parte, portavano alle stelle la nostra euforia di ragazzini. Le emozioni però ce li dava la scuola.

Rocco non parlava con nessuno, era sempre triste. Franco per ridere gli appiccicò il soprannome di  “addolorato” e tutti i compagni cominciammo a chiamarlo così. Lui sopportò e prese a guardarci  storto. Sentivamo la sua voce soltanto alle interrogazioni. Dava risposte precise e sicure senza intercalare con pause di incertezza. Era il più essenziale di tutti. In geografia non sbagliava una sola località, in storia, poi, ci inchiodava.  Anche durante la ricreazione se ne stava  in un angolo col suo mutismo. Mia nonna mi informò che  lui e i suoi fratelli, ne erano sei, venivano picchiati dal padre quando tornava ubriaco dalla cantina con gli amici. Il che succedeva quasi ogni sera.  Anche uno starnuto dei suoi ragazzi lo irritava. Chissà che gli passava per la testa in quei momenti.

Iuccio, come Rocco,  era povero. Il più povero di tutti. Simile ad un’aquila spiccava per intelligenza sopra noi. Per questo era mal visto dalla maestra. la prima. Per lei era inconcepibile  che un figlio di  bracciante – quindi ultimo nella scala sociale – potesse essere tanto intelligente. Con più di qualcuno ella arrivava addirittura a lamentarsi di non capire il Padreterno che faceva doni del genere ai pezzenti. Restava il fatto che Iuccio metteva tutti noi k.o. Soprattutto in matematica. Risolveva le operazioni con la velocità del fulmine e arrivava alle conclusioni prima del termine di ogni spiegazione. La maestra lo zittiva in malo modo e quasi tutti entravamo in sintonia con lei per rifarci dell’ umiliazione di dover subire tanta bravura.

Nino, pieno di geloni,  un giorno tornò a casa con le mani impiastricciate di sangue misto a pus e   pieno di pianto. La mattina dopo sua madre contadina con gli occhi iniettati di sangue venne dritta in classe e, noi presenti, gridò alla maestra che picchiava con disinvoltura con ‘la spalmata’: “Se ti permetti un’altra volta di toccare mio figlio, prendo i tuoi intestini e te li appendo al collo!” Espressione dura un tempo appartenuta ai briganti del paese. La tipa replicò: “Come ti permetti di rimproverarmi, cafona?! Tuo figlio è un ciuccio! Portatelo a zappare.” Replica: “Io ti ho avvertita” e lasciò l’aula. L’ odiata maestra non picchiò più sul dorso delle mani, non interrogò più quel ragazzo a cui aveva fatto sanguinare le dita e a fine anno lo bocciò. La madre andò a protestare dalla direttrice. La direttrice invece di capire rimproverò quella cafona per aver minacciato mesi prima la maestra.

Dopo un’ispezione  del Ministero, la maestra fu mandata nella scuola del paese vicino. Con sollievo di tutti. Così in quarta venne una nuova Maestra che ci riportò  all’amore per la scuola e amò tutti noi con l’amore di una madre benché avesse scelto di rimanere zitella a causa di una delusione d’ amore (scelte estreme che si facevano un tempo).

P.S. Rocco divenne Primario in un ospedale di Roma; Iuccio, trasferita la famiglia in America, ha lavorato come ingegnere alla Silicon Valley; Nino fu capostazione a Salerno e poi a Firenze.

 


 

 

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