lunedì 1 febbraio 2021

MIO PADRE

 

 


Ho conosciuto mio padre il 4 febbraio 1946,  ed ero ragazzo. Ero nato appena da tre giorni e lui, obbligato,  tornò al lavoro nell’ Etiopia di Mussolini. La fece franca con la morte e gli inglesi lo portarono  prigioniero in Inghilterra. Lo vidi scendere dal treno: di media statura,  occhi castano-scuri,  viso smunto, radi capelli lisci e grigi sopravvissuti ai tanti e neri. Mi abbracciò ma subito  mi divincolai spaventato.

Poco per volta imparai a conoscerlo e finimmo per comunicare con gli sguardi. 

Se si arrabbiava diventava collerico ma succedeva di rado  e mai fu per causa mia. Anzi no, fu soltanto una volta: avevo portato la pagella del secondo trimestre su cui aveva letto un quattro in matematica – unico voto basso -. Stavamo in piedi uno di fronte all'altro.  Mi sferrò uno schiaffo che mi fece toccare il lato opposto della stanza ed urlò “ti mando alla caldarella! hai capito?” Intendendo che se non studiavo mi avrebbe  mandato  a fare l'apprendista muratore. Si usava cosi allora. Con sofferenza mi misi a studiare la matematica.

Quando  mi parlava io non avevo nessuna parola per contraddirlo. Non si esprimeva con parole contorte. Era pratico e quindi chiaro e preciso. Vietava le parolacce a se stesso e a noi figli. Sentenziava: “Non ce n'è bisogno. Ricordatevi che si può parlare anche di immondizia senza far uso di parolacce”. Si divertiva ad insegnarci come  “ricamare le parole” sulle donne, lui che ne aveva fatto un grande uso,  ma frenava la lingua  di noi ragazzi pronti a  calunniare questa o quell'altra signorinella che ci sfuggiva di mano.  

Trovava importante insegnarci i sinonimi e i contrari delle parole denigratrici per farci destreggiare con esse…Un altro insegnamento: ”Ricordatevi che ognuno di noi si crede perfetto e guai a dirgli cosa veramente  pensiamo di lui.”

“Ma così si diventa ipocriti”, osservavo io.

Replicava: “I preti hanno inventato le “bugie pietose”,  usiamole e saremo tutti felici e contenti.”

Ciao papà.

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