Autolinea
in partenza da Potenza. Ai passeggeri viene offerta un’ acqua minerale da mezzo
litro. Al termine del lungo viaggio di ore una signora sui sessanta porta con
se la bottiglietta ormai semivuota. Sua figlia le dice di lasciarla, ma la
madre risponde di no, contiene ancora
minerale da bere. E la figlia: “Ma lasciala, non vedi che è a metà”. La madre
scende dal bus con la bottiglietta nella borsa. Quell’acqua minerale è un bene
da non sprecare. La giovane sbuffa e già pensa ad una nuova bottiglia da acquistare al supermarket.
Comprensibile spettacolo di mentalità.
Bar
centrale di Potenza ore 13 di un venerdì. Entra una madre con due figlioletti,
uno sugli otto e l’altra sugli undici. Li sta riportando da scuola a casa. La
bambina in sovrappeso chiede una barretta di cioccolato. Accontenta, la mangia
avidamente. Il ragazzino desidera una pizzetta. Eccola e lui dà due morsi,
ripeto due, e la porge alla madre che la butta nel cestino. Spontaneo esclamo con
dispiacere: “Che insulto alla miseria!”. La madre risponde risentita: “Si faccia i fatti suoi”. Non so che nome dare
a tale mentalità. Sono vecchio e non
capisco.
Pranzo
in famiglia da un amico. I suoi tre figli, due in età di liceo e il terzo alle
elementare. Senza parlare, ingoiano in
fretta l’antipasto e scappano nell’altra stanza a maneggiare lo smartphone
personale. Richiamati in sala, mangiano il primo piatto in fretta e via. Aprono
bocca solo per masticare la seconda portata e via. Non sono interessati alla
frutta. Neppure al dolce. E’ più dolce
ciattare. Esprimo un rincrescimento con sorriso: “Mi sarebbe piaciuto parlare
un poco coi ragazzi”. La madre scusante: “Eh, i giovani sono fatti così.” Dopo
una breve pausa, azzardo: “Beh, dipendete da come li si abitua” (ho evitato di
dire “come li si educa”). Il padre ha
un’espressione di non gradimento. La madre
si rabbuia fino a quando vado via. Mentalità dell’avvenire? Non riesco a immaginarla, sono vecchio.
Buon ristorante di un paese lucano. Sono a cena con
una mia amica nobildonna viennese per farle assaggiare alcune specialità
locali. Intorno al tavolo accanto siedono nove adulti più sei ragazzini. Questi,
sui dodici-tredici anni, sono accomodati uno di fronte all’altro, all’estremità
del tavolo. Gli adulti parlano, anzi quasi gridano per i fatti loro, i ragazzi
stanno silenziosi: un boccone distratto
alla bocca, mani sul telefonino, un altro boccone masticato come se fosse gomma
americana e mani sul telefonino. Rompe il loro magico silenzio il richiamo
risentito di un ragazzino rivolto al suo amichetto a lui di fronte: “Aoh, dai, rispondi!” Stavano comunicando tra di
loro ignorati da tutti, ignorando tutti e a quaranta centimetri di distanza tra
loro. Da uomo vecchio provo disagio dinanzi a tali silenzi.
Festa di
compleanno di un diciottenne. Grande sala affittata con sedie su un lato per
gli adulti; tavolo lungo con panche su
un altro lato. Il terzo ha un tavolo con impianto stereo e due altoparlanti a tutto volume; il buffet è sul quarto lato. Gli adulti stanno seduti scambiandosi tra loro qualche
convenevole a voce spiegata. Arrivano i coetanei del festeggiato: saluti e
abbracci tra loro, non un saluto agli adulti a loro ‘invisibili’. In frotta vanno a sedersi sulle panche intorno al tavolo e ciascuno per proprio
conto si china a ciattare, in silenzio. Poi sciamano veloci al buffet, invidiabili cavallette. Cominciano a ballare a
volume assordante. Alcuni adulti
comunicano con un improvvisato alfabeto morse domestico. Qualche altro guarda
in giro spaurito: restare o andarsene?
Io vado via per amore dei miei timpani e della mie corde vocali. I medici mi
hanno detto che non è possibile adeguarle alle feste giovanili e che è fuori
moda provare disagio.
Sabato in
villa ospite di un dirigente della Regione. La moglie cosparsa di profumo costoso, è nello
stesso ente. Sciorina il rosario delle loro conquiste raggiunte con sacrificio;
mostra i pochi ma preziosi quadri acquistati con sacrificio a un’ asta romana.
Il marito, petto da pavone, illustra il suo suv di marca prestigiosa acquistato
con sacrificio, e mi confida di essere imbranato nella retromarcia. In garage c’è anche la 1400 bianca di esclusivo
dominio della ‘signora’, acquistata per essere puntuale in ufficio, ma arriva
sempre con un’ora di ritardo per colpa di quei “pecorari” (espressione sua) di
autisti potentini che non sanno guidare e intasano le strade. Nell’angolo la moto
giapponese, lucente e ulteriore frutto
di sacrificio dei genitori orgogliosi di averla regalata al figlio appena
laureato con voto 91 (tra i più bassi dell’Università).
Ma ecco la ciliegina: mi parlano con
entusiasmo dell’acquisto del coupon per
la crociera alle Maldive nel giugno del 2017. “Così in anticipo?” azzardo.
Prenotando ora, precisano, hanno goduto di un pacchetto scontato. Io incauto: “La ragazza al liceo… se viene rimandata?” Entrambi
i genitori mi rassicurano che al ritorno dalla crociera basterà un po’ di
ripetizione per due settimane. Ancora incauto: “Come può recuperare in due
settimane se per tutto l’anno ha studiato poco?” Risposta rassicurante del
padre: “Perché farla stancare, poverina, la promozione gliela danno, sicuro”. Non
capisco e mi ritrovo ad essere un vecchio professore con la mania di chiedere
agli studenti di studiare. Cerco di attenuare il disagio pensando a “i grandi
sacrifici” compiuti da questa coppia di funzionari regionali da manuale.
Scuola
elementare “Domenico Savio”. Vado a prendere la bambina, non mia, all’uscita
dalla classe prima elementare. Il cortile antistante è festoso di mamme,
papà, nonni, pronti con le loro premure e affetto. Ci sono dieci minuti di
ritardo e siamo accalcati come se temessimo di smarrire i nostri batuffoli
d’amore alla loro uscita. Fermi sotto la
scalinata, con gli occhi puntati al
primo piano, siamo pronti a sorridere all’apparire della loro manina. Dieci minuti
di attesa, si aspetta e si chiacchera.
Sento alle mie spalle una signora dire ad un’altra: “Sono contenta che nella
classe della pupa non c’è nessuno di colore.”
Mi irrito d’un lampo. La bambina-radar intercetta il mio malumore: “Perché sei
arrabbiato, zio Lallo?”. Vorrei spiegarglielo, ma è ancora troppo piccola. E
intanto mi chiedo se sono davvero troppo vecchio per capire l’intolleranza
radicata. Inumana.
Serve a qualcosa ricordare Kant: “Agisci in modo da trattare
l’umanità sempre come un fine e mai come un mezzo.” E’ vecchio anche lui.
"IL QUOTIDIANO DEL SUD" 08 sttem. 2016
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