domenica 9 ottobre 2016

PICCOLE CRONACHE di DISAGIO

      


Autolinea in partenza da Potenza. Ai passeggeri viene offerta un’ acqua minerale da mezzo litro. Al termine del lungo viaggio di ore una signora sui sessanta porta con se la bottiglietta ormai semivuota. Sua figlia le dice di lasciarla, ma la madre risponde di no,  contiene ancora minerale da bere. E la figlia: “Ma lasciala, non vedi che è a metà”. La madre scende dal bus con la bottiglietta nella borsa. Quell’acqua minerale è un bene da non sprecare. La giovane sbuffa e già pensa ad una nuova  bottiglia da acquistare al supermarket. Comprensibile spettacolo di  mentalità.  
Bar centrale di Potenza ore 13 di un venerdì. Entra una madre con due figlioletti, uno sugli otto e l’altra sugli undici. Li sta riportando da scuola a casa. La bambina in sovrappeso chiede una barretta di cioccolato. Accontenta, la mangia avidamente. Il ragazzino desidera una pizzetta. Eccola e lui dà due morsi, ripeto due, e la porge alla madre che la butta nel cestino. Spontaneo esclamo con dispiacere: “Che insulto alla miseria!”. La madre risponde risentita:  “Si faccia i fatti suoi”. Non so che nome dare a tale mentalità.  Sono vecchio e non capisco.
Pranzo in famiglia da un amico. I suoi tre figli, due in età di liceo e il terzo alle elementare. Senza parlare,  ingoiano in fretta l’antipasto e scappano nell’altra stanza a maneggiare lo smartphone personale. Richiamati in sala, mangiano il primo piatto in fretta e via. Aprono bocca solo per masticare la seconda portata e via. Non sono interessati alla frutta.  Neppure al dolce. E’ più dolce ciattare. Esprimo un rincrescimento con sorriso: “Mi sarebbe piaciuto parlare un poco coi ragazzi”. La madre scusante: “Eh, i giovani sono fatti così.” Dopo una breve pausa, azzardo: “Beh, dipendete da come li si abitua” (ho evitato di dire “come li si educa”).  Il padre ha un’espressione di non gradimento. La madre  si rabbuia fino a quando vado via. Mentalità dell’avvenire?  Non riesco a immaginarla, sono vecchio.
Buon  ristorante di un paese lucano. Sono a cena con una mia amica nobildonna viennese per farle assaggiare alcune specialità locali. Intorno al tavolo accanto siedono nove adulti più sei ragazzini. Questi, sui dodici-tredici anni, sono accomodati uno di fronte all’altro, all’estremità del tavolo. Gli adulti parlano, anzi quasi gridano per i fatti loro, i ragazzi stanno silenziosi:  un boccone distratto alla bocca, mani sul telefonino, un altro boccone masticato come se fosse gomma americana e mani sul telefonino. Rompe il loro magico silenzio il richiamo risentito di un ragazzino rivolto al suo amichetto a lui di fronte: “Aoh,  dai, rispondi!” Stavano comunicando tra di loro ignorati da tutti, ignorando tutti e a quaranta centimetri di distanza tra loro. Da uomo vecchio provo disagio dinanzi a tali silenzi.
Festa di compleanno di un diciottenne. Grande sala affittata con sedie su un lato per gli adulti; tavolo lungo  con panche su un altro lato. Il terzo ha un tavolo con impianto  stereo e due altoparlanti a tutto volume;  il buffet è sul quarto lato. Gli adulti  stanno seduti scambiandosi tra loro qualche convenevole a voce spiegata. Arrivano i coetanei del festeggiato: saluti e abbracci tra loro, non un saluto agli adulti a loro ‘invisibili’. In frotta  vanno a sedersi sulle panche  intorno al tavolo e ciascuno per proprio conto si china a ciattare, in silenzio.  Poi sciamano veloci al buffet,  invidiabili cavallette. Cominciano a ballare a volume assordante.  Alcuni adulti comunicano con un improvvisato alfabeto morse domestico. Qualche altro guarda in giro  spaurito: restare o andarsene? Io vado via per amore dei miei timpani e della mie corde vocali. I medici mi hanno detto che non è possibile adeguarle alle feste giovanili e che è fuori moda provare disagio.   
Sabato in villa ospite di un dirigente della Regione. La  moglie cosparsa di profumo costoso, è nello stesso ente. Sciorina il rosario delle loro conquiste raggiunte con sacrificio; mostra i pochi ma preziosi quadri acquistati con sacrificio a un’ asta romana. Il marito,  petto da pavone,  illustra il suo suv di marca prestigiosa acquistato con sacrificio, e mi confida di essere imbranato nella retromarcia. In  garage c’è anche la 1400 bianca di esclusivo dominio della ‘signora’, acquistata per essere puntuale in ufficio, ma arriva sempre con un’ora di ritardo per colpa di quei “pecorari” (espressione sua) di autisti potentini che non sanno guidare e intasano le strade. Nell’angolo la moto giapponese, lucente  e ulteriore frutto di sacrificio dei genitori orgogliosi di averla regalata al figlio appena laureato con voto 91 (tra i più bassi dell’Università).
Ma ecco la ciliegina: mi parlano con entusiasmo dell’acquisto del  coupon per la crociera alle Maldive nel giugno del 2017. “Così in anticipo?” azzardo. Prenotando ora, precisano, hanno goduto di un pacchetto scontato. Io incauto:  “La ragazza al liceo… se viene rimandata?” Entrambi i genitori mi rassicurano che al ritorno dalla crociera basterà un po’ di ripetizione per due settimane. Ancora incauto: “Come può recuperare in due settimane se per tutto l’anno ha studiato poco?” Risposta rassicurante del padre: “Perché farla stancare, poverina, la promozione gliela danno, sicuro”. Non capisco e mi ritrovo ad essere un vecchio professore con la mania di chiedere agli studenti di studiare. Cerco di attenuare il disagio pensando a “i grandi sacrifici” compiuti da questa coppia di funzionari regionali da manuale.
Scuola elementare “Domenico Savio”. Vado a prendere la bambina, non mia, all’uscita dalla classe prima elementare. Il cortile antistante è festoso di mamme, papà,  nonni,  pronti con le loro  premure e affetto. Ci sono dieci minuti di ritardo e siamo accalcati come se temessimo di smarrire i nostri batuffoli d’amore alla loro  uscita. Fermi sotto la scalinata,  con gli occhi puntati al primo piano, siamo pronti a  sorridere  all’apparire della loro manina. Dieci minuti di attesa,  si aspetta e si chiacchera. Sento alle mie spalle una signora dire ad un’altra: “Sono contenta che nella classe della  pupa non c’è nessuno di colore.” Mi irrito d’un lampo. La bambina-radar intercetta il mio malumore: “Perché sei arrabbiato, zio Lallo?”. Vorrei spiegarglielo, ma è ancora troppo piccola. E intanto mi chiedo se sono davvero troppo vecchio per capire l’intolleranza radicata. Inumana.                                                             
Serve a qualcosa  ricordare Kant: “Agisci in modo da trattare l’umanità sempre come un fine e mai come un mezzo.” E’ vecchio anche lui. 
"IL QUOTIDIANO DEL SUD" 08 sttem. 2016

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