Siamo in clima di
Premi Nobel. E parliamo di libri, allora. Conosciamo quelli della nostra
inquietudine: li hanno scritti Kafka,
Camus, Céline, Borges, Mann,
Saramago, Chatwin, Bellow,
Pessoa, Philip Roth. Hanno la capacità di creare turbamento e, forse, anche di
segnare l’esistenza di chi li legge. Rimangono a lungo nella valigia delle nostre
cose più care. Gli altri, quelli che l’ industria editoriale ci propina e ci
propone li leggiamo con qualche curiosità, a volte soddisfatta, altre volte
delusa. Tutti però hanno cittadinanza perché nati da un bisogno di espressione
anche se, a volte, questa si confonde con la vanità. Il tempo poi, galantuomo
come sempre, li seleziona in rapporto
all’esigenza costantemente rimodellata dalla sensibilità umana. La quale non è
statica ma, per nostra fortuna, dinamica e che per tale proprietà forma l’alfa e
l’omega di ogni nostra riflessione, dà fuoco e tensione ad ogni nostra parola,
urgenza ad ogni nostro problema. E quanto più un libro scandaglia le profondità
del nostro essere cogliendone i bagliori ed illuminandone i lati bui; quanto
più esso ha la capacità di discutere dell’uomo, di “questo essere enigmatico
che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda ma oltre natura
misera e dolorosa” (Th. Mann), tanto più esso libro permarrà nella civiltà che
lo ha generato.
Consapevole di ciò, l’UNESCO dal
1955 ha istituito la “Giornata del Libro e del Diritto d’Autore” fissandola al
23 aprile di ogni anno, giorno della nascita di William Shakespeare (1564-1616).
Il motivo è di alto profilo: rendere omaggio ad uno degli strumenti
civilizzatori, il libro. La frase non sembri retorica, ma il libro ha costantemente
contribuito allo sviluppo creativo dell’ umanità. E’ ancora capace di suscitare
emozioni. Ho usato le espressioni “sviluppo creativo” e “suscitare emozioni” perché l’intelligenza
umana si diverte a farsi gioco della sua stessa curiosità indagatrice, si
compiace di suscitare illusioni e di prospettare punti di arrivo che nulla
hanno a che fare con il raziocinio ma che pure tracciano simulacri di mondi
sentimentali, dietro i quali, appena raggiunti, si delineano nuovi profili con
cui emozionarsi. Pensiamo alle forti emozioni che gli antichi
cercavano nel libro. Praticavano la “apertio
libri” consistente nell’aprire a caso un libro specifico e leggere la prima
frase che capitava sotto gli occhi allo scopo di conoscere il futuro quando
questo richiedeva una scelta difficile. (tecnicamente si chiamava
“cledomanzia”). I libri erano particolari: il poema di Omero, la Bibbia, il
Corano, i Libri Sibillini, l’Eneide. Per secoli hanno incarnato l’immagine sia
di libro sacro che di libro oracolare munito di poteri straordinari che
permettevano di cogliere l’intenzione divina e il profilarsi dell’ evento
futuro.
Tolta la qualità oracolare, il valore del libro rimane
ancora contrassegnato dalla parola e dal segno che in esso variamente si
intrecciano e in cui la parola perde la sua brutale immediatezza a favore del
segno che, nell’essere muto per sua stessa natura, non ha bisogno di parlare
per essere “compreso”. Tacendo ci fa cadere sul dorso. Ci apre le porte alla
scienza o alla formazione o all’emozione la quale si scioglierà più tardi,
lentamente, nella verità della vita quotidiana posta dinanzi a noi,
inesorabile, cui è impossibile chiudere le porte.
In Basilicata però le porte vengono appena socchiuse al
libro con tutto ciò che ne consegue. E scherzando aggiungo che non vengono
letti i libri oracolari, non ce n’è bisogno, perché quanto essi potrebbero prevedere
già viene attuato nella realtà da pochi politici dall’ ampia scienza infusa e dalla ristretta
lungimiranza. Siccome le statistiche sono il barometro
delle nostre abitudini culturali, scorrendole trovi questa regione al penultimo
posto in Italia per la lettura del libri (succede altrettanto per quella dei
giornali). Qui sono letti innanzitutto i romanzi, principalmente quelli alla
moda, in buona parte di autori americani,
e quegli altri dei vari premi e premiucci letterari sparsi per
l’Italia (54,7% le donne, 45,3% uomini), e non i
gialli, come si potrebbe credere (letti per 29,6%); pari a questi ultimi sono i
libri di casa (cucina, arredamento, giardinaggio, ecc.) (29,1%), e, infine, i testi di scienze umane o sociali
(25,2%). I libri scientifici sono pochissimi. Interessante è notare che mentre
la lettura dei libri umoristici in Italia tocca il 26%, in Basilicata, invece,
è del… 4,2%! “Noi siamo seri”, potrebbe dire qualcuno, orgogliosamente stupido.
E qui mi viene in mente una battuta caustica di Victor Hugo: “Sono i libri che
un uomo legge, quelli che lo accusano maggiormente”.
Dalla statistica mancano, è ovvio, i testi
scolastici ed universitari. In ordine a questi ultimi, ricordo un giorno di aver fatto in
aula, durante una lezione, una specie di “apertio
libri”: ho
chiesto agli studenti – studenti di Scienze della
comunicazione, quindi Facoltà di Lettere -: “Quanti di voi durante l’anno scorso
hanno letto un libro diverso da un testo universitario?” Sui circa duecento
studenti in aula hanno alzato la mano in…otto. Otto, ripeto!! Si è subito
levata la voce aggraziata di una signorina in cerca di una
giustificazione: “Perché la Regione
non favorisce la lettura fornendoci dei buoni per l’acquisto-libri?” Mia risposta un poco piccata, non lo nascondo: “Quel telefonino che ogni di voi tiene in bella mostra sul banco è stato comprato col contributo della Regione?”
non favorisce la lettura fornendoci dei buoni per l’acquisto-libri?” Mia risposta un poco piccata, non lo nascondo: “Quel telefonino che ogni di voi tiene in bella mostra sul banco è stato comprato col contributo della Regione?”
Fu quello un momento in cui conobbi ulteriormente i giovani della nostra
inquietudine.
"Il Quotidiano del Sud", 16 ott. 2016
Nessun commento:
Posta un commento