domenica 16 ottobre 2016

LIBRI E GIORNALI – IL TRISTE PRIMATO DEI LUCANI




  Siamo in clima di Premi Nobel. E parliamo di libri, allora. Conosciamo quelli della nostra inquietudine: li hanno scritti Kafka,  Camus, Céline, Borges, Mann,  Saramago,  Chatwin, Bellow, Pessoa, Philip Roth. Hanno la capacità di creare turbamento e, forse, anche di segnare l’esistenza di chi li legge. Rimangono a lungo nella valigia delle nostre cose più care. Gli altri, quelli che l’ industria editoriale ci propina e ci propone li leggiamo con qualche curiosità, a volte soddisfatta, altre volte delusa. Tutti però hanno cittadinanza perché nati da un bisogno di espressione anche se, a volte, questa si confonde con la vanità. Il tempo poi, galantuomo come sempre,  li seleziona in rapporto all’esigenza costantemente rimodellata dalla sensibilità umana. La quale non è statica ma, per nostra fortuna, dinamica e che per tale proprietà forma l’alfa e l’omega di ogni nostra riflessione, dà fuoco e tensione ad ogni nostra parola, urgenza ad ogni nostro problema. E quanto più un libro scandaglia le profondità del nostro essere cogliendone i bagliori ed illuminandone i lati bui; quanto più esso ha la capacità di discutere dell’uomo, di “questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda ma oltre natura misera e dolorosa” (Th. Mann), tanto più esso libro permarrà nella civiltà che lo ha generato.
Consapevole di ciò, l’UNESCO dal 1955 ha istituito la “Giornata del Libro e del Diritto d’Autore” fissandola al 23 aprile di ogni anno, giorno della nascita di William Shakespeare (1564-1616). Il motivo è di alto profilo: rendere omaggio ad uno degli strumenti civilizzatori, il libro. La frase non sembri retorica, ma il libro ha costantemente contribuito allo sviluppo creativo dell’ umanità. E’ ancora capace di suscitare emozioni. Ho usato le espressioni “sviluppo creativo”  e “suscitare emozioni” perché l’intelligenza umana si diverte a farsi gioco della sua stessa curiosità indagatrice, si compiace di suscitare illusioni e di prospettare punti di arrivo che nulla hanno a che fare con il raziocinio ma che pure tracciano simulacri di mondi sentimentali, dietro i quali, appena raggiunti, si delineano nuovi profili con cui emozionarsi.                                                                              Pensiamo alle forti emozioni che gli antichi cercavano nel libro. Praticavano la “apertio libri” consistente nell’aprire a caso un libro specifico e leggere la prima frase che capitava sotto gli occhi allo scopo di conoscere il futuro quando questo richiedeva una scelta difficile. (tecnicamente si chiamava “cledomanzia”). I libri erano particolari: il poema di Omero, la Bibbia, il Corano, i Libri Sibillini, l’Eneide. Per secoli hanno incarnato l’immagine sia di libro sacro che di libro oracolare munito di poteri straordinari che permettevano di cogliere l’intenzione divina e il profilarsi dell’ evento futuro.
Tolta la qualità oracolare, il valore del libro rimane ancora contrassegnato dalla parola e dal segno che in esso variamente si intrecciano e in cui la parola perde la sua brutale immediatezza a favore del segno che, nell’essere muto per sua stessa natura, non ha bisogno di parlare per essere “compreso”. Tacendo ci fa cadere sul dorso. Ci apre le porte alla scienza o alla formazione o all’emozione la quale si scioglierà più tardi, lentamente, nella verità della vita quotidiana posta dinanzi a noi, inesorabile, cui è impossibile chiudere le porte.              
In Basilicata però le porte vengono appena socchiuse al libro con tutto ciò che ne consegue. E scherzando aggiungo che non vengono letti i libri oracolari, non ce n’è bisogno, perché quanto essi potrebbero prevedere già viene attuato nella realtà da pochi politici dall’ ampia  scienza infusa e dalla ristretta lungimiranza.                                                                                                                    Siccome le statistiche sono il barometro delle nostre abitudini culturali, scorrendole trovi questa regione al penultimo posto in Italia per la lettura del libri (succede altrettanto per quella dei giornali). Qui sono letti innanzitutto i romanzi, principalmente quelli alla moda, in buona parte di autori americani,  e quegli altri dei vari premi e premiucci letterari sparsi per l’Italia  (54,7% le donne, 45,3% uomini), e non i gialli, come si potrebbe credere (letti per 29,6%); pari a questi ultimi sono i libri di casa (cucina, arredamento, giardinaggio, ecc.) (29,1%),  e, infine, i testi di scienze umane o sociali (25,2%). I libri scientifici sono pochissimi. Interessante è notare che mentre la lettura dei libri umoristici in Italia tocca il 26%, in Basilicata, invece, è del… 4,2%! “Noi siamo seri”, potrebbe dire qualcuno, orgogliosamente stupido. E qui mi viene in mente una battuta caustica di Victor Hugo: “Sono i libri che un uomo legge, quelli che lo accusano maggiormente”.
Dalla statistica mancano, è ovvio, i testi scolastici ed universitari. In ordine a questi ultimi,          ricordo un giorno di aver fatto in aula, durante una lezione, una specie di “apertio libri”: ho  
chiesto agli studenti – studenti di Scienze della comunicazione, quindi Facoltà di Lettere -: “Quanti di voi durante l’anno scorso hanno letto un libro diverso da un testo universitario?” Sui circa duecento studenti in aula hanno alzato la mano in…otto. Otto, ripeto!! Si è subito
levata la voce aggraziata di una signorina in cerca di una giustificazione: “Perché la Regione  
non favorisce la lettura fornendoci dei buoni per l’acquisto-libri?” Mia risposta un poco  piccata, non lo nascondo: “Quel telefonino che ogni di voi tiene in bella mostra sul banco è stato comprato col contributo della Regione?”
         Fu quello un momento in cui conobbi  ulteriormente i giovani della nostra inquietudine. 

"Il  Quotidiano del Sud", 16 ott. 2016    

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