L'intervista trascritta:
Una ritualità consolidata almeno da
due secoli consente alla cittadinanza potentina di scandire il suo calendario
festivo, e quindi altamente sociale, sul 29 maggio, giorno in cui, nell'ambito
della celebrazione della festa di san Gerardo, si tiene la sfilata dei Turchi.
Questa scansione ci consente di prenderci tutto il tempo per una riflessione
sulla festa, al di là e oltre le altrettanto tradizionali critiche su questa o
quella edizione. Se è vero, quindi, che la festa è viva finché cambia, è anche
vero che contribuisce a mantenerla viva il fatto che se ne parli, non più sotto
l'urgenza della organizzazione-realizzazione o sotto la spinta delle polemiche
immediatamente nate prima, durante e dopo la parata, in un confronto di
visioni, che si distenda tra un'attesa e l'altra. Dal 1987 al 1988 è stato
Presidente del Comitato Tecnico Scientifico incaricato di curare la sfilata dei
Turchi, l'antropologo Angelo Lucano Larotonda, docente Unibas, ci è sembrato
importante, nella prospettiva di ripercorrere la tradizione della festa di san
Gerardo e per capirne le prospettive, di
dare spazio alla sua testimonianza in relazione di quell'esperienza che,
per la sua originalità, ne ha segnato la storia.
Vuol raccontarci, nei suoi tratti più
significativi, la sua interpretazione della festa di san Gerardo, con
particolare riferimento alla Processione, Sfilata, Parata, Corteo, Festa dei
Turchi, segnalandoci, anche, se ritiene, quello che lei ritiene il nome giusto?
Quale nome è
giusto? Nessuno. Ciascuno non può che essere “provvisorio”. Già sul piano
filologico i significati a ciascuna parola sono diversi fra loro, salvo qualche
affinità. Consapevole di ciò, nel 1987, quando il Comune mi incaricò d
“rifondare” questa festa laica perché
aveva toccato un suo fondo di degrado, mi sforzai, in TV, sulla stampa, con un opuscolo, a dire che per questa manifestazione
si doveva parlare di “consuetudine”. Accennai
ad una spiegazione: la manifestazione
NON ha una data precisa in cui è stata istituita (e non era onesto inventarla per
il proprio piacere pur sapendo che sarebbe
stata una mistificazione); -- essa è
nata con l’intento di affiancarsi ad una celebrazione religiosa in cui coinvolgere il popolo dei contadini e
degli artieri, che all’epoca costituiva la gran parte del territorio potentino. La borghesia l’ha sempre guardata
con sufficienza, evitandola, proprio perché
“festa dei cafoni”. I quali,
creata la ‘consuetudine’, l’hanno via viai modellata a propria immagine e
somiglianza. Vogliamo dirla fino in fondo? Raffaele Riviello ed altri autori,
prima e dopo di lui, ne descrivono la
tipologia e ha ben leggere, neppure tanto fra le righe, essi descrivono le
caratteristiche di un carnevale “santificato”, cioè svolto in nome del santo
patrono. Quali sono: travestimenti,
superamento dei freni inibitori nei comportamenti e nel linguaggio, crapule
alimentari, modo smodato di bere. Guai a ricordarlo. E’ invece giusto, vero e santo affermare che si tratta
di un “atto devozionale popolare ”. Ma come dice il salmista,
“labbra bugiarde parlano con cuore doppio”.
La società potentina è molto cambiata
dagli anni della sua presidenza del CTS, quale “rappresentazione” sarebbe, a
suo parere, adatta oggi a tali cambiamenti?
Cominciamo
col togliere dall’attuale manifestazione
la presenza delle crinoline. Mai citate
in nessun testo. Poi togliamo i costumi
cavesi o toscani o di altra regione. Non ci appartengono. Si smetta di cercare a tutti i costi un padre nobile fondatore,
diretto o indiretto. Spogliata di ciò, cosa rimane di popolare? Parrà assurdo:
sono tradizionali le crapule culinarie
dei Portatori del Santo (oggi stigmatizzate), i contadini ( scomparsi), gli asini (a
trovarli), i muli (svaniti), gli organetti, gi angioletti, la fanfara, il
linguaggio scurrile (oggi tornato di moda, e in tutti gli strati sociali) , la
barca e il Tempietto. Tutto il resto è orpello. Ma l’orpello fa spettacolo. E
il popolare di oggi non chiede forse lo spettacolo? Perché allora perdersi in
polemiche inutili ? Eresia la mia ? Credo che occorra ripensare al concetto di
popolare e fare una scelta: riproporre la manifestazione nei suoi tratti
originali, privi di orpelli facendo quindi un’operazione di archeologia culturale. Ma chi
piacerebbe? Oppure rifondarla sulla base al nuovo concetto di cultura popolare.
Ritiene corretto che la festa sia
stata nel tempo sempre più istituzionalizzata? Questo non ne ha modificato la
natura originaria di festa popolare?
Ho sempre
considerato un errore la presenza istituzionale. La quale, si sa, agisce anche
per tornaconto elettorale. Chiede una manifestazione sempre più “meravigliosa”,
sempre più “attraente” , innanzitutto per gli occhi dei potentini. Di
quali? Potenza da qualche decennio è un mosaico di gente trasferitasi
dall’interland con usanze diverse dalla tradizione locale. Non ha fatto propria
questa festa e lo dimostra anche il disinteresse a creare un indotto della manifestazione. I potentini di vecchia generazione hanno la tradizione scolpita nell’anima, trasfusa nel sangue e nel l’educazione,
convertita nel sentimento, ma è ormai una minoranza in estinzione. I loro figli
vogliono lo spettacolo camuffato da tradizione.
Se sì, dovremmo forse tornare ai
comitati per la festa, gestiti da libere associazioni di cittadini? O questo
schema è storicamente superato e irrecuperabile?
I politici
hanno reso storicamente superati i comitati per la festa educando gli autoctoni ad godere gratis le manifestazioni (e non solo quelle). La festa
è della città? Bene, allora che sia il suo popolo a provvedere con i propri
contributi. Ma di quale popolo “potentino” parliamo? Vale quanto ho detto
prima. Come stanno le cose, dobbiamo rassegnarci a subire
l’intervento pubblico, anche se poi borbottiamo sui soldi non spesi non
sempre bene.
Con quali altre riflessioni vorrebbe
concludere questo suo “spazio” di discussione sulla festa di san Gerardo?
Avere la
consolazione di non vedere più studiosi, giornalisti, studenti, popolo del Gran
Caffè affannarsi sulle origini e sviluppo della manifestazione. Nel Medioevo ci
fu un esercito di teologi a discutere sul sesso degli angeli. Finirono col mettere in dubbio la loro esistenza. Ma nell’ Ottocento gli angeli tornarono nelle
litografie a proteggere i bambini prossimi ad un dirupo.
Forse il mio ragionamento è un’altra delle mie eresie.
Forse il mio ragionamento è un’altra delle mie eresie.
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