martedì 26 luglio 2016

Festa dei Turchi, (Potenza) occorre ripensare il concetto di popolare

Intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno sulla Festa dei Turchi a Potenza.



L'intervista trascritta:

Una ritualità consolidata almeno da due secoli consente alla cittadinanza potentina di scandire il suo calendario festivo, e quindi altamente sociale, sul 29 maggio, giorno in cui, nell'ambito della celebrazione della festa di san Gerardo, si tiene la sfilata dei Turchi. Questa scansione ci consente di prenderci tutto il tempo per una riflessione sulla festa, al di là e oltre le altrettanto tradizionali critiche su questa o quella edizione. Se è vero, quindi, che la festa è viva finché cambia, è anche vero che contribuisce a mantenerla viva il fatto che se ne parli, non più sotto l'urgenza della organizzazione-realizzazione o sotto la spinta delle polemiche immediatamente nate prima, durante e dopo la parata, in un confronto di visioni, che si distenda tra un'attesa e l'altra. Dal 1987 al 1988 è stato Presidente del Comitato Tecnico Scientifico incaricato di curare la sfilata dei Turchi, l'antropologo Angelo Lucano Larotonda, docente Unibas, ci è sembrato importante, nella prospettiva di ripercorrere la tradizione della festa di san Gerardo e per capirne le prospettive, di  dare spazio alla sua testimonianza in relazione di quell'esperienza che, per la sua originalità, ne ha segnato la storia.

Vuol raccontarci, nei suoi tratti più significativi, la sua interpretazione della festa di san Gerardo, con particolare riferimento alla Processione, Sfilata, Parata, Corteo, Festa dei Turchi, segnalandoci, anche, se ritiene, quello che lei ritiene il nome giusto?
Quale nome è giusto? Nessuno. Ciascuno non può che essere “provvisorio”. Già sul piano filologico i significati a ciascuna parola sono diversi fra loro, salvo qualche affinità. Consapevole di ciò, nel 1987, quando il Comune mi incaricò d “rifondare” questa festa laica  perché aveva toccato un suo fondo di degrado, mi sforzai, in TV, sulla stampa, con un  opuscolo, a dire che per questa manifestazione  si doveva parlare di “consuetudine”. Accennai ad una spiegazione:  la manifestazione NON ha una data precisa in cui è stata istituita (e non era onesto inventarla per il proprio piacere  pur sapendo che sarebbe stata una mistificazione);  --   essa è nata con l’intento di affiancarsi ad una celebrazione religiosa  in cui coinvolgere il popolo dei contadini e degli artieri, che all’epoca costituiva la gran parte del territorio  potentino. La borghesia l’ha sempre guardata con sufficienza, evitandola, proprio perché  “festa dei cafoni”.   I quali, creata la ‘consuetudine’, l’hanno via viai modellata a propria immagine e somiglianza. Vogliamo dirla fino in fondo? Raffaele Riviello ed altri autori, prima e dopo di lui, ne  descrivono la tipologia e ha ben leggere, neppure tanto fra le righe, essi descrivono le caratteristiche di un carnevale “santificato”, cioè svolto in nome del santo patrono.  Quali sono: travestimenti, superamento dei freni inibitori nei comportamenti e nel linguaggio, crapule alimentari, modo smodato di bere. Guai a ricordarlo. E’ invece  giusto, vero e santo affermare che si tratta di un  “atto  devozionale popolare ”. Ma come dice il salmista, “labbra bugiarde parlano con cuore doppio”.
                                                   
La società potentina è molto cambiata dagli anni della sua presidenza del CTS, quale “rappresentazione” sarebbe, a suo parere, adatta oggi a tali cambiamenti?
Cominciamo col togliere  dall’attuale manifestazione la presenza delle  crinoline. Mai citate in nessun testo.   Poi togliamo i costumi cavesi o toscani o di altra regione. Non ci appartengono. Si smetta  di cercare a tutti i costi un padre nobile fondatore, diretto o indiretto. Spogliata di ciò, cosa rimane di popolare? Parrà assurdo: sono tradizionali le crapule culinarie  dei Portatori del Santo (oggi stigmatizzate),  i contadini ( scomparsi), gli asini (a trovarli), i muli (svaniti), gli organetti, gi angioletti, la fanfara, il linguaggio scurrile (oggi tornato di moda, e in tutti gli strati sociali) , la barca e il Tempietto. Tutto il resto è orpello. Ma l’orpello fa spettacolo. E il popolare di oggi non chiede forse lo spettacolo? Perché allora perdersi in polemiche inutili ? Eresia la mia ? Credo che occorra ripensare al concetto di popolare e fare una scelta: riproporre la manifestazione nei suoi tratti originali, privi  di orpelli  facendo quindi  un’operazione di archeologia culturale. Ma chi piacerebbe? Oppure  rifondarla sulla  base al nuovo concetto di cultura popolare.

Ritiene corretto che la festa sia stata nel tempo sempre più istituzionalizzata? Questo non ne ha modificato la natura originaria di festa popolare?
Ho sempre considerato un errore la presenza istituzionale. La quale, si sa, agisce anche per tornaconto elettorale. Chiede una manifestazione sempre più “meravigliosa”, sempre più “attraente” , innanzitutto per gli occhi dei potentini. Di quali?  Potenza da qualche decennio  è un mosaico di gente trasferitasi dall’interland con usanze diverse dalla tradizione locale. Non ha fatto propria questa festa e lo dimostra anche il disinteresse a creare un indotto  della manifestazione. I potentini  di vecchia generazione hanno la tradizione  scolpita nell’anima,  trasfusa nel sangue e nel l’educazione, convertita nel sentimento, ma è ormai una minoranza in estinzione. I loro figli vogliono lo spettacolo camuffato da tradizione.

Se sì, dovremmo forse tornare ai comitati per la festa, gestiti da libere associazioni di cittadini? O questo schema è storicamente superato e irrecuperabile?
I politici hanno reso storicamente superati i comitati per la festa  educando gli autoctoni ad godere gratis  le manifestazioni (e non solo quelle). La festa è della città? Bene, allora che sia il suo popolo a provvedere con i propri contributi. Ma di quale popolo “potentino” parliamo? Vale quanto ho detto prima. Come stanno le cose, dobbiamo rassegnarci  a subire  l’intervento pubblico, anche se poi borbottiamo sui soldi non spesi non sempre  bene.

Con quali altre riflessioni vorrebbe concludere questo suo “spazio” di discussione sulla festa di san Gerardo?
Avere la consolazione di non vedere più studiosi, giornalisti, studenti, popolo del Gran Caffè affannarsi sulle origini e sviluppo della manifestazione. Nel Medioevo ci fu un esercito di teologi a discutere sul sesso degli angeli. Finirono  col mettere in dubbio la loro esistenza.  Ma nell’ Ottocento gli angeli tornarono nelle litografie a proteggere i bambini prossimi ad un dirupo.         
Forse il mio ragionamento è un’altra delle mie eresie.



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