domenica 12 luglio 2015

QUEI BRONZI LA

   
                 
Racconto della Domenica pubblicato oggi su
"Il Quotidiano"

QUEI BRONZI  LA' ---- Da giovane praticavo lo sport subacqueo. Alla ricerca di una conchiglia particolare, mi capitò un giorno di cogliere nel fondo marino, non visto, il colloquio seguente, che riporto per sommi capi.
PISETERO il vecchio: Che tempi i nostri! Molti in futuro li riterranno splendidi. Eppure, mio giovane amico, tu sai quale mania domina la gente del nostro paese...
POLINICE il giovane: Di quale mania stai parlano, venerando maestro? Ve ne sono tante.
PISETERO: Te lo dico in forma indiretta. Ci sono quelli che rubacchiano quanto basta per ostentare di non essere più poveri. Rubano quando siedono al governo della città. Favoriscono il costruttore di templi, fori e palestre che meglio di altri estende a tutti loro i benefici dell' appalto pubblico. Vanno dal sarto più famoso della città convinti che gli abiti conferiscono importanza; girano per le strade su bighe decorate di ceselli; amano essere loquaci su ogni argomento per apparire intelligenti. Ma io ti dico, caro Polinice, che se vai a cercare nella loro storia neppure tanto lontana troverai che il padre, il nonno e il bisnonno erano contadini, fabbri, falegnami onesti e che ora questi loro figli, beneficiati dai traffici illeciti, affermano con orgoglio di aver riscattato la memoria delle privazioni dei loro antenati. Paiono essere personaggi cari al teatro del caustico Aristofane. Tu lo sai, io ho vissuto male perché non ho voluto camminare al passo di questi ambizioni.
POLINICE: Tutti sanno che hai avuto una educazione la cui bontà è nota anche alle pietre. Ed è anche noto che col tuo amico Evelpide volevi fondare Nubicucùlia, la città degli uccelli tra le nuvole. Bellissima idea!
PISETERO: Era desiderio comune tracciarne il solco perché eravamo disperati dalla corruzione, dall'ostentazione e dalla volgarità. Questo disgusto ha in me una sua radice. Mio padre trafficava granaglie in grande quantità. Si diceva di lui di essersi arricchito arricchendo più di uno che sedeva nell'amministrazione. Aveva perciò in gran rispetto il potere pubblico ricevendone a sua volta. Passava anche per uomo pio di Dioniso grazie alle sue ricche offerte in favore del suo culto. Mia madre mi raccontava che egli, vedendomi bambino ingenuo, volle affidarmi ai sacerdoti del tempio di quel dio affinché mi educassero in sottigliezze ed acume. Sottovoce poi chiese loro di insegnarmi la dialettica socratica per ragioni personali, cioè quei modi per non pagare i debiti e le tasse, così come egli aveva appreso da una commedia di Aristofane, dove al giovane Fidippide, oltre alle virtù, insegnavano a picchiare i creditori e i propri genitori al loro aprire la bocca per esortarlo ad essere onesto almeno quanto basta.
POLINICE: Ti voleva dunque acuto negli affari!
PISETERO: Si. Egli amava ripetermi il principio: l'uomo aspira al bello ma persegue l'utile. E che per realizzare l'utile occorre avere degli amici fra gli uomini di governo e partecipare così a quella specie di seconda esistenza che deriva dal loro potere. Appresi pertanto a non amare Zeus più del governatore. Grazie a questi sani principi, da giovane ho vissuto aspirando a raggiungere i campi elisi della notorietà in cui è possibile incontrare gli eroi politici, i giocatori dello stadio e le attrici delle commedie. Ma poi...
POLINICE: Non ti offendere se ti interrompo, dolce Pisetero, per ricordarti che questi tuoi pensieri mi sono già noti.
PISETERO: Perdona tu, ma è che alla mia età i ricordi sono come vino bevuto avidamente e le cose della giovinezza conservano i loro colori vivaci.
POLINICE: Ciò che ancora non so sono i fatti accaduti dopo la tua giovinezza.
PISETERO: Avvenne un capovolgimento della mia vita. Tu sai che l'isola di Milo voleva passare dalla parte della severa Sparta, interessata a sottrarre le colture là controllate da Atene. Scoppiò la guerra che portò alla distruzione dei raccolti e all'isolamento di Atene dalle rotte commerciali. Tutto collassò e per sei anni il popolo subì sofferenze indicibili.
Solo allora capii l'assurdità di certa politica, che rende la vita impossibile ai cittadini. Capii anche quanto fosse insostenibile il modo di ragionare di mio padre che minava i fondamenti stessi della vita associativa nella polis.
Non mi sedetti sulla delusione e sullo sconforto ma pensai alla fondazione di una città degli uccelli. Ne parlai al mio amico Evelpide, disgustato quanto me.L'idea piacque anche al divino Fidia, che già aveva eretto sull'Acropoli la gigantesca statua bronzea di “Atena guerriera “. Egli volle fermare nel bronzo le mie sembianze a futura memoria di un uomo che era stato capace di sognare. Ma ora sono qui, in fondo al mare...
Ci fu un lungo silenzio poco dopo rotto dal giovane scherzoso come per consolare il vecchio amico con cui divideva la sorte attuale.
POLINICE: Volgi il tuo sguardo verso la spuma del mare. Ti dirà che “calato il sole/ la luna dai raggi rosa / vince tutti gli astri, e la sua luce /modula sull'acqua del mare”.
PISETERO: Ti piace consolarmi con le parole di Saffo. Ne godi!
POLINICE: Le ho apprese dalle labbra di mia madre. Guardandomi, ella ripeteva spesso il verso saffico “avvenga ciò che l'anima mia vuole: aiutami Afrodite”. E per cosa ardeva? Voleva che io imparassi le faticose leggi dell'atleta per essere un giorno coronato di alloro a gloria della città e vivere nell'agiatezza della fama. In palestra mi insegnarono il primo fondamento dell'atleta: solo soffrendo fisicamente e mentalmente è possibile diventare un eroe. Fui assoggettato quindi ad una disciplina inflessibile per far mia la virtù, l'eccellenza, il coraggio, la prodezza, l'audacia.
PISETERO: Vuoi dire l'Aretè?
POLINICE: Si l' Aretè. Mia madre non tardò ad avere compassione del mio sfinimento e mi riportò a casa. Trovai le pareti della mia stanza intonacate di ardesia e il tetto dipinto di viola. Era stata lei a farlo per amor mio affinché, soggiornando in essa, dimenticassi le fatiche del mondo. Ma affinché io fossi informato delle cose belle che in esso succedono permise che nel sottotetto nidiassero le rondini leggiadre. Esse mi portavano le belle voci del mondo: voci di fanciulle pronte ad aprirsi all'amore; di flauti melodiosi per addolcire a tristezza dei tramonti; di parole leggere che non appesantissero la mia mente.
PISETERO: Eri sulla buona strada per riuscire gradito ai tuoi amici e agli uomini politici.
POLINECE: Un giorno mi incontrò l'eccelso Fidia ed esclamò: 'la tua bellezza rimprovera Apollo'. Mancato atleta, fui ritratto nudo incoronato col nastro della vittoria.
PISETERO: Ricordo quel giorno in cui vidi la tua statua nel suo studio accanto alla mia, già terminata. “Il cuore si agitò nel petto/ e la voce si perse sulla lingua inerte./ Un fuoco sottile/ affiorò rapido sulla pelle,/ lo sguardo si oscurò/ e il rombo del sangue fu nelle orecchie.” Mi acquietai e quieto sono ancora oggi, accanto a te, in fondo a questo mare, insieme precipitati dalla tempesta che colse la nostra nave veleggiante verso la Sicilia....
Oh Zeus! gridò all'improvviso il vecchio. Gli fece eco il giovane: tre uomini in muta avanzavano verso di loro tenendo alta la fiocina! Allo scorgere i due supini sul fondo, il loro sguardo si fece acuto, fermarono d'incanto il braccio armato e trattennero il fiato a tanta bellezza! Era il 16 agosto 1972. A breve fecero emergere gloriosi dal profondo mare di Riace.
Dal petto dell'anziano staccai la conchiglia a lungo cercata, la portai all'orecchio e lei, figlia della pietra e del mare biancheggiante, mi confermò questa storia per la meraviglia della mia mente





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