Racconto della Domenica pubblicato oggi su
"Il Quotidiano"
QUEI BRONZI LA' ---- Da giovane praticavo lo sport subacqueo. Alla ricerca di una conchiglia particolare, mi capitò un giorno di cogliere nel fondo marino, non visto, il colloquio seguente, che riporto per sommi capi.
PISETERO
il vecchio: Che tempi i nostri! Molti in futuro li riterranno
splendidi. Eppure, mio giovane amico, tu sai quale mania domina la
gente del nostro paese...
POLINICE
il giovane: Di quale mania stai parlano, venerando maestro? Ve ne
sono tante.
PISETERO:
Te lo dico in forma indiretta. Ci sono quelli che rubacchiano quanto
basta per ostentare di non essere più poveri. Rubano quando siedono
al governo della città. Favoriscono il costruttore di templi, fori
e palestre che meglio di altri estende a tutti loro i benefici dell'
appalto pubblico. Vanno dal sarto
più famoso della città convinti che gli abiti conferiscono
importanza; girano per le strade su bighe decorate di ceselli; amano
essere loquaci su ogni argomento per apparire intelligenti. Ma io ti
dico, caro Polinice, che se vai a cercare nella loro storia neppure
tanto lontana troverai che il padre, il nonno e il bisnonno erano
contadini, fabbri, falegnami onesti e che ora questi loro figli,
beneficiati dai traffici illeciti, affermano con orgoglio di aver
riscattato la memoria delle privazioni dei loro antenati. Paiono
essere personaggi cari al teatro del caustico Aristofane. Tu lo
sai, io ho vissuto male perché non ho voluto camminare al passo di
questi ambizioni.
POLINICE:
Tutti sanno che hai avuto una educazione la cui bontà è nota anche
alle pietre. Ed è anche noto che col tuo amico Evelpide volevi
fondare Nubicucùlia, la
città degli uccelli tra le nuvole. Bellissima idea!
PISETERO:
Era desiderio comune tracciarne il solco perché eravamo disperati
dalla corruzione, dall'ostentazione e dalla volgarità. Questo
disgusto ha in me una sua radice. Mio padre trafficava granaglie in
grande quantità. Si diceva di lui di essersi arricchito arricchendo
più di uno che sedeva nell'amministrazione. Aveva perciò in gran
rispetto il potere pubblico ricevendone a sua volta. Passava anche
per uomo pio di Dioniso grazie alle sue ricche offerte in favore del
suo culto. Mia madre mi raccontava che egli, vedendomi bambino
ingenuo, volle affidarmi ai sacerdoti del tempio di quel dio affinché
mi educassero in sottigliezze ed acume. Sottovoce poi chiese loro di
insegnarmi la dialettica socratica per ragioni personali, cioè quei
modi per non pagare i debiti e le tasse, così come egli aveva
appreso da una commedia di Aristofane, dove al giovane Fidippide,
oltre alle virtù, insegnavano a picchiare i creditori e i propri
genitori al loro aprire la bocca per esortarlo ad essere onesto
almeno quanto basta.
POLINICE:
Ti voleva dunque acuto negli affari!
PISETERO:
Si. Egli amava ripetermi il principio: l'uomo aspira al bello ma
persegue l'utile. E che per realizzare l'utile occorre avere degli
amici fra gli uomini di governo e partecipare così a quella specie
di seconda esistenza che deriva dal loro potere. Appresi pertanto a
non amare Zeus più del governatore. Grazie a questi sani principi,
da giovane ho vissuto aspirando a raggiungere i campi elisi della
notorietà in cui è possibile incontrare gli eroi politici, i
giocatori dello stadio e le attrici delle commedie. Ma poi...
POLINICE:
Non ti offendere se ti interrompo, dolce Pisetero, per ricordarti che
questi tuoi pensieri mi sono già noti.
PISETERO:
Perdona tu, ma è che alla mia età i ricordi sono come vino bevuto
avidamente e le cose della giovinezza conservano i loro colori
vivaci.
POLINICE:
Ciò che ancora non so sono i fatti accaduti dopo la tua giovinezza.
PISETERO:
Avvenne un capovolgimento della mia vita. Tu sai che l'isola di Milo
voleva passare dalla parte della severa Sparta, interessata a
sottrarre le colture là controllate da Atene. Scoppiò la guerra che
portò alla distruzione dei raccolti e all'isolamento di Atene dalle
rotte commerciali. Tutto collassò e per sei anni il popolo subì
sofferenze indicibili.
Solo
allora capii l'assurdità di certa politica, che rende la vita
impossibile ai cittadini. Capii anche quanto fosse insostenibile il
modo di ragionare di mio padre che
minava i fondamenti stessi
della vita associativa nella polis.
Non
mi sedetti sulla delusione e sullo sconforto ma pensai alla
fondazione di una città degli uccelli. Ne parlai al mio amico
Evelpide, disgustato quanto me.L'idea piacque anche al divino Fidia,
che già aveva eretto sull'Acropoli la gigantesca statua bronzea di
“Atena guerriera “. Egli volle fermare nel bronzo le mie
sembianze a futura memoria di un uomo che era stato capace di
sognare. Ma ora sono qui, in fondo al mare...
Ci
fu un lungo silenzio poco dopo rotto dal giovane scherzoso come per
consolare il vecchio amico con cui divideva la sorte attuale.
POLINICE:
Volgi il tuo sguardo verso la spuma del mare. Ti dirà che “calato
il sole/ la luna dai raggi rosa / vince tutti gli astri, e la sua
luce /modula sull'acqua del mare”.
PISETERO:
Ti piace consolarmi con le parole di Saffo. Ne godi!
POLINICE:
Le ho apprese dalle labbra di mia madre. Guardandomi, ella ripeteva
spesso il verso saffico “avvenga ciò che l'anima mia vuole:
aiutami Afrodite”. E per cosa ardeva? Voleva che io imparassi le
faticose leggi dell'atleta per essere un giorno coronato di alloro a
gloria della città e vivere nell'agiatezza della fama. In palestra
mi insegnarono il primo fondamento dell'atleta: solo soffrendo
fisicamente e mentalmente è possibile diventare un eroe. Fui
assoggettato quindi ad una disciplina inflessibile per far mia la
virtù, l'eccellenza, il coraggio, la prodezza, l'audacia.
PISETERO:
Vuoi dire l'Aretè?
POLINICE:
Si l' Aretè. Mia madre non tardò ad avere compassione del mio
sfinimento e mi riportò a casa. Trovai le pareti della mia stanza
intonacate di ardesia e il tetto dipinto di viola. Era stata lei a
farlo per amor mio affinché, soggiornando in essa, dimenticassi le
fatiche del mondo. Ma affinché io fossi informato delle cose belle
che in esso succedono permise che nel sottotetto nidiassero le
rondini leggiadre. Esse mi portavano le belle voci del mondo: voci di
fanciulle pronte ad aprirsi all'amore; di flauti melodiosi per
addolcire a tristezza dei tramonti; di parole leggere che non
appesantissero la mia mente.
PISETERO:
Eri sulla buona strada per riuscire gradito ai tuoi amici e agli
uomini politici.
POLINECE:
Un giorno mi incontrò l'eccelso Fidia ed esclamò: 'la tua bellezza
rimprovera Apollo'. Mancato atleta, fui ritratto nudo incoronato col
nastro della vittoria.
PISETERO:
Ricordo quel giorno in cui vidi la tua statua nel suo studio accanto
alla mia, già terminata. “Il cuore si agitò nel petto/ e la voce
si perse sulla lingua inerte./ Un fuoco sottile/ affiorò rapido
sulla pelle,/ lo sguardo si oscurò/ e il rombo del sangue fu nelle
orecchie.” Mi acquietai e quieto sono ancora oggi, accanto a te, in
fondo a questo mare, insieme precipitati dalla tempesta che colse
la nostra nave veleggiante verso la Sicilia....
Oh
Zeus! gridò all'improvviso il vecchio. Gli fece eco il giovane: tre
uomini in muta avanzavano verso di loro tenendo alta la fiocina!
Allo scorgere i due supini sul fondo, il loro sguardo si fece acuto,
fermarono d'incanto il braccio armato e trattennero il fiato a tanta
bellezza! Era il 16 agosto 1972. A breve fecero emergere gloriosi dal
profondo mare di Riace.
Dal
petto dell'anziano staccai la conchiglia a lungo cercata, la portai
all'orecchio e lei, figlia della pietra e del mare biancheggiante, mi
confermò questa storia per la meraviglia della mia mente
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