lunedì 20 maggio 2013

L'APOCALISSE DELLA CORRUZIONE – (III puntata) "Oggi si parla spesso di corruzione, sopratutto per ciò che riguarda l'attività politica... La corruzione non è un atto, ma uno stato, uno stato personale e sociale, nel quale uno si abitua a vivere. I valori (o i non valori) della corruzione sono integrati in una vera “cultura”, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare. Una persona corrotta, non permette di crescere in libertà. Il corrotto non conosce la fraternità o l'amicizia, ma la “complicità”. Nel confrontarsi, il corrotto si erge a giudice degli altri: è lui “la misura“ del comportamento morale. La corruzione porta a perdere il “pudore” che custodisce la verità
Sono alcuni concetti espressi da papa Francesco nel denso libricino appena uscito (Guarire dalla corruzione) che meriterebbe di essere distribuito su larga scala: dagli evasori fiscali a certi leader di partito, passando per i vari consigli regionali. Egli, tra i suggerimenti dati per guarire da questo cancro sociale, indica la necessità di ripristinare l'etica, nata prima della religione, e di attuare la “conversione del cuore”. In proposito ha anche detto di recente che “confessarsi non è come andare in tintoria per pulire la sporcizia sui nostri vestiti. Confessarsi è un incontro con Gesù, che ci aspetta come siamo”.
La confessione dei peccati è stato uno di quegli strumenti maggiormente utilizzato dai gesuiti all'indomani del Concilio di Tento. Il quale, nel decreto della sua chiusura (4 dicembre 1563), sollecitò tutti gli ordini religiosi a incentivare la dottrina cattolica nei fedeli nediate tre strumenti: la confessione regolare, la comunione frequente, la venerazione di Cristo presente nell'Eucarestia. I primi a capire la grande portata della decisione conciliare furono i gesuiti. Divennero infatti accaniti predicatori, catechisti, missionari nei quartieri delle città e nelle campagne al fine di “convertire i cuori” esposti alla corruzione di quel tempo, l'eresia. Essi segnarono però una differenza rispetto agli altri ordini religiosi: utilizzarono la confessione come proposta di rinnovamento interiore complessivo! Ciò significò puntare soprattutto all'uomo in sé piuttosto che all'eretico. Questa loro scelta creò momenti di tensione con l'Inquisizione che premeva perché facessero il contrario. In sostanza, essa voleva che la confessione fosse un tribunale delle colpe finalizzato a riaffermare una “religione dell'autorità” mentre i gesuiti miravano ad una “religione della coscienza”. Nel primo caso al centro veniva posta il potere della Chiesa, nel secondo l'uomo. Differenza non di poco conto!
Promossero tale loro scelta con una serie di libri di pietà, brevi e chiari, destinati ad un vasto pubblico (come fa anche papa Francesco con questo ed altri libricini). Uno dei più importanti scrittori di tali manualetti fu il melfitano padre Luca Pinelli (1542-1607). Quel modo di intendere la confessione consenti loro di affermarsi presso tutte le corti europee come confessori di re, regine, principi e giovani della nobiltà, questi ultimi studenti nei loro collegi. Collegi che segnarono un secondo successo europeo. Concepiti da Ignazio, presto diventarono centri di formazione della futura classe dirigente, come richiesto dei governi, Il programma d'insegnamento (Ratio studiorum) era unico e la frequenza gratuita, a meno che non si fosse pensionanti. Copriva le spese l'azienda agricola messa su da ciascun collegio nel proprio interland. L'insegnamento delle materie umanistiche era primario perché doveva servire a formare i giovani alla “libertas opinandi” (libertà intellettuale), ma secondo “l'usuale nostro modo di procedere” come precisò Polanco, segretario di Ignazio. Alla morte di quest'ultimo (1556) i collegi in Europa erano 33, diventati 140 nel 1580 e 245 all'inizio del Seicento. Ma è proprio all'inizio di questo secolo (1602) che quell'educare alla libertà intellettuale venne modificato (leggi abolito) su richiesta di alcuni governi europei perché da essi ritenuto “disdicevole al bene del regno”. Che dire? I governanti hanno sempre temuto la libertà di pensiero!
Va tenuto presente comunque che i collegi erano stati istituiti da Ignazio non soltanto per rispondere ad un bisogno di istruzione ma soprattutto in opposizione alla logica anticlericale nata dal protestantesimo. In sostanza, come ha scritto uno storico, essi avevano lo scopo ben preciso di “educare alle tattiche di controllo ideologico e alla loro riproducibilità” (Anselmi). In tale ottica i giovani erano sottoposti ad un processo educativo totale all'interno del quale istruzione ed educazione morale formavano la piattaforma su cui costruire le regole di comportamento. Tale didattica aveva come punto di riferimento il piagato Cristo barocco. Papa Francesco non lo ama, infatti. Ammira, invece, il “ Cristo bianco” di Chagall, un Cristo “accomodato” alla modernità, ma uguale nella sostanza e che, come ripete Francesco, continua a chiedere all'uomo di presentarsi a Lui così come si è se vuole evitare l'apocalisse.
(3 - Continua) - Pubblicato su "Il Quotidiano" del 19 maggio 2013

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