
Sono
alcuni concetti espressi da papa Francesco nel denso libricino appena
uscito (Guarire dalla corruzione) che meriterebbe di essere
distribuito su larga scala: dagli evasori fiscali a certi leader di
partito, passando per i vari consigli regionali. Egli, tra i
suggerimenti dati per guarire da questo cancro sociale, indica la
necessità di ripristinare l'etica, nata prima della religione, e di
attuare la “conversione del cuore”. In proposito ha anche
detto di recente che “confessarsi non è come andare in tintoria
per pulire la sporcizia sui nostri vestiti. Confessarsi è un
incontro con Gesù, che ci aspetta come siamo”.
La
confessione dei peccati è stato uno di quegli strumenti maggiormente
utilizzato dai gesuiti all'indomani del Concilio di Tento. Il quale,
nel decreto della sua chiusura (4 dicembre 1563), sollecitò tutti
gli ordini religiosi a incentivare la dottrina cattolica nei fedeli
nediate tre strumenti: la confessione regolare, la comunione
frequente, la venerazione di Cristo presente nell'Eucarestia. I primi
a capire la grande portata della decisione conciliare furono i
gesuiti. Divennero infatti accaniti predicatori, catechisti,
missionari nei quartieri delle città e nelle campagne al fine di
“convertire i cuori” esposti alla corruzione di quel tempo,
l'eresia. Essi segnarono però una differenza rispetto agli altri
ordini religiosi: utilizzarono la confessione come proposta di
rinnovamento interiore complessivo! Ciò significò puntare
soprattutto all'uomo in sé piuttosto che all'eretico. Questa loro
scelta creò momenti di tensione con l'Inquisizione che premeva
perché facessero il contrario. In sostanza, essa voleva che la
confessione fosse un tribunale delle colpe finalizzato a
riaffermare una “religione dell'autorità” mentre i gesuiti
miravano ad una “religione della coscienza”. Nel primo caso al
centro veniva posta il potere della Chiesa, nel secondo l'uomo.
Differenza non di poco conto!
Promossero tale
loro scelta con una serie di libri di pietà, brevi e chiari,
destinati ad un vasto pubblico (come fa anche papa Francesco con
questo ed altri libricini). Uno dei più importanti scrittori di tali
manualetti fu il melfitano padre Luca Pinelli (1542-1607). Quel modo
di intendere la confessione consenti loro di affermarsi presso tutte
le corti europee come confessori di re, regine, principi e giovani
della nobiltà, questi ultimi studenti nei loro collegi. Collegi che
segnarono un secondo successo europeo. Concepiti da Ignazio, presto
diventarono centri di formazione della futura classe dirigente, come
richiesto dei governi, Il programma d'insegnamento (Ratio
studiorum) era unico e la frequenza gratuita, a meno che non si
fosse pensionanti. Copriva le spese l'azienda agricola messa su da
ciascun collegio nel proprio interland. L'insegnamento delle materie
umanistiche era primario perché doveva servire a formare i giovani
alla “libertas opinandi” (libertà intellettuale), ma secondo
“l'usuale nostro modo di procedere” come precisò Polanco,
segretario di Ignazio. Alla morte di quest'ultimo (1556) i collegi
in Europa erano 33, diventati 140 nel 1580 e 245 all'inizio del
Seicento. Ma è proprio all'inizio di questo secolo (1602) che
quell'educare alla libertà intellettuale venne modificato (leggi
abolito) su richiesta di alcuni governi europei perché da essi
ritenuto “disdicevole al bene del regno”. Che dire? I governanti
hanno sempre temuto la libertà di pensiero!
Va tenuto
presente comunque che i collegi erano stati istituiti da Ignazio non
soltanto per rispondere ad un bisogno di istruzione ma soprattutto
in opposizione alla logica anticlericale nata dal protestantesimo. In
sostanza, come ha scritto uno storico, essi avevano lo scopo ben
preciso di “educare alle tattiche di controllo ideologico e alla
loro riproducibilità” (Anselmi). In tale ottica i giovani erano
sottoposti ad un processo educativo totale all'interno del quale
istruzione ed educazione morale formavano la piattaforma su cui
costruire le regole di comportamento. Tale didattica aveva come punto
di riferimento il piagato Cristo barocco. Papa Francesco non lo
ama, infatti. Ammira, invece, il “ Cristo bianco” di Chagall, un
Cristo “accomodato” alla modernità, ma uguale nella sostanza e
che, come ripete Francesco, continua a chiedere all'uomo di
presentarsi a Lui così come si è se vuole evitare l'apocalisse.
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- Continua) - Pubblicato su "Il Quotidiano" del 19 maggio 2013
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