martedì 14 maggio 2013

 IGNAZIO:   LA MISSIONE ---(II puntata) -- Giovanissimo, Bergoglio combatte tra la vita e la morte. I suoi polmoni non vanno bene. Si dispera. Una suora infermiera gli sussurra: “Stai seguendo l'esempio di Gesù”. Tali parole diventano seme di riflessione per quattro anni. Guarito, diciassettenne, continua ad andare in chiesa e a leggere “Nuestra Palabra” e “Propositos”, i due principali giornali comunisti argentini. Dichiarerà poi: “Nonostante questo non fui mai comunista”.
La crisi vissuta da Bergoglio è simile a quella di Loyola.. Anche per Ignazio la malattia è seme di riflessione. Egli era nato nel 1491. Poi, secondo l'autobiografia, viene educato a corte , “diviso fra la vita militare e la compagnia femminile”. Un colpo lo ferisce ad una gamba durante la difesa di Pamplona dalle truppe francesi (1521). La convalescenza è lunga. La trascorre leggendo libri di cavalleria (veicoli di una ideologia di superiorità sociale) perché egli “si appassionava molto alla lettura di libri mondani e falsi”. Chiede ad una suora infermiere altri testi e riceve “una 'Vita Christi' e un libro sulla vita dei santi” scritto da Jacopo da Varagine. Il primo, del 1374, è di Ludolfo di Sassonia e contiene alcune tecniche di meditazione sulla Passione. E' proprio questo testo a portarlo a “conoscere la diversità degli spiriti che si agitavano in lui, l'uno del demonio, l'altro di Dio”. Gli insegna anche il modo in cui attuare la “immersione completa” nella spiritualità e come proiettare se stessi nella Passione. Apprende così a seguire l'esempio di Gesù!
Dopo queste due letture, egli recepisce alcuni aspetti dell' ”alumbradismo”, movimento religioso impegnato a predicare la spiritualità mistica e la preghiera mentale. A questo punto Ignazio concepire una prima novità: secondo lui la religiosità della gente comune non può essere fondata sul sapere teologico e scolastico, bensì sull' esperienza religiosa soggettiva, personale avente come centro alcune esperienze di illuminazione interiore. Ad esse si perviene valorizzando la preghiera mentale, alimentando le consolazioni interiori, intensificando la frequenza alla comunione [pratica all'epoca controversa]. Principi nuovi che allarmano l'Inquisizione che scorge in essi l'ombra di un diavolo pericoloso: “la libertà di coscienza”. Ignazio smonta le accuse di sospetta eresia durante il processo intentatogli ad Alcalà.
Un secondo processo lo subisce a Salmanca, questa volta per il suo testo “Esercizi Spirituali”, di cui si è parlato in precedenza. Lo assolvono ma gli limitano la libertà di predicare. Allora egli, già di 37 anni, si trasferisce a Parigi per studiare latino, teologia e filosofia ma soprattutto per procedere nel suo intento. Il 15 agosto 1534, a Montnartre, con cinque amici spagnoli fonda il primo nucleo di quella che sarà la Compagnia di Gesù. Il gruppo emette i tre voti canonici: povertà, castità ed obbedienza. Ignazio ne aggiunge un quarto, nuovo ed unico nel suo genere: obbedienza al papa.
Ancora una novità: Ignazio stabilisce la collegialità delle decisioni ritenendola utile alla coesione del gruppo per “servire Dio nel mondo”. Ciò significa che i gesuiti non debbono vivere nel chiuso del convento bensì agire nella società attenendosi però a cinque regole precise: “spirito apostolico per il progresso della anime; lealtà e obbedienza al Papa; dedizione alla povertà; obbedienza al Proposito generale [il Superiore da loro stessi eletto a vita]; abolizione della preghiera in comune per meglio spendere il tempo in favore dei propri incarichi”. Questi punti finalizzati al programma operativo vengono scritti nella “Formula” (= Statuto) presentata a Paolo III, che l'approva nel 1540. E' così fondata ufficialmente la Compagnia di Gesù governato da un ferreo ordine gerarchico, un forte spirito di corpo, una totale obbedienza ai superiori: “Chi vive nell' obbedienza deve lasciarsi condurre e dirigere dalla Divina Provvidenza per il tramite del superiore quasi fosse un cadavere [perinde ac cadaver], il quale si lascia potare dovunque e in qualunque modo”, precisa Ignazio nella famosa lettera del 1553, divenuta pietra miliare del suo pensiero.
Il gesuita deve sottostare, dunque, ad un “potere assoluto”? E' la domanda posta per secoli dai detrattori. La risposta è stata data con un “distinguo”, ribadito ancora oggi anche nella biografia di Papa Francesco: il principio di “obbedienza assoluta” va inteso come “adesione assoluta” al servizio apostolico, scopo della Compagnia. Tale principio governa la gerarchia dei ruoli descritti nelle“Costituzioni” (=Regolamento) dell'Ordine promulgate nel 1558. Due anni prima Ignazio era morto lasciando una Compagnia di 1000 padri gesuiti, diventati 8000 già nel 1580. Un grande successo in tutta Europa! Nella quale essi esercitano la loro azione finalizzata, come dice Ignazio, alla “cura delle anime”: dal pulpito, negli ospedali, nelle carceri, verso i poveri (in proposito egli fonda l'Ospizio di Santa Marta), nella confessione, nel sistema educativo, nelle missioni. Ma attenzione: nella “cura delle anime” il gesuita “deve” agire secondo una direttiva importantissima, con ”accomodatio”, cioè essere flessibili secondo i tempi, le circostanze, le coordinate sociali. Direttiva non di poco conto! (vedi in proposito il film “Mission” di Jaffé con De Niro (1986)).
Leggiamo gli scritti di Papa Francesco, le sue interviste raccolte nei molteplici libri in circolazione, ascoltiamo i suoi discorsi, le sue prediche, anche quelle pronunciate in Santa Marta, e... lo troveremo figlio primogenito di Ignazio!
(2-Continua) Pubblicato du "Il Quotidiano", 12.05.2013




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