Lasciatemi
iniziare con un episodio lontano dai costanti, ma sovente oscuri
rapporti tra la politica e noi, gente comune, che tanto
rattristano e irritano. Voglio parlare di un argomento che può
sembrare ostico ma che tale non è. E' certo che esso riguarda tutti
noi, volenti o nolenti. Volenti, se cattolici. Nolenti, se laici e
come tutti sottoposti al bombardamento mediatico, tanto da far dire
con ironia a qualche giovane di cultura i-paddiana: “Dacci oggi
il nostro Papa quotidiano!”
Evidentemente chi la pensa così non sa che la pubblicità mediatica
oggi è la prima cosa a cui mira una persona che intende
“manifestare” qualcosa di diverso o di nuovo. Proprio del
mediatrico Papa voglio parlare, ma non del Papa-gesuita bensì del
“gesuita-Papa”. Non è una sottigliezza filologica, ma di
contenuti.
Mi
spiego iniziando allora dal sostantivo “gesuita”. E qui narro
l'episodio promesso in apertura. Ho
iniziato la mia vita intellettuale al liceo dai Gesuiti, all'età di
sedici anni, con una lezione strana (così mi parve allora) sui
“manifesti” nella storia. La tenne padre Giuseppe De Rosa, nato
a Gorgoglione e di alto livello intellettuale. Disse (rileggo gli
appunti di allora): “Molti uomini hanno scritto dei manifesti a
seguito dei quali sono entrati nella storia. Magari non sempre li
hanno chiamati così: in passato andavano anche sotto il nome di
proclami, encicliche, dichiarazione, ma tutti con l'intento di
cambiare il mondo. Non sempre ci sono riusciti! Voglio dare a
ciascuno di voi due di questi scritti particolari, il “Manifesto
del partito comunista” di Marx ed Engels e gli “Esercizi
spirituali” di Sant'Ignazio”. Che strana accoppiata, pensammo
noi studenti. Presto capimmo però che quei due testi, apparentemente
contrapposti, erano in realtà delle pubbliche dichiarazioni di
princìpi, linee di condotta o intenti di natura politico-sociale,
pur se il secondo collocato in una cornice religiosa. Entrambi
tesi a “modellare” un uomo “nuovo”. A collocare l'uomo
singolo in un “noi” collettivo, formalmente
organizzato
e controllato.
Qui
voglio parlare del “manifesto” ignaziano, il quale si collega a
Papa Francesco. Ad una lettura frettolosa, gli “Esercizi
spirituali” possono spaventare, o far sorridere con scetticismo,
ma la loro natura è pur sempre quella di un manifesto che vuole
parlare all'individuo per esprimere le di lui paure di un presente e
delineargli la prospettiva di una speranza per il futuro in cui egli
possa vivere la propria “esperienza condivisa”. Cosa non da
poco! A questo stesso scopo tendeva anche il testo di Marx, a
cominciare dalla famosa frase “proletari di tutto il mondo,
unitevi” . Ma essa ha fatto il proprio tempo. Il testo del Loyola
no. E' ancora qui, ce lo ritroviamo davanti non soltanto in libreria
ma anche incarnato, per vari aspetti, nella figura di Papa
Francesco.
Vediamolo
allora da vicino, pur se per sommi capi, questo particolare
manifesto. Con grande maestria e accortezza Loyola lo scrive senza
dargli nulla del trattato spirituale, senza offrire una catechesi
dottrinale, senza trasmettere punti di vista teologici, senza
accogliere le varie sollecitazioni esterne. E allora perché Papa
Paolo III lo approva nel 1548? Perché comprende che gli “Esercizi
spirituali” sono sopratutto un “metodo”; poi perché è un
libretto pedagogico che non “si legge”, ma si dà, “come si dà
il cibo o la frusta”, secondo la precisazione di Roland Barthes.
Capisce la loro novità nel senso che essi non si rivolgono
“direttamente a chi vuole farli, ma a una terza persona che li
propone oralmente a chi mostra un qualche interesse di migliorare la
propria vita”. Un'altra novità, e questo è l'asso nella manica,
consiste nell' introdurre la figura del “mediatore”, cioè del
direttore spirituale il quale “deve essere dolce e buono”, deve
infondere nell'esercitante “coraggio e forza per l'avvenire”
assieme alla “mistica dell'obbedienza”. La mistica
dell'obbedienza! Ignazio è chiaro nel dichiarare di voler
utilizzare tanto “degli atti dell'intelletto per riflettere
[quanto] di quelli della volontà per muovere i sentimenti”. E
precisa ancora: “Questi Esercizi si devono applicare secondo
l'età, la cultura e l'intelligenza. Si darà a ciascuno sulla base
del modo in cui sarà reso disponibile ciò che può aiutarlo e di
cui può approfittare maggiormente” (il virgolettato riferisce
l'originale). Tutto mira, dunque, alla “conversione del cuore”
non soltanto secondo regole tecniche ma anche attraverso la mozione
degli affetti e delle passioni per arrivare alla mistica
dell'obbedienza.
Gli
“Esercizi” si dividono in quattro settimane. Non è qui il caso
di descrivere ciò che l'esercitante deve compiere durante ciascuna
di esse tenendo sempre Cristo come perno. Il testo si chiude con le
“Regole da osservare per avere il nostro vero ruolo nella Chiesa
militante”, regole cui attenersi allorché un uomo si pone sotto
la costante direzione di Dio. E tale direzione si attua mediante il
confessore, che “plasma l'individuo” perché egli diventi
“conforme” al mondo e viva nel mondo la sua nuova condizione di
“elezione” (cioè di uomo eletto), organizzata e controllata
(spiritualmente).
Questo
manifesto è una delle componenti della formazione di ogni gesuita e
quindi anche di Papa Francesco. Ad essa vanno aggiunti altri aspetti,
sempre delineati da sant' Ignazio, finalizzati ad incidere sul
mondo utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. Compresi, oggi,
quelli mediatici.
(1
- Continua)
"Il Quotidiano" 5 maggio 2003
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