domenica 5 maggio 2013


                     IL MANIFESTO DI SANT'IGNAZIO DI LOYOLA
Lasciatemi iniziare con un episodio lontano dai costanti, ma sovente oscuri rapporti tra la politica e noi, gente comune, che tanto rattristano e irritano. Voglio parlare di un argomento che può sembrare ostico ma che tale non è. E' certo che esso riguarda tutti noi, volenti o nolenti. Volenti, se cattolici. Nolenti, se laici e come tutti sottoposti al bombardamento mediatico, tanto da far dire con ironia a qualche giovane di cultura i-paddiana: “Dacci oggi il nostro Papa quotidiano!” Evidentemente chi la pensa così non sa che la pubblicità mediatica oggi è la prima cosa a cui mira una persona che intende “manifestare” qualcosa di diverso o di nuovo. Proprio del mediatrico Papa voglio parlare, ma non del Papa-gesuita bensì del “gesuita-Papa”. Non è una sottigliezza filologica, ma di contenuti.
Mi spiego iniziando allora dal sostantivo “gesuita”. E qui narro l'episodio promesso in apertura. Ho iniziato la mia vita intellettuale al liceo dai Gesuiti, all'età di sedici anni, con una lezione strana (così mi parve allora) sui “manifesti” nella storia. La tenne padre Giuseppe De Rosa, nato a Gorgoglione e di alto livello intellettuale. Disse (rileggo gli appunti di allora): “Molti uomini hanno scritto dei manifesti a seguito dei quali sono entrati nella storia. Magari non sempre li hanno chiamati così: in passato andavano anche sotto il nome di proclami, encicliche, dichiarazione, ma tutti con l'intento di cambiare il mondo. Non sempre ci sono riusciti! Voglio dare a ciascuno di voi due di questi scritti particolari, il “Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels e gli “Esercizi spirituali” di Sant'Ignazio”. Che strana accoppiata, pensammo noi studenti. Presto capimmo però che quei due testi, apparentemente contrapposti, erano in realtà delle pubbliche dichiarazioni di princìpi, linee di condotta o intenti di natura politico-sociale, pur se il secondo collocato in una cornice religiosa. Entrambi tesi a “modellare” un uomo “nuovo”. A collocare l'uomo singolo in un “noi” collettivo, formalmente organizzato e controllato.
Qui voglio parlare del “manifesto” ignaziano, il quale si collega a Papa Francesco. Ad una lettura frettolosa, gli “Esercizi spirituali” possono spaventare, o far sorridere con scetticismo, ma la loro natura è pur sempre quella di un manifesto che vuole parlare all'individuo per esprimere le di lui paure di un presente e delineargli la prospettiva di una speranza per il futuro in cui egli possa vivere la propria “esperienza condivisa”. Cosa non da poco! A questo stesso scopo tendeva anche il testo di Marx, a cominciare dalla famosa frase “proletari di tutto il mondo, unitevi” . Ma essa ha fatto il proprio tempo. Il testo del Loyola no. E' ancora qui, ce lo ritroviamo davanti non soltanto in libreria ma anche incarnato, per vari aspetti, nella figura di Papa Francesco.
Vediamolo allora da vicino, pur se per sommi capi, questo particolare manifesto. Con grande maestria e accortezza Loyola lo scrive senza dargli nulla del trattato spirituale, senza offrire una catechesi dottrinale, senza trasmettere punti di vista teologici, senza accogliere le varie sollecitazioni esterne. E allora perché Papa Paolo III lo approva nel 1548? Perché comprende che gli “Esercizi spirituali” sono sopratutto un “metodo”; poi perché è un libretto pedagogico che non “si legge”, ma si dà, “come si dà il cibo o la frusta”, secondo la precisazione di Roland Barthes. Capisce la loro novità nel senso che essi non si rivolgono “direttamente a chi vuole farli, ma a una terza persona che li propone oralmente a chi mostra un qualche interesse di migliorare la propria vita”. Un'altra novità, e questo è l'asso nella manica, consiste nell' introdurre la figura del “mediatore”, cioè del direttore spirituale il quale “deve essere dolce e buono”, deve infondere nell'esercitante “coraggio e forza per l'avvenire” assieme alla “mistica dell'obbedienza”. La mistica dell'obbedienza! Ignazio è chiaro nel dichiarare di voler utilizzare tanto “degli atti dell'intelletto per riflettere [quanto] di quelli della volontà per muovere i sentimenti”. E precisa ancora: “Questi Esercizi si devono applicare secondo l'età, la cultura e l'intelligenza. Si darà a ciascuno sulla base del modo in cui sarà reso disponibile ciò che può aiutarlo e di cui può approfittare maggiormente” (il virgolettato riferisce l'originale). Tutto mira, dunque, alla “conversione del cuore” non soltanto secondo regole tecniche ma anche attraverso la mozione degli affetti e delle passioni per arrivare alla mistica dell'obbedienza.
Gli “Esercizi” si dividono in quattro settimane. Non è qui il caso di descrivere ciò che l'esercitante deve compiere durante ciascuna di esse tenendo sempre Cristo come perno. Il testo si chiude con le “Regole da osservare per avere il nostro vero ruolo nella Chiesa militante”, regole cui attenersi allorché un uomo si pone sotto la costante direzione di Dio. E tale direzione si attua mediante il confessore, che “plasma l'individuo” perché egli diventi “conforme” al mondo e viva nel mondo la sua nuova condizione di “elezione” (cioè di uomo eletto), organizzata e controllata (spiritualmente).
Questo manifesto è una delle componenti della formazione di ogni gesuita e quindi anche di Papa Francesco. Ad essa vanno aggiunti altri aspetti, sempre delineati da sant' Ignazio, finalizzati ad incidere sul mondo utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. Compresi, oggi, quelli mediatici.
(1 - Continua)
"Il Quotidiano" 5 maggio 2003





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