CROCIFISSIONI ----- E'
la domenica delle palme. Si celebra l'ingresso in Gerusalemme di
Gesù a dorso di un asino. Se avesse voluto entrare da re avrebbe
scelto un cavallo bianco (l'equivalente di un'auto blu). Lo accoglie
la povera gente che lo osanna come un nuovo messia capace di
riscattarli dalla condizione di povertà. Non è anche così da
parte dei Signori del Palazzo che ostentano, invece, diffidenza e
malcelata sopportazione: questo falso profeta predica contro
l'attaccamento al denaro che fa dannare l'anima, urla contro
l'ipocrisia del potere, esalta gli umili, e via di questo passo con
le loro accuse. Oggi egli sarebbe stato definito sbrigativamente un
“populista”, termine che implica in chi lo dice una presunta
superiorità politica e morale in ogni campo. Ma nonostante il
favore del popolo, quelli del Palazzo riescono a mettere le mani su
di lui.
Lo
portano poi davanti alla somma autorità locale la quale gli pone
insidiose domande di carattere ideologico. E lui: “Io ho parlato al
mondo apertamente; ho sempre insegnato in luoghi aperti e consentiti,
e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me?
Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi
sanno cosa ho detto” . Non riescono a cavare un ragno dal buco.
Allora lo conducono da Pilato, rappresentante di un Cesare lontano ed
oppressivo. Gli dicono maldestramente che Gesù è un grande
bestemmiatore del Dio di Israele. “Provvedi”, che equivale a un
'eliminalo'! Pilato, uomo dalla mentalità scettica com'è proprio
della classe dirigente romana nei confronti di ogni credo religioso,
risponde con fastidio: “E' cosa vostra, che c'entra Roma col vostro
Dio?” Interroga comunque l'accusato e quindi dichiara di non
trovarlo colpevole secondo il diritto romano. Al che quei Signori,
fermi nelle loro certezze, si riuniscono nel chiuso delle loro stanze
per mettere a fuoco un'accusa che possa reggere agli occhi di
Pilato. La posta in gioco è troppo alta per consentire la libertà
di parola a quell' individuo che con le sue prediche e parabole
insidia il loro potere discrezionale e chiuso ad ogni novità. Ecco
fatto: trovano un'accusa che Pilato non potrà sottovalutare tanto
essa è grave: il delitto di lesa maestà. Vanno infatti da lui e gli
dicono: “Questo Gesù si proclama re dei Giudei”. Il che
significava contrapporsi all' autorità dell' imperatore. Il delitto
di lesa maestà è stato per tutti i governanti sempre un principio
sul quale non hanno mai mollato. Tuttavia il governatore ha seri
dubbi sulla fondatezza dell'accusa. Si sente improvvisamente come se
fosse circondato da nebbie. E dice a quelli del Palazzo; “Io l'ho
esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di
quelle di cui lo accusate. Non ha fatto nulla per meritare la morte.
Ora lo castigo severamente e lo mando a casa”. Risposta veritiera.
Perfino bella perché smonta tutte le false accuse. No. Essi lo
vogliono morto. E' un loro nemico, così com'è nemica la titubanza
del governatore. Ricorrono allora alla minaccia di rivolgersi
direttamente a Roma. Il che significa per un governatore correre il
rischio di apparire un incapace nel mediare i bisogni locali e
quindi meritevole di rimozione dal suo incarico, prestigioso e
rimunerativo. Essi intanto in segreto organizzano la folla contro
l'accusato così come la settimana prima in segreto hanno prezzolato
l'anello debole della compagnia degli Apostoli, Giuda, per poter
mettere le mani su quel loro nemico, falso profeta che propone
forme nuove di vita predicandole – cosa
inaudita! - nelle
piazze dei villaggi, sulle rive di laghi, in cime ad una montagna.
Loro hanno perfettamente capito che quanto viene detto da lui non
riguarda soltanto le cose dello spirito ma anche le cose della
pancia. Perché quando parla di giustizia parla anche di pane, quando
parla di ipocrisia parla pure di chiarezza della condotta del potere
verso il popolo, quando instilla idee di dignità parla anche degli
strumenti per conseguirla.
I
nuovi elementi raccolti contro Gesù non diradano la nebbia intorno
a Pilato: egli è ancora fortemente dubbioso sulla veridicità
dell'accusa tanto da spingerlo a chiedergli pubblicamente: “Sei tu
il re dei Giudei”. E l'interrogato: “Tu lo dici”. Risposta
questa che per il diritto romano non è giuridicamente rilevante e
quindi non non può dare ad un luogo a procedere perché priva di
altre testimonianze probatorie. Il colloquio continua perché il
governatore vuole raccogliere ulteriori elementi. Il dialogo, breve e
intenso, pieno di risolti giuridici e teologici, è riportato da
Giovanni (capitolo 18), e si conclude con quel versetto che ha
inquietato il mondo successivo. Gesù; “Io sono venuto per rendere
testimonianza alla verità”. E Pilato: “Che cos'è la verità?”
Ancora
venti secoli dopo il filosofo Frederiche Nitzche cercò di dare una
risposta a questa domanda, punto di arrivo di inquietudine tanto
del potere che del popolo. Inquietudine che può portare anche al
crollo psichico in un 'orizzonte politico (e quanti crolli abbiamo
visto nel Novecento!). Oggi il sociologo Bauman, a tale domanda
risponde con amara lievità: “Non c'è bisogno di sforzarsi troppo.
Viviamo nel culto delle novità, con cui la 'modernità liquida' ci
sorprende quotidianamente. Siamo ormai attaccati ai nostri oggetti,
ma ciò non ci impedisce di buttarli nel cestino non appena un nuovo
modello esce”. Quindi?...
C'è
da chiedersi a cosa siano servite tante crocifissioni nella storia!
Forse perché amiamo prendere tutto letteralmente o prendere tutto
spiritualmente? O forse esse sono state necessarie, e lo saranno
ancora, per dare la speranza di una resurrezione?
"Il Quotidiano" - Potenza 24.03.213
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