mercoledì 27 marzo 2013




Il NIDO DEL RICORDO ---  Ricordo un versetto di san Paolo: “Quando ero bambino parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato.” Da bambino andavo a Barile per vedere le “Trentatré ragazze”, come gli anni di Cristo, vestite a lutto e il lutto cancellava ogni allegrezza dai loro occhi e tale da rendere quelle piccole facce di contadine malnutrite ancora più tristi. Per vedere “Malco, incappucciato e legato da funi con cui si batteva con spasmo non trovando pace, toltagli per aver egli schiaffeggiato Gesù. Ero là per guardare con ingordigia il seno generoso della “Zingaracoperto di ori. Andavo per spiare “Gesù” sotto il peso della croce e restare attonito ad ogni sua caduta, fragorosa nel silenzio della folla. Per essere stupefatto da “Maria”, bianca del pallore estremo di un estremo dolore carico di lacrime traslucide. L’ insieme della Rappresentazione mi entrava fin dentro le midolla! Rincasavo tutto confuso. 
Divenuto uomo tornai a Barile. E’ vero, come dice sant’Agostino, che i ricordi infantili spesso durano “per un battito d’occhio” ma “vi rimedia, subito, la memoria, quasi nido del ricordo.” Ed io dal mio nido tirai fuori il ricordo dei personaggi visti da bambino per riguardarli con occhi di uomo. Rividi le “Trentatré ragazze”, non più vestite di nero ma del viola liturgico e senza più l’intensità del lutto sulle loro facce ormai nutrite dai kinder brioches. Per rivedere “Malco”, sempre pronto ad autoflagellarsi ma ora con delicatezza. Rividi con occhi nuovi la “Zingara”, nata nel Medioevo in Germania come maschera del carnevale ma nel Seicento fatta confluire nelle processioni della Settimana Santa col nuovo ruolo di colei che aveva fornito i tre chiudi per la crocifissione. Da allora ella è divenuta l’emblema del ‘diverso’ da stigmatizzare e da emarginare. Affiancai il “Cristo” sotto la croce portata dal giovane barilese ma ora con il sussiego di un attore di provincia consapevole dei molti flash e telecamerine familiari spudoratamente puntate sopra di lui per riprendere da vicino quelle sue tre cadute canoniche, che un tempo ricordavano la sofferenza e l' umiliazione e che ora erano commisurate alla resa scenica. Rividi “Maria”, per il cui ruolo un tempo si esigeva la verginità dalla giovane figurante e che ora le si chiedeva di essere almeno casta.
Terminata la Rappresentazione, rimasi relativamente perplesso. ‘Relativamente’, perché anche Barile era stata fecondata dai modelli del consumismo “magico” che aveva fatto dimenticare progressivamente il passato di povertà. Si era verso la fine degli anni Novanta del Novecento quando annotai questa avvenuta mutazione alla quale avevano contribuito anche i nuovi mezzi di comunicazione con i loro nuovi modelli di comportamenti.
La curiosità intellettuale mi sollecitò a sapere “perché mai” erano nate le Rappresentazioni del Venerdì Santo. La loro storia si sviluppò in modo interessante ma non è questo il luogo per parlarne. Rimase ancora in piedi la domanda non da poco: perché esse hanno ancora successo nonostante il mutare della società e il modificarsi della cultura? Andai ad “osservare” altre trentasei Rappresentazioni delle centinaia allestite ogni Venerdì Santo in Italia: toccai Savona, Castiglion Fiorentino, Todi, Gualdo Tadino, Cantiano, Sezze, Atripalda, Bronte, ed altre ancora. Durante ogni mio viaggio la mia sacca si gonfiava di opuscoli scritti da storiografi locali, spesso enfatici, e di depliants turistici reclamizzanti la Rappresentazione come “prodotto d’ eccellenza del territorio da accoppiare all’assaggio dei prodotti gastronomici locali tipici.” (!)
Sono tornato a Barile nel 2011 per riscontrare l'ulteriore “evoluzione” dell'evento. Che dire del “fervente clima di religiosità popolare” descritto dai suadenti opuscoli turistici locali? Esso non c'è. O meglio, c'è ma è molto diverso dal quello del passato il quale aveva la sua origine e giustificazione nella cultura popolare. Tale cultura aveva un rapporto intenso con la natura, con le feste tradizionali col loro carattere agrario perché il contadino aveva un permanente rapporto con la natura. Ne conseguiva che i riti religiosi erano intesi a propiziare l’ordinata scansione dei cicli stagionali da cui dipendeva il buono o il cattivo destino del raccolto e la sopravvivenza della comunità. Essi poi, essendo connessi a tale scansione, assolvevano alla funzione di sacralizzare il tempo e lo spazio. Per un popolo di illetterati e di semplici, il culto si rivolgeva essenzialmente ai sensi. La liturgia era un discorso fatto di gesti stabiliti, di immagini visive. Le feste collettive offrivano momenti di emozione collettiva in cui il messaggio religioso assumeva la forma di un impeto generoso, un’adesione fervente il cui slancio riscaldava il cuore, rassicurava la coscienza. Questo mondo e questa cultura non esistono più.
Oggi i comportamenti sociali ricevono un valore completamente nuovo “soprattutto” dalla forza persuasiva dei media. E tale forza “esige”che la Rappresentazione debba essere spettacolo al quale far partecipare un gran numero di turisti con le loro voci profane e i loro “sacri” strumenti tecnologici. Il sussurro devozionale e il silenzio emozionante rimangono ormai nel nido del ricordo.
E' questa la “nuova” religiosità popolare? I due termini “nuova” e “vecchia” religiosità popolare non hanno senso perché religiosità significa sentire la presenza di forze profonde e sovrapersonali che si trovano al di fuori e al di sopra dei carnali confini dell’io personale, che pure la determina e la alimenta. Forze che sono la storia religiosa di un popolo, una storia che è sempre carne e presenza. E qui semmai si pone una seconda domanda: in che modo oggi viene inteso il significato di religione? Ci sono già i molti idoli e i molti miti del mondo contemporaneo. C''e la filosofia universalistica dei diritti umani. C'è la coscienza umanitaria e cose similari. Bene tutto questo. Ma è' appena da ricordare che il termine religione, oltre ad indicare il “legamento” a Dio, per secoli ha incluso anche l’idea di scrupolo, di rispetto, di ordine, di consapevolezza, di coscienza, e infine di sacralità. L'aria laica che spira intorno a noi ha reso nebbiosa anche la visuale della religiosità, popolare e non.

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