
Divenuto uomo
tornai a Barile. E’ vero, come dice sant’Agostino, che i ricordi
infantili spesso durano “per un battito d’occhio” ma “vi
rimedia, subito, la memoria, quasi nido del ricordo.” Ed io dal mio
nido tirai fuori il ricordo dei personaggi visti da bambino per
riguardarli con occhi di uomo.
Rividi le “Trentatré ragazze”, non più vestite di nero ma del
viola liturgico e senza più l’intensità del lutto sulle loro
facce ormai nutrite dai kinder brioches. Per rivedere “Malco”,
sempre pronto ad autoflagellarsi ma ora con delicatezza. Rividi con
occhi nuovi la “Zingara”, nata nel Medioevo in Germania come
maschera del carnevale ma nel Seicento fatta confluire nelle
processioni della Settimana Santa col nuovo ruolo di colei che aveva
fornito i tre chiudi per la crocifissione. Da allora ella è divenuta
l’emblema del ‘diverso’ da stigmatizzare e da emarginare.
Affiancai il “Cristo” sotto la croce portata dal giovane barilese
ma ora con il sussiego di un attore di provincia consapevole dei
molti flash e telecamerine familiari spudoratamente puntate sopra di
lui per riprendere da vicino quelle sue tre cadute canoniche, che un
tempo ricordavano la sofferenza e l' umiliazione e che ora erano
commisurate alla resa scenica. Rividi “Maria”, per il cui ruolo
un tempo si esigeva la verginità dalla giovane figurante e che
ora le si chiedeva di essere almeno casta.
Terminata la
Rappresentazione, rimasi relativamente perplesso. ‘Relativamente’,
perché anche Barile era stata fecondata dai modelli del consumismo
“magico” che aveva fatto dimenticare progressivamente il passato
di povertà. Si era verso la fine degli anni Novanta del Novecento
quando annotai questa avvenuta mutazione alla quale avevano
contribuito anche i nuovi mezzi di comunicazione con i loro nuovi
modelli di comportamenti.
La curiosità
intellettuale mi sollecitò a sapere “perché mai” erano nate le
Rappresentazioni del Venerdì Santo. La loro storia si sviluppò in
modo interessante ma non è questo il luogo per parlarne. Rimase
ancora in piedi la domanda non da poco: perché esse hanno ancora
successo nonostante il mutare della società e il modificarsi della
cultura? Andai ad “osservare” altre trentasei Rappresentazioni
delle centinaia allestite ogni Venerdì Santo in Italia: toccai
Savona, Castiglion Fiorentino, Todi, Gualdo Tadino, Cantiano, Sezze,
Atripalda, Bronte, ed altre ancora. Durante ogni mio viaggio la mia
sacca si gonfiava di opuscoli scritti da storiografi locali, spesso
enfatici, e di depliants turistici reclamizzanti la Rappresentazione
come “prodotto d’ eccellenza del territorio da accoppiare
all’assaggio dei prodotti gastronomici locali tipici.” (!)
Sono tornato a
Barile nel 2011 per riscontrare l'ulteriore “evoluzione”
dell'evento. Che dire del “fervente clima di religiosità
popolare” descritto dai suadenti opuscoli turistici locali? Esso
non c'è. O meglio, c'è ma è molto diverso dal quello del passato
il quale aveva la sua origine e giustificazione nella cultura
popolare.
Tale
cultura aveva un rapporto intenso con la natura, con le feste
tradizionali col loro carattere agrario perché il contadino aveva
un permanente rapporto con la natura. Ne conseguiva che i riti
religiosi erano intesi a propiziare l’ordinata
scansione dei cicli stagionali da cui dipendeva il buono o il cattivo
destino del raccolto e la sopravvivenza della comunità. Essi poi,
essendo connessi a tale scansione, assolvevano alla funzione di
sacralizzare il tempo e lo spazio. Per
un popolo di illetterati e di semplici, il culto si rivolgeva
essenzialmente ai sensi. La liturgia era un discorso fatto di gesti
stabiliti, di immagini visive. Le feste collettive offrivano momenti
di emozione collettiva in cui il messaggio religioso assumeva la
forma di un impeto generoso, un’adesione fervente il cui slancio
riscaldava il
cuore, rassicurava la coscienza. Questo mondo e questa cultura non
esistono più.
Oggi i
comportamenti sociali ricevono un valore completamente nuovo
“soprattutto” dalla forza persuasiva dei media. E tale forza
“esige”che la Rappresentazione debba essere spettacolo al quale
far partecipare un gran numero di turisti con le loro voci profane e
i loro “sacri” strumenti tecnologici. Il sussurro devozionale e
il silenzio emozionante rimangono ormai nel nido del ricordo.
E' questa la
“nuova” religiosità popolare? I due termini “nuova” e
“vecchia” religiosità popolare non hanno senso perché
religiosità significa sentire la presenza di forze profonde e
sovrapersonali che si trovano al di fuori e al di sopra dei carnali
confini dell’io personale, che pure la determina e la alimenta.
Forze che sono la storia religiosa di un popolo, una storia che è
sempre carne e presenza. E qui semmai si pone una seconda domanda: in
che modo oggi viene inteso il significato di religione? Ci sono già
i molti idoli e i molti miti del mondo contemporaneo. C''e la
filosofia universalistica dei diritti umani. C'è la coscienza
umanitaria e cose similari. Bene tutto questo. Ma è' appena da
ricordare che il termine religione,
oltre ad indicare il “legamento” a Dio, per secoli ha incluso
anche l’idea di scrupolo, di rispetto, di ordine, di
consapevolezza, di coscienza, e infine di sacralità. L'aria laica
che spira intorno a noi ha reso nebbiosa anche la visuale della
religiosità, popolare e non.
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