
Nelle isole Trobriand, nel Pacifico occidentale, esisteva la figura del “custode del kula”. Cioè dei bracciali e delle collane di conchiglie di alto valore simbolico da dare in dono ed avviare così lo scambio delle merci all’interno delle tribù dell’arcipelago. Senza il rituale del kula era impensabile il commercio e quindi la sopravvivenza stessa delle popolazioni . Se tale “custode” mangiava troppo fino a diventare obeso, si deduceva che egli facesse commerci poco chiari per procurarsi più cibo rispetto agli altri. Con tale sospetto e con l’aggravante di mangiare troppo, egli poteva essere ucciso da una donna del villaggio, la quale, se voleva, sposava il nuovo custode (coniugato o scapolo che fosse), designato dal consiglio degli anziani . Come moglie, anche lei doveva osservare le regole, pena la sua morte per inedia (cioè la facevano morire di fame). Tutti ciò perché i trobrianndesi fossero sobri e onesti.
Chi legge questa nota potrà dire che quanto detto sono chiacchiere da antropologo. Bene. Allora cito un altro esempio più vicino a noi : “Gargantua e Pantagruel”, il grande romanzo di François Rabelais. Tale libro è pieno di una lussureggiante vegetazione di episodi, di energia retorica, arditi giochi linguistici, arguzia, erudizione, comicità, umorismo, dissertazioni pseudofilosofiche, consigli pedagogici. E’ della prima metà del Cinquecento ma è immutato nei suoi significati (lo si stampa ancora, anche in edizione economica).
Tra le altre cose, le pagine descrivono i borghesi dell’epoca, riuniti in gruppi chiusi. Aggregati tra loro non per professione ma per capacità mangiatoria. Con la bocca piena sentenziano sui mali del mondo, quello lontano da loro, ovviamente. Parlano bene del principe, che quella grande tavolata ha approntato per loro affinché, occupati a mangiare, non parlino male di lui. Dicono male della Chiesa che promette il nulla futuro e lascia che i frati corteggino donne maritate e chierichetti angelici. E, infine, i protagonisti, presi da dubbi atroci sul significato dell’ esistenza, partono per raggiungere un paese in cui sta l’Oracolo della Divina Bottiglia. Cioè si mettono alla ricerca della felicità perenne. Arrivano al tempio della Divina Bottiglia, amministrato da fanciulle in fiore e la grande sacerdotessa dice loro che per dissipare ogni dubbio che la vita porta con se basta osservare un solo comandamento : “Trink!”, vale a dire “Bevi!”.
Chi legge questa nota potrà dire che le cose dette or ora sono chiacchiere da letterato. Concesso. Allora cito un altro esempio molto vicino a noi perché contemporaneo: la “Festa degli Auguri”. E’ una serata promossa da Club importanti: Lions Club, Rotary Club, il Panatlon,lSorptimist, ecc. Sono Club planetari, nel senso che sono presenti in tutto il mondo. Lo sono anche in Basilicata con più sezioni. I loro soci sono gruppi di uomini ampiamente rappresentativi delle attività industriali, commerciali e professionali uniti con i più stretti legami di amicizia. Si riuniscono anche per stimolare lo spirito di comprensione fra i popoli del mondo. E proprio in ordine a quest’ultimo aspetto sono lodevoli le iniziative abitualmente promosse. Certo, i tra i Soci vi sono alcuni anticlericali-soft, altri un po’ massoni adamantini, altri protesi al bene civico e familistico [non è corretto chiedere quale dei due termini abbia la precedenza]. Insieme hanno infine una generosa fiducia nelle immancabili conquiste dell’umanità! Sono uomini di mondo, rispettabilissimi.
Almeno una volta al mese si ritrovano insieme intorno ad un tavolo imbandito per confermare il senso di appartenenza. Vogliamo paragonarlo alla cerimonia del kula? E’ Natale e mettiamo da parte la malizia.
In prossimità di queste festività, i Club organizzano poi la “Festa degli Auguri”, che consiste nel far ritrovare i propri soci con moglie e ospiti personali intorno a tavoli riccamente addobbati, accolti e serviti da camerieri in guanti bianchi, seduti con altri soci-amici coi quali sorridere, ridere, alludere, ammiccare, pigolare e, se donne, valutare a colpo d’occhi gli abiti delle gentili mogli, ed ancora, ascoltar mangiando canti e musiche di un complessino chiamato “per allietare la serata”, come recita l’invito. E poi? Una piccolissima percentuale del costo della Festa, viene devoluta in beneficenza. E la coscienza è tranquilla.
Il rito annuale si consuma. Nessuno viene ammazzato per essersi affogato nel vino. I pancioni circolanti non corrono il rischio di sentirsi chiedere come hanno fatto a diventare adiposi. E’ certo però che qualcuno può anche chiedersi: perché sprecare tanti soldi per questa Festa quando c’è tanta povera gente in giro? E’ bello darsi gli auguri, ma non lo si può fare raccogliendosi soltanto intorno ad un panettone e un bicchiere di spumante? Magari anche col complessino. Non occorre tale Festa per sentirsi più rotariano, più lioniosta ecc. . Lo dico senza moralismo: non c’è mai limite ad essere più umani.
Io sono uno di loro e ho avvertito una tale esigenza. Sono certo che nessun collega mi dirà “Trink”!
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