
Stracciarolo è un mestiere socialmente non nobile pur se utile. Anche in passato non si era teneri nel valutarlo: lo si riteneva “sordido e inelegante”. Però, e qui sta la contraddizione, questo mestiere “dimostra tutta la sua bontade” perché dal momento in cui lo stracciarolo compra al momento della permuta degli stracci, intercorre un tempo durante il quale egli valuta ogni pezzo raccolto, studia quale posto assegnargli nei sacchi secondo la logica della raccolta differenziata per qualità e quale sarà i il valore di scambio.
Con l’andare del tempo egli diventa un tutt’uno con la mercanzia. Si fa “compagno e fratello” degli stracci. Questa mestiere è come un altro, egli pensa, è legittimo e non c’è nulla di male a professarlo. La gente comune sostiene però che il suo è un “trafficare bastardo oltremisura”.
Nei secoli passati lo stracciarolo commerciava in un quartiere particolare chiamato suburra (il quartiere dei casini, e a Roma, per esempio, sorgeva a ridosso dell’attuale Piazza Venezia fino a dove oggi sorge il Viminale). Tutti gli stracci raccolti confluivano in una grande camera. Ordinati per qualità e stato di conservazione, qui venivano barattati con oggetti d’uso. Di solito tale camera sorgeva in una strada , non lontana da un bordello e da osterie di infimo livello. I frequentatori di tale strada erano sempre numerosi e tutti trovavano leciti ed utili i vari commerci in essa svolti. Altri invece, le persone per bene cioè, la evitavano perché la ritenevano “tanto sgraziata e guasta”.
In quella camera lo stracciarolo era bravo perché, per vendere la sua mercanzia, aveva la capacità di far “passare per manto regale una cappa da pidocchioso, una lisa casacca da furfante schietto in vestimento puro, una giacca tutta unta di brodo e di grasso da vero tripparo in stoffa di velluto veneto di poco consumato, un cappello da boia come cappello da cardinale. Ed è tutto da vedere com’ egli si estende (=impegna) a lodare e magnificare ciascuno straccio con parole che suonano armonia a chi quel mestiere non sa e che tali stracci compra. Se tu dici che hai bisogno di un velluto o di una stoffa di Damasco, lui (lo stracciarolo) ti fa piovere addosso tante parole per farti convincere che quello strofinaccio da cucina che stringe nella mano è proprio quello che tu cerchi!. ..
“Le lusinghe delle parole e delle ciance è proprio di costui, perché ne ha tante , e tante sono le bugie sue e gli scongiuri, che il diavolo a fatica li potrebbe contare. Le astuzie, anzi le malizie e le furfanterie non possono essere misurate da tutti i geometri del mondo, né essere calcolate dai matematici, perché quante occhiate egli da alla propria robba , tante reti egli tende nel proprio animo per avvolgere con tali reti chi vuol portare dalla sua parte”.
La solidarietà poi era molto accentuata tra gli stracciaroli. Si concretizzava soprattutto in due campi: il primo consisteva nello stabilire il valore della merce “con il fine di svilire sempre la robba da comprare dagli altri” e il valore da dare alla stessa merce da barattare.
Il secondo campo era più complesso. Eccolo: se uno stracciarolo si ammalava, il collega barattava anche per lui. Se poi moriva e lasciava figli minorenni, il collega le prendeva a suo carico. Ma… Se erano ragazzini, li educava al suo mestiere – che era poi lo stesso del padre morto -, se bambine le mandava a mendicare davanti le chiese oppure a fare da aiuto sguattera in qualche bettola oppure, se belle, le infilava nei letti a riscaldare soprattutto gli anziani” che di caldo argento ne hanno più dei giovani”.
“Esso (lo stracciarolo) è molte volte cagione di gravi mali nelle terre e nelle città, perché compra panni infetti e ammorba, con le vendite di quelli, il popolo… Ancor più è il morbo dell’animo che da lui si contrae…. Quanto alla sua anima, se l’ha giocata il primo giorno che si pose a quest’arte da baro e da mariuolo perfetto in ogni cosa”.
Tutto questo che ho qui riportato è scritto nella pagine 469-70 del libro “Le professioni del mondo”, un testo della seconda metà del Quattrocento italiano.
C’è anche un altro testo, sempre del Quattrocento, dal titolo “De furtis”, che descrive lo straccivendolo come “quel che è per il più, cioè furbo e baro, e niente altro è più giusto per lui che barare le persone in qualche cosa”.

Un altro mestiere descritto è quello dei salinatori. Il testo è perfino divertente perché nel descrivere questo mestiere nella sua durezza, dice anche che ciascun salinatore è un uomo eternamente insoddisfatto. Il motivo? Eccolo: “li raccoglitori del sale nero di Comacchio amerebbero avere il sale rosso di Menfi (Turchia), quelli del sale rosso amerebbero avere il sale candido di Sicilia, questi di Sicilia amerebbero il sale rosa di Cappadocia e questi ultimi amerebbero quello giallo di Anatolia. Ora i salinatori son tutti degni di grandissima lode e per queste indecisioni confuse le mogli e i figli sono arrabbiati con essi perché non sanno quale sale usare per la giusta minestra”!
Come si diceva, a Roma l’ antica suburra iniziava non lontano dall’attuale Piazza Venezia….. e le botteghe dei salinari stavano ai Mercati Traianei, non lontano di li…
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