sabato 1 maggio 2010

CON NAZIM HIKMET A MOSCA


Era di maggio. Il primo. Sentii questa frase: “Sono odori che non vengono dalla nostra mente”. L’aveva pronunciata, tre le altre, Nazim Hikmet, il grande poeta turco che viveva nell’Unione Sovietica dopo la feroce prigionia subita in patria. Ci stava descrivendo l’odore di Lenin, di Esenin, di Majakovskij, personaggi da lui conosciuti. Parlava dal fondo di una sala della Biblioteca Lenin su via Gogol, non lontano dalla Piazza Rossa, a Mosca. Tutti i posti erano occupati dai giovani giunti dall’Occidente per celebrare i prossimi giorni di maggio: il primo, festa del lavoratori e il nove, festa della capitolazione della Germania nazista.
Al mattino nella Piazza Rossa avevamo assistito alla sfilata tradizionale. Imponente e impressionante. Ci avevano sistemati in un palco riservato - eravamo circa 500 venuti da più paesi europei – e collocato di fronte alle mura del Kremlino. Alle nostre spalle c’erano i grandi Magazzini GUM (una sorta di Rinascente locale ma povera di prodotti).
I nostri occhi erano un adarivieni dalla sfilata alla tribuna dove sorridente stava Nikita Krusciov. Ci passavamo di mano in mano un binocolo per meglio vedere quest’uomo dalla faccia contadina che anni prima aveva avuto il coraggio di denunciare i crimini di Stalin ma che aveva anche messo in crisi molti comunisti nel mondo mandando, nel 1956, i suoi carri armati a Budapest.
Himket, continuando il suo discorso sull’odore dei tre personaggi detti (e che noi li per lì non riuscivamo a capire), spiegava che il materialismo storico aveva recepito la questione dell’odore da uno dei suoi padri fondatori, Feuerbach. Il quale aveva rivendicato l’importanza del “naso” nella conoscenza della realtà sensibile, criticando non solo Hegel, incapace di conoscere veramente il mondo perché accettava solo malvolentieri l’esistenza del sensibile, ma anche il cristianesimo, produttore di un ideale di ‘castrazione’, privo di corpo, astratto. E citava il filosofo: “Ma l’individuo col suo organo dello spirito, la testa, per universale che sia, è sempre contrassegnata da un naso ben determinato, sia esso aguzzo o camuso, sottile o grosso, lungo o corto, dritto o curvo”.
E giù poi, Nazim, a fare una serie di esempi riferiti a questo e a quel personaggio politico, letterario, artistico del mondo sovietico. A tratti era esilarante altre volte serioso col suo caleidoscopio di parole in francese ma pur sempre mirate alla conclusione che già era stata del filosofo tedesco “Io sono un essere reale, sensibile, e il corpo appartiene al mio essere nel senso che il corpo nella sua totalità, è il mio stesso io, il mio stesso essere”.
Francamente restammo un po’ confusi di questo taglio particolare dato ad un aspetto del materialismo. Alcuni coetanei francesi, operai della Citroen, gli posero delle domande polemiche sui poteri degli odori all’interno della classe operaia. A distanza di tanti anni non ricordo per filo e per segno il battibecco, pur rispettoso, che ne seguì. Ricordo però che fu vivace (ricordo anche che le domande dei francesini apparvero incomprensibili ad alcuni giovani operai inglesi, a noi tutti noti per il loro forte odore di rancido e per questo evitati!).
Nazim per allentare la tensione in sala raccontò la “Storia del noce e di Yunùs”. Parlò di un giovane che abitava in un villaggio. In lui erano nascoste cose come nei grandi libri. “Accende il nostro fuoco e ci porta dell’acqua / Noi parliamo con lui degli alberi e dei giorni. / ‘Verranno con certezza i giorni più belli da vivere.’ / Intanto nelle nostre chiacchiere c’è la tristezza di un noce tagliato e venduto. / Lo conosciamo il suo noce / stava nel cortile / a sinistra della porta…/ Lasciava cadere le noci in settembre / le foglie restavano verdi fino a novembre / le radici andavano lontano sotto la terra / i rami guardavano Yunùs dall’alto / era talmente alto e largo/ che se ti sdraiavi la notte accanto al tronco / non vedevi le stelle.“
Yunùs non si meravigliava di nulla: non delle stelle che si spengono di giorno, né della terra che è tonda e che gira intorno al sole, neppure che i rinoceronti hanno un corno sul naso e che i microbi vivono a migliaia in una goccia. “ Un giorno mentre Yunùs ci accendeva il fuoco/ e ci dava l’acqua / gli abbiamo detto: ‘Siamo i tuoi servitori, tu sei il padrone’ / Fu allora che Yunùs restò a bocca aperta.” Poi la sciagura lo colpì: egli dovette vendere il bue e cadde nella malinconia: “La fine delle strade per certo è vicina / tutto quello che succede oggi / è al di là della ragione. / La terra è un pezzo di sapone: / scivola tra le mani. Ogni creatura ha casa in qualche posto / il lupo non ha casa in nessun posto / quando la terra ti scivola dalle mani / diventi un lupo…” E Yunùs per paura di perdere anche il suo noce, lo vegliava fino all’alba senza dormire. Ma il noce finì per diventare un gran numero di mensole. Nazim concluse: “Intanto, c’è nelle nostre chiacchiere la tristezza / di un noce tagliato e venduto”. (Era una sua poesia).
Anche oggi, 1 maggio 2010, sappiamo che il noce è stato tagliato, venduto. Col suo legno vengono allestiti anche palchi per i concertoni destinati ai giovani senza ideali e senza speranza. Tutto ci scivola tra le mani, come un pezzo di sapone. Dentro ci è rimasta la tristezza. Sterile.

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