
La bella fiction su sant’Agostino è finita. Ha chiuso con le parole furono che anche di Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. E’ qui il problema. Che non è da poco. Di chi non si deve avere paura? Di Satana (l’Ingannatore)? Per temerlo bisogna però credere nella sua esistenza. Diversamente, se laici o miscredenti, lo identificheremo con l’Altro diverso da noi. Lo chiameremo diavolo quando mortificherà le nostre ambizioni. O deluderà le nostre aspettative. O ci farà del male. Pensare all’esistenza di una forza esterna a noi alla quale addossare ogni responsabilità per gli errori commessi, beh, fa sempre comodo.
Rimane comunque il problema centrale di tutto il discorso: il male. Il male “del” mondo. Il male “nel” mondo. Esso ci fa paura. A volerlo pensare in termini filosofici si dovrebbe concludere che il male, il molto male e il poco bene è uno degli enigmi più duri del nostro stare “al” mondo. In termini antropologici dovremmo dire che il male fa comunque capo all’uomo. Quel “comunque” può davvero preoccuparci. E’ come dire che è l’uomo stesso a concepire e a gestire il male con cui danneggiare il prossimo.
Il discorso potrebbe complicarsi. Torniamo allora ad Agostino. Ho sempre raccomandato ai miei studenti universitari la lettura di uno dei libri più intensi e più belli mai scritti, le “Confessioni”,. Qui però voglio ricordare alcuni passi de ”La Città di Dio”.
E ricordo: “Un pirata cadde prigioniero nelle mani di Alessandro Magno, che, nell’ interrogarlo, gli chiese chi gli desse il diritto di infestare i mari. Il pirata rispose con franchezza, ma anche con arguzia e verità: “Per lo stesso diritto con cui tu infesti tutta la terra. Io uso una piccola nave e sono chiamato corsaro, tu usi una grande flotta, sei chiamato imperatore” (Libro IV, 4).
Chissà che risposta darebbe un lavoratore licenziato da una delle tante fabbriche della Basilicata a chi si ripresenta alle elezioni scortato da corazzate di imprenditori, palazzinari, professionisti e promettendo di mettere “tutti i lucani al centro del futuro”, di un futuro felice e senza Ingannatori!
E ricordo: “I cittadini acclamano non coloro che curano i loro veri interessi, ma coloro che favoriscono i loro piaceri, che non comandano cose difficili, che non proibiscono la poco onestà”(II, 20).
Chissà come prederebbero tali parole i sindaci delle notti bianche sprecone e quelli delle ‘e-state in città’ per divertire i paesani ma ignorando i vecchi seduti sulle consumate panchine a contemplare le loro ombre di solitudine estrema. Chissà cosa direbbero quei funzionari che esaltano i creativi “patti con i giovani”, tanto sterili quanto improduttivi, patti che, esauriti i finanziamenti pubblici, gettano nuovamente sulla piazza gli stessi giovani, autoreferenziali, disoccupati ed incompresi. Chissà che interpretazione darebberoquegli altri dell’ assessorato che fanno da garanti del business delle scandalose società dei corsi di formazione, gestite anche da parenti, amici e conoscenti dei vari consiglieri regionali.
E ricordo: “Interessa che aumentino le ricchezze [anche personali] per sopperire agli sprechi continui, per cui il potente può asservire a sé i deboli, e i poveri debbono inchinarsi al fine di assicurarsi un pane e godere della sua protezione in una supina inoperosità: il clientelismo come ossequio all’orgoglio” (II, 20). No comment…
E ricordo un’affermazione forse utile ai candidati nelle prossime elezioni (riconosco però che non ne necessato perché già sanno il loro mestiere): “I governanti non badano se i sudditi siano più o meno buoni, ma solo se sono sottomessi; le regioni obbediscono ai governanti non come difensori della moralità [politica], ma come dominatori e garanti di una vita tranquilla e un po’ godereccia; li temono da servi sleali, e non importa se li onorano con sincerità o ipocrisia” (II, 20).
E ricordo anche alcune domande dell’ intelligente retorica agostiniana: “Tolta la giustizia, che altro sono i regni della terra se non bande di disonesti? E una banda di disonesti, cos’altro è se non un piccolo regno? Non sono forse queste bande, associazioni di uomini comandati da un capobanda, legati da un patto politico e che si dividono il bottino secondo una legge stabilita tra di loro e da loro accettata?” (IV, 4). Dice così ed io non commento.
Chiudo con una parola di speranza riferita alle alleanze politiche: “Negli strumenti a corda o a fiato, oppure nel canto vocale, si deve produrre un accordo di suoni; se esso non varia e rimane monotono oppure stride, l’udito resta offeso. L’accordo risulta armonico dalla regolata intensità e diversità dei suoni. Così pure la Regione: essa si armonizza dalle ben regolate relazioni tra partiti, allo stesso modo dei suoni diversi, ma moderati con maestria in un perfetto accordo. Quello che i musici chiamano “armonia” , nella Regione è la concordia; concordia civile di una società, l’indispensabile vincolo che la fa sopravvivere e che assolutamente non può esistere senza la “giustizia”” (II, 21, 1).
Questo ci potrebbe aiutare a non avere paura.
1 commento:
Non c'entra nulla con l'articolo ma ... mi piacerebbe sapere ...
le sembra corretto che tutto il mondo si ricordi il dell'esistenza del giorno della memoria (solo in quel girno) e pochi sparuti invece sprechino 2 parole nel giorno del ricordo?
e ancora ... è giusto ricordare loro e far finta di non vedere cosa accade in tibet, cosa è accaduto nei gulag... cosa accade in infinite altre parti del globo, come dietro l'angolo di casa nostra?
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