
Erano in cinquantadue gli studenti e solo quattro hanno risposto. La domanda faceva parte del programma di storia dell’antropologia culturale. Quindi c’era l”obbligo”di studiarlo per presentarsi all’esame di qualche giorno fa. La domanda invitava a parlare dell’antropologia italiana fra le due guerre. La risposta comportava l’accenno a tre paragrafi concatenati tra loro:1) citare gli antropologi mandati dal Duce in Africa Orientale Italiana e i loro lavori che, nel dare un resoconto della cultura e della società di quel territorio, sollecitavano una “missione civilizzatrice” da compiere laggiù da parte dell’Italia.
2) Dire poi che quegli antropologi si ritrovarono nel 1938 con altri scenziati a Roma per l’VIII Convegno Volta. Tutte le relazioni tenute allora rivelarono un totale asservimento al fascismo e oscillarono tra uno sfacciato razzismo e un atteggiamento paternalistico verso la “razza negra”. Il rappresentante del Vaticano, il celebre antropologo Padre Schimidt, fece acrobazie per mascherare il suo antirazzismo e raccomandare alle autorità coloniali di avere una “giusta considerazione” per gli etiopi cristiani (!). Ci fu poi la relazione di Lidio Cipriani, caro a Mussolini per essere uno dei teorici della “razza pura”. Tra l’altro affermò la “inferiorità mentale irriducibile dei sudditi di colore, connessa a cause razziali di cui sarebbe pericoloso contaminarsi”. Tutti approvarono. Tutti applaudirono.
3) Infine, da queste due premesse arrivare alla conclusione che quei convegnisti decisero di rivedersi per stendere il “Manifesto della razza” il quale divenne la base ideologico-giuridica della politica condotta dal fascismo e delle leggi razziali emanate tra il settembre e il novembre del 1938, rivolte non soltanto contro gli ebrei ma anche contro alcune categorie di italiani.
Il Manifesto cominciava infatti così: “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo [Mussolini] il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo arianonordico.”
Il razzismo degli intellettuali e del governo italiano non fu “a rimorchio” della politica della Germania nazista contro la razza, così come comunemente si crede, ma fu all’avanguardia: in Italia, infatti, prima ancora che in Germania, furono create cattedre presso università pubbliche e private di “Biologia generale delle razze umane” e il Museo di Antropologia di Firenze divenne, per ammissione dello stesso Cipriani, “il principale centro in Italia in cui si elaborano idee razziste”.
Erano in cinquantadue gli studenti e tra i loro silenzi ostinati, i vari “non ricordo”, le risposte sfacciate come “questo capitolo mi ha annoiato”, “mi faccia un’altra domanda”, c’è anche chi ha detto:“Il Manifesto e le leggi razziali furono fatti da Mussolini contro i popoli primitivi”. Domando: “Ah, e dove stavano? “Risposta senza esitazione: “In Germania”. E un altro: “Le leggi razziali furono fatte contro le donne, i bambini e gli uomini scapoli”. E un altro: “Quel Manifesto ci fu perché quegli antropologi e scenziati furini costretti da Mussolini a firmarlo e anche perchè avevano capito che lui aveva ragione a dire che ebrei e negri erano inferiori”. E un altro: “Secondo me quel Manifesto andava fatto per mettere le cose a posto”. Domando: “Quali cose?” Risposta, ironica: “Vi pare giusto che il quartiere di Roma più sporco fosse quello degli ebrei? Meglio ripulirlo”. Ed io, facendo finta di non aver colto la sua ironia, ribatto: “Beh, bastava mandare tutti i giorni un po’ di spazzini a pulirlo, magari chiamando anche lei a dare una mano”. “Se c’ero, si che ci andavo … magari col mitra camuffato da scopa”. L’ho invitato a lasciare l’aula. E un altro, dalla parlantina efficace ma impudente: "Professò’ anche voi ci affliggete con questo argomento. Già ci dicono che Gesù, Marx, Einstein erano ebrei, tra un po’ diranno pure che Michelangelo, Raffaello e Manzoni erano ebrei per farci credere che loro sono superiori a noi”. E un altro ancora: “Quegli antropologi erano fascisti solo “di facciata”, mica si può incolparli. Pure Ernesto De Martino era tra quelli.”
“Già – rispondo demoralizzato – Ma tutti lo dissero “dopo”, quando il fascismo cadde ed alcuni di loro già erano andati ad occupare le cattedre lasciate libere dai proff. ebrei e dai proff. antifascisti cacciati via!” Poi dico ad alta voce ciò che in quel momento mi passava per la testa: “Non furono soltanto gli antropologi a firmare il Manifesto e a stare zitti dinanzi a quella barbarie ma anche molti intellettuali … penso a Piero Bargellini, Giorgio Bocca, Amintore Fanfani, Agostino Gemelli, Luigi Gedda, Giovanni Guareschi, Mario Missiroli, Giovanni Papini, Ardengo Soffici. Mi fermo qui”.
Una studentessa mi domanda con garbo: “Erano inellettuali importanti?” Sorrido con tristezza. Meglio canticchiare tra me e me la “Canzone per Silvia” di Guccini: “...da sempre l'ignoranza fa paura e il silenzio è uguale a morte". Nera come l’onda!
2 commenti:
..torneranno i quarantotto, o li ha promossi per non vederli più?
noisette
Grazie prof!
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