Passata l’Epifania noci e nocelle vanno via! Dice un vecchio detto. E quel ‘noci e nocelle’ indica la fine di un qualcosa di straordinario. Come straordinaria è stata la quantità di cibo ingurgitato. Ma si sa che queste feste da sempre hanno richiesto un consumo di alimenti in eccesso. Esse coincidono col periodo più corto dell’anno compensato con decorazioni di fronde, candele, luci e cospicue mangiate!
Nel Medioevo si pappava molto di più di oggi, considerato che durante l’anno il cibo era scarso. Si risparmiava durante l’anno per poter comprare a Natale alimenti e vino in quantità. Per pura curiosità cito re Giovanni d’Inghilterra: nel 1213 ordinò 3000 capponi, 1000 anguille sotto sale, 300 maiali, 100 libbre di mandorle e 24 botti di vino.
E’ stata però la civiltà industriale a modificare il modo di celebrare queste feste: invece di indirizzare al cibo, essa ha creato la moda di comprare regali fatti in serie. Inizialmente puntò su quelli da donare ai bambini e alla servitù. I commercianti divennero ottimi promotori di questo nuovo modo di celebrare la festa tant’è che nella seconda metà dell’Ottocento resero diffusa la mentalità di “esprimere i propri sentimenti” spendendo il denaro nell’acquisto di oggetti da regalare ai familiari perché – e qui sta un’altra novità – “regalare vuol dire voler bene ai propri cari”. Cioè il regalo diventa uno strumento per esaltare i valori familiari e dell’infanzia. Che mistificazione!
Bisogna anche dire che in parallelo furono concepiti i “pranzi di carità”, cioè quei pranzi natalizi destinati ai poveri. E la coscienza borghese si sentì a posto!
Man mano che la società industriale si afferma, il Natale finisce per diventare una scuola per il consumismo. “Con esso impariamo a equiparare il piacere con il materialismo”, scrisse il New York Times nel 1960. E siccome il consumismo ama espandersi senza limiti, al fine di contestarlo viene fondata in America, nel 1979, la SCROOGE (Società per limitare i Ridicoli, Immorali, Vanitosi scambi di Doni) con lo scopo di eliminare la maggior parte degli aspetti commerciali del Natale. E ancora: nel 1999 l’istituto di psicologia di un’università inglese ha reso noto che le spese natalizie arrecano danni alla salute e che i livelli di stress per le persone che si recano nei negozi affollati sono paragonabili a quelli dei piloti da combattimento (!). E inoltre: le donne hanno minore stress se vanno a fare le compere con i bambini rispetto a quando vanno con i loro mariti (!).
Negli articoli precedenti ho parlato di alcuni simboli del Natale. L’ho fatto, documentandomi, perché molti di noi li usano senza conoscerne l’origine e il significato. E’ vero, nessuno ce lo dice più, ormai. Noi sappiamo però che ognuno di noi, in quanto essere umano, possiede una propria mitologia, eleva a rango di simbolo alcune persone e cose che rappresentano qualcosa d’importante per il proprio mondo personale. Tale capacità non è innata bensì acquisita. Ciò vuol dire che anche i simboli vanno “inseriti” nel nostro sapere e quindi vissuti.
Oggi di simboli ce ne danno a iosa: ci vengono sbattuti in faccia dell’ossessivo diluvio della pubblicità, dalle dilanianti parole della politica, dagli insulsi sermoni domenicali, dall’effluvio dei colloqui telefonici e relativi ‘messaggini’, dalle generose e solitarie peregrinazioni col computer. Alcuni di noi credono in essi, altri li utilizzano soltanto. Sono simboli nuovi, d’accordo, perché ogni società ne crea dei nuovi da aggiungere a quelli antichi, se questi rispondono ad una qualche esigenza di cultura o di spiritualità.
Ora è successo che nel corso della pubblicazione dei precedenti articoli ho ricevuto delle note su facebook e per e-mail, e questo mi ha fatto piacere. In esse sono apparsi atteggiamenti mentali diversificati. C’è chi ha scritto: “bisognerebbe credere nei simboli da lei spiegati, ma serve a qualcosa?”. Altri hanno inveito: “basta con questi fossili”. E ancora: “nel ventunesimo secolo bisogna credere ancora a queste cose? Usiamo le cose come sono e basta”. Conclusione: vischio, panettone, albero, pesce, vino eccetera vanno considerati soltanto come “oggetti” da consumare. Vi è stata anche qualche frase di diverso tenore: “grazie per aver ricordato che i simboli sono chiavi per comprendere il mondo spirituale”.
Certo, la nostra ragione calcolatrice e il nostro pensiero scientifico rifiutano i simboli nati nel Medioevo (perché gran parte dei simboli natalizi sono nati allora) come qualcosa di arretrato, oscurantista, ecc. . Essi, che per secoli hanno consentito di interpretare e a volte anche di regolare la realtà, si sono ormai disfatti sulla nostra bocca come funghi ammuffiti. Ma per chi è afflitto dall’ inestinguibile residuo dell’anima, sopravvissuta dentro il corpo devastato dai mille desideri del consumismo, i simboli antichi sono come un qualcosa di caldo annidato dentro di lei. E lei, l’anima cioè, rimane pur sempre, come diceva il poeta Rainer Maria Rilke, spazio, cielo, intensificato, dove gli uccelli si gettano in un volo impetuoso e dove spira, costante e profondo, il vento del ritorno.
(Fine)
Nel Medioevo si pappava molto di più di oggi, considerato che durante l’anno il cibo era scarso. Si risparmiava durante l’anno per poter comprare a Natale alimenti e vino in quantità. Per pura curiosità cito re Giovanni d’Inghilterra: nel 1213 ordinò 3000 capponi, 1000 anguille sotto sale, 300 maiali, 100 libbre di mandorle e 24 botti di vino.
E’ stata però la civiltà industriale a modificare il modo di celebrare queste feste: invece di indirizzare al cibo, essa ha creato la moda di comprare regali fatti in serie. Inizialmente puntò su quelli da donare ai bambini e alla servitù. I commercianti divennero ottimi promotori di questo nuovo modo di celebrare la festa tant’è che nella seconda metà dell’Ottocento resero diffusa la mentalità di “esprimere i propri sentimenti” spendendo il denaro nell’acquisto di oggetti da regalare ai familiari perché – e qui sta un’altra novità – “regalare vuol dire voler bene ai propri cari”. Cioè il regalo diventa uno strumento per esaltare i valori familiari e dell’infanzia. Che mistificazione!
Bisogna anche dire che in parallelo furono concepiti i “pranzi di carità”, cioè quei pranzi natalizi destinati ai poveri. E la coscienza borghese si sentì a posto!
Man mano che la società industriale si afferma, il Natale finisce per diventare una scuola per il consumismo. “Con esso impariamo a equiparare il piacere con il materialismo”, scrisse il New York Times nel 1960. E siccome il consumismo ama espandersi senza limiti, al fine di contestarlo viene fondata in America, nel 1979, la SCROOGE (Società per limitare i Ridicoli, Immorali, Vanitosi scambi di Doni) con lo scopo di eliminare la maggior parte degli aspetti commerciali del Natale. E ancora: nel 1999 l’istituto di psicologia di un’università inglese ha reso noto che le spese natalizie arrecano danni alla salute e che i livelli di stress per le persone che si recano nei negozi affollati sono paragonabili a quelli dei piloti da combattimento (!). E inoltre: le donne hanno minore stress se vanno a fare le compere con i bambini rispetto a quando vanno con i loro mariti (!).
Negli articoli precedenti ho parlato di alcuni simboli del Natale. L’ho fatto, documentandomi, perché molti di noi li usano senza conoscerne l’origine e il significato. E’ vero, nessuno ce lo dice più, ormai. Noi sappiamo però che ognuno di noi, in quanto essere umano, possiede una propria mitologia, eleva a rango di simbolo alcune persone e cose che rappresentano qualcosa d’importante per il proprio mondo personale. Tale capacità non è innata bensì acquisita. Ciò vuol dire che anche i simboli vanno “inseriti” nel nostro sapere e quindi vissuti.
Oggi di simboli ce ne danno a iosa: ci vengono sbattuti in faccia dell’ossessivo diluvio della pubblicità, dalle dilanianti parole della politica, dagli insulsi sermoni domenicali, dall’effluvio dei colloqui telefonici e relativi ‘messaggini’, dalle generose e solitarie peregrinazioni col computer. Alcuni di noi credono in essi, altri li utilizzano soltanto. Sono simboli nuovi, d’accordo, perché ogni società ne crea dei nuovi da aggiungere a quelli antichi, se questi rispondono ad una qualche esigenza di cultura o di spiritualità.
Ora è successo che nel corso della pubblicazione dei precedenti articoli ho ricevuto delle note su facebook e per e-mail, e questo mi ha fatto piacere. In esse sono apparsi atteggiamenti mentali diversificati. C’è chi ha scritto: “bisognerebbe credere nei simboli da lei spiegati, ma serve a qualcosa?”. Altri hanno inveito: “basta con questi fossili”. E ancora: “nel ventunesimo secolo bisogna credere ancora a queste cose? Usiamo le cose come sono e basta”. Conclusione: vischio, panettone, albero, pesce, vino eccetera vanno considerati soltanto come “oggetti” da consumare. Vi è stata anche qualche frase di diverso tenore: “grazie per aver ricordato che i simboli sono chiavi per comprendere il mondo spirituale”.
Certo, la nostra ragione calcolatrice e il nostro pensiero scientifico rifiutano i simboli nati nel Medioevo (perché gran parte dei simboli natalizi sono nati allora) come qualcosa di arretrato, oscurantista, ecc. . Essi, che per secoli hanno consentito di interpretare e a volte anche di regolare la realtà, si sono ormai disfatti sulla nostra bocca come funghi ammuffiti. Ma per chi è afflitto dall’ inestinguibile residuo dell’anima, sopravvissuta dentro il corpo devastato dai mille desideri del consumismo, i simboli antichi sono come un qualcosa di caldo annidato dentro di lei. E lei, l’anima cioè, rimane pur sempre, come diceva il poeta Rainer Maria Rilke, spazio, cielo, intensificato, dove gli uccelli si gettano in un volo impetuoso e dove spira, costante e profondo, il vento del ritorno.
(Fine)
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