
I degnissimi direttori di istituti di statistica e quelli di giornali del Nord sicuramente hanno letto “Cristo si è fermato a Eboli” e pertanto non appartengono a quel numero di persone che credono che la vita delle popolazioni si conosce soltanto in base alle statistiche. Forse questa è un’ affermazione stupida. La faccio però per introdurre un argomento: la povertà/la fame, la gola/l’accidia. Ma non è “un” argomento, potrà dire qualcuno. Sul piano filologico certamente no. Se però questi quattro sostantivi li riferiamo alla Basilicata, allora si, è un solo argomento.
Prendiamo per primo “la povertà/la fame”. Grazie ad esso Carlo Levi ha costruito la sua fortuna di narratore. Ne ha parlato nei termini in cui lo ha conosciuto nei lontani anni Trenta, durante il suo confino da queste parti. Negli anni Cinquanta è poi venuto De Martino per “scoprire” che oltre ad essere poveri e morti di fame, eravamo anche magi, fattucchieri e fermi al ‘pianto antico’. Il primo ha lasciato il segno nel mondo intero. Il secondo nel mondo accademico. Poi è arrivato di recente un terzo, il regista Coppola, che, in chiusura di uno spot pubblicitario, afferma (cito a memoria) “dico ai miei amici: se volete vedere l’Italia com’era cinquant’anni fa, visitate la Basilicata”. Che piaga, verrebbe da pensare!
Ma piaga non è perché i cafoni di Levi, i contadini di Scotellaro, i figli della malasorte di Buccino, gli ultimi cusci di Fiorellini, i parenti lontani di Cappelli non sono personaggi – ed essi vanno dal 1938 al 2005 - inventati. Impersonano semmai la malattia che da sempre colpisce le popolazioni misere: la povertà/ la fame, qui strutturale perché atavica.
In fatto di povertà, l’ISTAT ci ha appena detto che la Basilicata è al primo posto in Italia. A questa condizione si è arrivati negli ultimi dieci anni. Cioè da quando al governo regionale ci sono i relativamente giovani con i loro elegantissimi “abiti del male”, come li chiama Aristotele, vale a dire i sette peccati capitali [che sono, per chi li avesse dimenticati: accidia, avarizia, gola, invidia, ira, lussuria, superbia]. E si sa che i peccati non sono soltanto sette perché essendo “capitali” ne generano altri. Già la stessa parola “capitale” ha tre significati: di “primario”(quindi non secondo a nessuno), poi “alla testa di” (cioè che ne genera altri, veniali), e infine significa sinistramente “meritevole di punizione capitale”, cioè tanto grave da attirarsi una condanna a morte. Non pensiamo neppure lontanamente di mandare a morte qualcuno ma vorremmo almeno che questi governanti fossero meno “peccatori” nei nostri confronti. Per quante benedizioni abbiano dato i preti a tutti loro, per quanto essi vadano a sfilare con faccia contrita davanti alle statue delle varie Madonne lucane, resta il fatto che non hanno voluto e non vogliono – coscientemente - vincere la povertà/la fame locale. Eppure, bisogna riconoscerlo, sono stati sempre onesti nel dire ai loro amministrati: “prendete la valigia di cartone e partite”. Questo ieri. Oggi, invece: “prendete la laurea e partite”. La piaga! La piaga non è stata mai guarita.
Ma in questi giorni, sempre dall’istituto di statistica, vengono messi in evidenza due improvvisi e nuovi dati. E sono sorprendentemente speculari agli altri due storici. Questo motivo crea qualche scompiglio. Ecco il primo nuovo dato: le donne lucane sono le più grasse d’ Italia. Wow! Vuol dire che non fanno più la fame e mangiano molto? Che non sono più povere e mangiano bene? O che mangiano molto e male? Che amano le diete ipercaloriche (salsicce saporite, sughi densi, olio abbondante…).
Non andiamo per il sottile: l’importante è vederle ed essere certo che hai di che stringere tra le braccia! D’altronde i maschi locali ne sono felici e contenti. Dice un vecchio detto lucano (lo trascrivo) “più legna hai e più fuoco avrai”. Nella Basilicata contadina il numero dei figli era una “benedizione di casa” (così inculcavano i preti, che figli da sfamare non ne avevano). Nella Basilicata di oggi la benedizione di casa è la donna grassa (così predica il supermarket, nonluogo di eccellenza dove ognuno è uguale all’altro, senza più identità).
Questo dato, la grassezza, non contraddice quell’altro antico, la fame, strutturale alla società lucana di Levi & C.? Le TV e i giornali nazionali hanno azzardato qualche commento ironico sulla regione più povera che ha le donne più grasse. Un commentatore si è chiesto, con molto garbo in verità, dove prendono i soldi per fare la consistente spesa. Non hanno capito che in Basilicata il cibo ora è diventato una questione “ideologica” nel senso che, giustamente, non è soltanto un diritto mangiare a mezzogiorno e sera, ma è un dovere “mangiare molto”. E’ un principio ormai acquisito e praticato quotidianamente. Lo confermano i numerosi supermarket esistenti e di prossima apertura. Perché mai è un “dovere”. Una prima risposta la si rinviene in quella fame patita per secoli. Una seconda, nuova certamente, trova la donna lucana di fronte al video, supina, con davanti il cibo chiropratico (=patatine, pop-korn, spuntini, ecc. tenuti in mano), pronta a bersi tutto, a nutrirsi anche delle ombre colorate, consumando tutto acriticamente, invidiando la merce esaltata e desiderata, concupendo le immagini degli show, indifferente alle notizie, perversamente orgogliosa della distanza, qualsiasi essa sia, di cui riesce a beneficiare tra la sua poltrona e ciò che appare sullo schermo.
(continua)
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