domenica 9 agosto 2009

BASILICATA A PIEDI

LA STORIA del viaggio evoca un passato in cui le cose erano diverse da come sono nel presente, fornisce una prospettiva esterna e comparativa su ciò che è familiare, una prospettiva dalla quale il familiare e il presente possono diventare qualcosa di estraneo.
In tale chiave continuiamo a parlare dei viaggiatori stranieri in Basilicata nel Sette-Ottocento. Nel 1828 vi passa un umanista scozzese (1828). E’ Craufurd Tait Ramage. Parte da Napoli. Attraversa i paesi della costiera, diretto in Calabria di cui ci lascia una bellissima descrizione. Fa sosta a Maratea. Qui è oggetto dall’eccessiva “ospitalità lucana” profusa dal sindaco, che lo costringe ad alloggiarlo in casa. La quale viene “subito affollata dai notabili” curiosi di vedere lo straniero. Che, stanco, vorrebbe andare a dormire. E’ però spinto ad apprezzare una collezione di cammei, ritenuti preziosi ma che tali non sono. Ad andare in chiesa per ammirare una statua ritenuta un capolavoro, ma che è soltanto “scolpita da un modesto artista”! Gli annunciano la cena. “Con molta curiosità osservai la tavola da pranzo sovraccarica di cibi. Tovaglia e piatti apparivano scadenti e grossolani. Le posate d’argento invece ostentavano la ricchezza della famiglia”. Con l’insalata c’è “un capretto arrostito, conigli e quella che essi chiamano gelatina di maiale, nonché un’insalata di capretto immersa nell’olio. Il pasto era chiuso da sedano e fagioli. Eccellente il vino”. Finalmente gli è consentito di ritirarsi in stanza: è ampia, elegante “benché la polvere del tempo le avesse ora impresso un aspetto sbiadito”.
Con sobria curiosità, nel 1838 il pittore inglese Arthur John Strutt va verso Lauria. Salutano le sue orecchie “volgari zampogne di pastori”. Chiede una stanza ma “la vecchia acida e grassa ostessa” lo costringe a dormire in gruppo. Passa per Castelluccio “appollaiata in malinconica magnificenza su una roccia”. Si ferma a Rotonda, “paese sporco”. Di questi tre paesi soltanto Lauria viene ritratta in una tavola, che egli pubblica a Londra nel 1844 assieme alle 64 incisioni fatte in viaggio nel volume “Un viaggio a piedi in Calabria e in Sicilia”. Riscuote un notevole successo rafforzando nell’opinione pubblica inglese l’idea di un Sud d’Italia povero ma bello!
Nove anni dopo (1847) arriva Edward Lear, anch’egli inglese e pittore. Ci viene per ripiego. Egli infatti sta visitando la Calabria quando scoppiano i primi moti rivoluzionari. Impaurito s’imbarca per Napoli. Da qui viene da noi fermandosi soltanto in alcuni paesi del Vulture. Del monte lo affascinano le “delicate sfumature di colori, le sue linee che si fondono con la pianura, dove scintillano le ultime luci cremisi.” Melfi lo colpisce: “tante delicate bellezze in uno spazio così limitato non si vedono spesso, e persino in Italia”! Le bellezze cui accenna sono “il limpido ruscello, i maestosi castagni, le numerose fontane, le cave nelle rocce, i conventi e le chiese disseminate nei sobborghi, le case affollate, i campanili, il castello.” Presso quest’ultimo è ospite del fattore del principe Doria.
Passati quattro giorni, transita per Lavello dirigendosi in Puglia. Rientra quindi in Basilicata attraversando Montemilone. Annota: “I soli soggetti degni di nota sono cinque bambini svestiti, perversamente trascinantesi a terra come tanti scuri ragnetti”. Cosi. Terribilmente! Arriva a Venosa e s’incanta perché la sua “aria del passato è dolorosamente bella”. Lo ospita la ricca famiglia Rapolla. Disegna alcuni acquerelli e passa a Rionero, ospite dei Catena. Di questo paese dice soltanto che c’è un’industria della seta.
Lo attrae la festa di San Michele a Monticchio. Vi partecipa il 29 settembre. Qui realizza uno dei suoi acquerelli più belli: coglie il carattere solitario, maestoso, misterioso di quest’angolo del Vulture e gli conferisce un’atmosfera quasi fiabesca.
Lear descrive con compiaciuta minuzia le abitazioni dei suoi anfitrioni. Parla dei pianoforti e dei concertini, del francese delle padrone di casa e del loro vestire “secondo l’alta moda napoletana”. Ma accenna, quasi per caso, ai contadini incrociati i quali “per riguardo si levano il cappello da lontano, e attraversando l’opposto lato della strada, restano lì eretti come statue mentre noi passiamo”.
Un’altra nota antropologica la scrive ricordando Monticchio dove viene a trovarsi gomito a gomito coi contadini-pellegrini al riparo dalla pioggia nei corridoi del convento. “Durante la notte la loro gioviale festosità era molto rumorosa, per non parlare della vicinanza alle nostre camere di asini e muli, che frequentemente ragliavano facendo più rumore di un guitto e di quattro o cinque zampognari a pieno ritmo, come pure si udivano grandi gruppi corali impegnati a cantare, in una maniera molto terrestre, inni spirituali rievocanti i miracoli di San Michele.”
Attraversa Atella “pittoresca ma malinconica città”. Di qui va a Lagopesole trovando il castello immerso in una “selvaggia solitudine” e un po’ bruttino. Così è pure è di Potenza, “una città tanto brutta per forma, dettagli e posizione, che si è quasi tentati di evitarla”. Scappa subito.

2 continua

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