IL VIAGGIO è un agente e un modello di trasformazione, un’esperienza di mutamento continuo, familiare a tutti gli esseri umani dal momento in cui acquisiscono la locomozione durante la prima infanzia. A questa legge universale non si sottrae il medico tedesco Karl Wilhelm Schnars, venuto in Basilicata nel 1856.
Il primo impatto è positivo: “per la sua natura incontaminata lo spontaneo splendore del paesaggio, il viaggiatore dovrebbe essere attratto dal visitare la Basilicata. Alla sua visione il viandante resta silente e spalanca gli occhi spesso, ma soprattutto quando il profumo di ombrosi boschi d’abeti con malinconia gli sembra familiare, e tutt’intorno squarci nella roccia, e fenditure, e dirupi montuosi, richiamano le nordiche immagini del mondo alpino.”
Egli guarda alla regione come se stesse al microscopio. Niente dunque deliqui poetici, visioni plastiche, concezione romantica del popolo. Anzi, proprio in riferimento a quest’ultimo, dà delle descrizioni asciutte: “gli abitanti sono robusti, forti, laboriosi, modesti, pieni di talento, ma irosi, gelosi, non molto ospitali e socievoli. Circa le loro capacità intellettive, la scuola è incompleta ed insufficiente. L’abbigliamento della popolazione rurale comune è molto misero e sporco. Quelli maggiormente oppressi dalla miseria prendono facilmente e volentieri la via del vizio. I contadini sono laboriosi e le donne aiutano i loro uomini nell’agricoltura.. I più benestanti esigono una deplorevole sudditanza da parte dei poveri. Si occupano poco del miglioramento dei loro rapporti, dell’istruzione e delle relazioni e le ostilità si ereditano di generazione in generazione”. E chi sono quei “benestanti” che esigono dai contadini la coppola in mano? Schnars li cita per nome: sono i Guiaculli di Lavello, i Rapolla di Venosa, i Corbo di Avigliano, i 2.485 sacerdoti, i 1580 frati, le 590 monache che, con i benefici annessi alle loro 425 chiese, costituiscono una mappa fondiaria non estrtanea allo sfruttamento di quei contadini.
L’intera classe proprietaria è descritta come inetta, ignorante, chiusa nel guscio del proprio paese. “I benestanti di Lavello non erano mai stati a Napoli.” I suoi caprai “sono della più grande indolenza.” A Melfi “il signore si occupa più dei quadrupedi che dei problemi dell’umanità bipede.” Potenza “ha cittadini abbastanza ignoranti”. I suoi galantuomini poi non riescono a capire la necessità di viaggiare senza un secondo fine concreto.
Nelle case “i discorsi sulla politica sono scrupolosamente evitati”, né si parla dei politici che stanno a Napoli. Egli nota una diffusa soggezione totale al potere centrale purché lasciati in pace nella gestione degli affari locali.
Non vede libri negli scaffali di famiglia. Li nota soltanto nel Liceo Statale di Potenza e in casa Corbo di Avigliano. I membri di questa famiglia sono belli, ricchi e colti. Li descrive “come principi, senza limiti di potere e rispettati da tutti, giacché anche in questa provincia ci sono da dieci a dodici proprietari terrieri che dirigono la volontà e le azioni di molte migliaia di uomini.”
Nel complesso però Schnars si fa un’opinione negativa dei galantuomini, considerati membri di una classe sfaccendata ed oziosa. Nei loro confronti non usa l’invettiva ma l’ironia (bellissima in tal senso è la descrizione dei galantuomini di Potenza che per non ospitarlo si fingono o ammalati o partiti o in campagna, ma che poi incontra durante la passeggiata serale).
Ai proprietari terrieri lucani egli rimprovera l’incapacità d’iniziative economiche: “basano l’ agricoltura ancora su metodi primitivi. Qui il terreno non viene concimato, valutato e lavorato secondo le specie dei semi.” Nota anche l’incapacità di sviluppare la caccia e la silvicoltura e conclude: “questa gente potrebbe diventare ricca se avesse il concetto di silvicoltura”.
Schnars non ha la visione romantica del “popolo”. Lo guarda con freddezza e distacco. Tuttavia, verso i contadini di Avigliano, che lo assediano curiosi di vedere la sua coperta di pelliccia di castoro, ha alcuni accenti delicati: “essi sono estremamente gentili e rispettosi, gli uomini indossano vestiti blu, mantelle, giacche, cappelli a punta marroni e neri, mentre le donne indossano un bruttissimo costume scuro e colossali orecchini tondi (circelli).”
Visita Acerenza, che lo sorprende per la sua pulizia, e, da medico, annota: “la gente qui vive molto a lungo, non di rado oltre i cento anni, e perciò il paese viene scelto dai pugliesi come luogo di convalescenza.” Dopo Tolve è a Picerno. Su quest’ultimo scrive una delle sue pagine più belle. Riporta anche l’episodio di un contadino picernese che zittisce il re, di passaggio, con un’ osservazione sui costanti latrocini commessi dai galantuomini locali! Ha anche pagine belle sugli “splendidi quadri paesaggistici” di Vietri, ma è duro con “la perfida fisionomia da ladro” dell’oste vietrese che gli “presenta un conto sfacciatissimo”, presenti i vigili urbani. L’ultimo suo ricordo è la visita a Saponara/Grumento dove, dinanzi ai reperti archeologici, rivive mentalmente le battaglie romane qui avvenure, tra cui quella contro Annibale. Bilancio del viaggio?….
3 - Continua
lunedì 17 agosto 2009
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