domenica 26 luglio 2009

L' ETERNO RITORNO

Ricordo di essere stato, per due anni, assistente alla regia al Teatro dell’Opera di Roma. Mi sorpresi degli alti stipendi percepiti dai tecnici di qualsiasi livello. Dagli orchestrali. Dai coristi. Fecero scioperi selvaggi per ottenere di più e l’ottennero. Per ottenere orari ridotti e li ottennero. Si continuò a corrispondere alti cachet ai cantanti e ai direttori d’orchestra. Si sprecarono soldi per le messe in scena con scenografi di partito. Soltanto una scenografia fu meravigliosa: la concepì il grande Giacomo Manzù per l’Edipus Rex di Igor Stravinskij. Ma nessuno si è mai preoccupato dello spaventoso rosso dei bilanci. I cachet sono saliti senza preoccupazione. Non soltanto all’Opera di Roma ma in tutti quei teatri d’opera, peraltro privilegiati dalla legge sugli enti lirici e sinfonici.
“Per un cantante la vera America è l’Italia”. Mi diceva qualche anno fa mio cugino, allora direttore generale e regista stabile del Teatro dell’ Opera di Pittsburg in Pensilvania (USA) Da lui erano di casa grandi cantanti e direttori d’orchestra. E quando uno di questi, celebre direttore di un grande teatro italiano, andò in tournée in USA accettò il cachet d’uso da quelle parti e pari ad un terzo di quello che prendeva, e prende, in Italia Io stesso, nei quindici anni di conduzione dell’Ateneo Musica Basilicata, ho dovuto sempre contrattare duramente con i musicisti sul cachet richiesto e sulla necessità amministrativa di avere il rilascio della relativa fattura (di solito non amano farlo).
Certamente fu una “mazzata“ per lo spettacolo quando, nel 1996, Veltroni, ministro peri beni culturali, ridusse la tassa sui biglietti d’ingresso ma aumentò dall’11 al quasi 25 per cento le tasse ENPALS (ente previdenza lavoratori spettacolo) pagati da chi organizza.. Nessuno aprì bocca.
Ricordo che quando scrivevo per la prestigiosa Rivista del Cinematografo ebbi occasione di andare sui set di Monicelli, De Sica, Tognazzi, Gemma e altri per intervistarli. Scherzando finivo col chiedere perché guadagnassero tanto. Rispondevano rammaricandosi di non guadagnare quanto i loro colleghi americani. Replicavo che, a prescindere dall’interlocutore, in America c’è una feroce selezione legata al talento!
Gli stessi discorsi avvenivano quando frequentavo il Teatro Stabile di Roma. Già da allora e negli anni successivi Zeffirelli insisteva perché fossero aboliti i teatri Stabili per la loro invadente egemonia e la loro qualità di mangiasoldi dello Stato. Per anni ha detto pubblicamente “basta alle sovvenzioni, gestite dalle maggioranze di turno, dalla burocrazia e dalle cosche”. Per cosche intendeva quelle compagnie egemoni e politicizzate che regolavano i contributi e i cartelloni teatrali italiani. E’ stato inascoltato
Ricordo che la mia prima intervista, in assoluto, la feci ad Edoardo De Filippo all’Hotel Vesuvio di Napoli. Avevo venticinque anni e per nascondere la mia emozione divenni un po’ aggressivo. Lui capì e, porgendomi con garbo una tazza di caffè, mi disse: “Prenda e si calmi, non faccia come i direttori degli Stabili”. Mi parlò del costante atteggiamento aggressivo tenuto verso quegli attori che loro – “loooro!” sottolineò ripetendo – ritenevano pericolosi alla politica di egemonia che conducevano e concluse: “l’assistenzialismo ministeriale conduce alla corruttela”.
Terminato “Mistero buffo” in un sovraffollato teatro sulla Casilina, Dario Fo parlava, da par suo, sull’inutile e tritasoldi ETI (Ente Teatrale Italiano) chiedendone la chiusura. Ancora continua a farlo. Ancora continua ad essere inascoltato.
C’era, forse, dell’esagerazione in tutto ciò ma a tutt’oggi la storia non è cambiata granché. Da decenni si grida ogni qualvolta un governo – da quello apparentemente liberale di destra o collettivista e dirigista di sinistra, – apporta tagli allo spettacolo. I 250 mila lavoratori e le seimila imprese dello spettacolo gridano puntuali all’unisono: “uccidete la cultura”. E’ però un grido corporativo.E’ corporativo, pur se con l’indotto lo spettacolo porta soldi.
Finalmente tre personaggi, Lucchesi, Monaci e Shammah hanno formulato, sul Corriere della sera, alcune proposte davvero innovative, forse rivoluzionarie, rispetto allo status quo, proposte che il ministro Bondi dovrebbe leggere attentamente in quanto esse potrebbero diventare le prime pietre per la formazione di un nuovo modo di pensare lo spettacolo in Italia, sia da parte di chi governa che di chi vive in e con esso.
Per cominciare, scrivono i tre firmatari, andrebbe “applicata la sentenza dell’Antitrust contro l’illecito comportamento delle amministrazioni pubbliche locali che realizzano direttamente il prodotto culturale anziché sostenere la fruibilità sul territorio”.

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