“EMIGRANTE è il cittadino che si rechi in Paese posto al di là del Canale di Suez, escluse le colonie e i protettorati italiani, o in un Paese posto al di là dello Stretto di Gibilterra, escluse le coste d’Europa, viaggiando in terza classe”. Così recitava l’art. 6 della legge n. 23 del 31 gennaio 1901. La firmò anche Emanuele Gianturco. Essa, tra l’altro, vietava la partenza verso quei Paesi in cui la libertà e gli averi dell’emigrante potevano correre grave pericolo. Seguiva la norma riguardante i minori ”nonché il loro destino in Paese straniero”. Un articolo autorizzava il Banco di Napoli a svolgere, in esclusiva, il servizio della raccolta, impiego e trasmissione in Italia dei risparmi degli emigranti e ad aprire all’estero proprie agenzie.
I maggiori benefici furono conseguiti dal Banco. Gli stracci continuarono ad andare per aria. I bambini ad essere venduti e piazzati negli opifici americani con paga da fame, come per gli adulti impiegati in lavori rifiutati dagli autoctoni. Nella scala sociale e salariale vennero collocati dopo i negri! Anche la Basilicata esportò medici, sacerdoti, braccianti, contadini e malavitosi. Tutt’ insieme presero quel treno in terza classe. La nave in terza classe. Entrambi simili a carri bestiame. Non da bestie ma da esseri umani era però la loro grande forza propulsiva: la speranza. Spesso in coppia con la disperazione: di non poter mangiare tutti i giorni, di lavorare a giornata quando il padrone voleva, di vivere in un tugurio generatore di malattie e in promiscuità, di sottostare ai soprusi dei ‘galantuomini’. Tutt’insieme avevano l’esigenza propria dello spirito e dell’essere umano: vivere una vita dignitosa. Negata in paese, in regione, in patria.
Ho nel mio archivio le 66 tavole statistiche del movimento migratorio della Basilicata dal 1879 al 1926 e dal 1946 al 1965. Le leggi e ti chiedi se le notizie contenute appartengano ad un altro pianeta: è incredibile il numero di persone partite da qui! Nella media dei nostri ex emigranti è dato però cogliere, in modo consolante, il “bagaglio umano posseduto, le competenze professionali acquisite, la percezione di margini di libertà concessi nelle scelte compiute, l’importanza della complessa dimensione del bisogno, l’attribuzione di significati al lavoro, alla famiglia, al desiderio di riqualificazione o formazione professionale, alla ricerca di relazioni sociali significative” (Bianco).
Fu dunque, quello migratorio, un fenomeno drammaticamente serio. Lo è ancora, nonostante la leggerezza con cui, di tanto in tanto, qualche ipocrita politico locale “scopre” la fuga dei giovani dalla Basilicata. Che il 30% di loro s’ iscriva ad una Università fuori regione non significa che il nostro Ateneo non abbia capacità attrattive ma soltanto che essi desiderano iscriversi a corsi di laurea che qui non ci sono. E’ pertanto malafede politica interpretare diversamente il dato.
Si pretende dall’Università della Basilicata, che in modo mirato gestisce i fondi per la ricerca, spesso annunciati e ancor più spesso rinviati, di supplire alle deficienze della politica regionale incapace di ottimizzare le risorse provenienti dal territorio, di creare nuovi posti di lavoro duraturo, ripeto duraturo, e via dicendo ma sicuramente molto capace di creare occasioni di fuga per i giovani. Io stesso, durante le mie lezioni, faccio presente agli studenti che questa terra non suscita la speranza. E’ pronta semmai a mortificarli se rifiutano di adeguarsi al sistema della mediocrità e della raccomandazione, strutturali della mentalità della classe politica regionale.
Che il “Patto con i giovani” sia stato un clamoroso fallimento per mancanza di idee progettuali
è pleonastico ripeterlo. Che “Culture il loco” abbiano confermato sfacciatamente l’atavica pratica clientelare e la conseguente ricaduta occupazionale deludente, è alla portata di tutti. Che i corsi di formazione siano stati un impressionante sperpero di danaro europeo è acclarato. Sono serviti a dare ai giovani un narcotizzante sussidio, alle società gestrici di non “viaggiare in treni di terza classe”, a diversi funzionari regionali di “miracolare” il proprio reddito, ai politici di rincorrere quell’ assessorato tanto pingue. Tutti lo sanno. Lo sa anche la magistratura. Ma tutti vivono felici e contenti. Ci sarebbero altre iniziative fallimentari di cui parlare. Ma basta. E’ pertanto malafede politica interpretare diversamente il dato.
Non emigrano soltanto laureati. Partono anche i diplomati. I generici. Rimangono quei figli che dal padre hanno assicurato l’avvenire. Rimangono quelli che sperano in una raccomandazione. Rimangono quegli altri senza né arte e né parte, consapevoli che qualche politico non farà mancar loro il cornetto giornaliero in cambio di devozione. Mi fermo qui.
Emigrante è… ogni giovane lucano che avverte l’esigenza propria dello spirito e dell’essere umano: vivere una vita dignitosa. Negata in Basilicata da una classe politica che non accetta di vedere davanti a se quel giovane senza la coppola in mano. Che essa abbia almeno il pudore di non cercare alibi! Ma i giovani, anche loro, sono poi davvero senza colpa?… (continua)
lunedì 13 luglio 2009
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