domenica 7 giugno 2009

DAVANTI AL SEGGIO


Ieri pomeriggio, mentre mi recavo al seggio elettorale, ho immaginato di vedere, posta dinanzi alla porta d’ingresso, la statua di una giovane donna in piedi con papaveri e spighe nella mano sinistra e la destra appoggiata ad una colonna. Col suo vestito verde simboleggiava la prima fioritura della primavera, che fa presagire il raccolto. Pensavo in realtà alla raffigurazione che i romani davano della Speranza, presente nella loro mitologia e viva nella loro quotidianità. La invocavano continuamente fino a quando non ottenevano ciò che speravano. Sono entrato nel seggio e ho votato con la speranza di…
Si vota, dunque. Si vota con la coscienza di farlo liberamente. Ed è un bene inestimabile che nessun “sultano televisivo” ci deve togliere. Si vota per non far vincere l’avversario. Ed è dialettica democratica. Si vota per solidarietà con una cordata politica. Non è lodevole, ma è pur sempre democrazia. Si vota chi promette molto e mantiene poco. E’ il gioco delle finzioni, figlie della libertà. Si vota per un candidato che riteniamo affidabile per la sua onestà. E’ masochismo perché, si sa, le anime belle non fanno fortuna nemmeno in politica. Si vota per chi ha rivestito di ideali le proprie ambizioni segrete. Ne siamo informati ma non vogliamo saperlo per un opportunismo di circostanza. Si vota per un candidato da cui ci perverrà sicuramente un qualche beneficio. Non lo diciamo perché tutti siamo figli delle necessità. Si vota un amico pur sapendo che non sarà eletto perché si è candidato per il solo piacere della visibilità. Perché non appagare la sua vanità? Anche questo in fondo è un voto di scambio. Si vota, comunque. E comunque venga motivato, il voto ha un comune denominatore: la speranza.
Il grande Norberto Bobbio, in un suo libro uscito postumo nel 2006, pone una domanda: “Non sarebbe ora di rinunciare alle grida di speranza o di disperazione dei profeti?” L’ interrogativo li per li suscita consenso. Ma si presta anche a qualche considerazione. E’ vero, oggi come oggi la politica non è più in grado di predicare “paradisi”. Altrettanto si dica delle ideologie, tutte finite nel cestino. Abbiamo dato ascolto alle grida dei profeti finanziari per poi scoprire che esse erano la negazione della speranza, le promotrici della disperazione. Tuttavia noi potremmo anche turarci le orecchie per non sentire le molteplici grida di questa società. Potremmo anche non ascoltare i profeti - ma poi esistono ancora i profeti? di sicuro esistono i falsi profeti –. Potremmo anche rifuggire dalla disperazione verso cui ci spingono tante delusioni. La speranza, però, non possiamo abbandonarla. Non possiamo non alimentarla. Certo, se ci affidiamo ai cosiddetti profeti politici (meglio dire falsi profeti mediatici), potremmo prendere la domanda retorica di Bobbio come un invito a smettere di affidare il nostro futuro agli altri.
La speranza ci è però necessaria perché ognuno di noi sa che essa è l’unico grande valore capace di alimentare le aspettative di una vita migliore. E allora la domanda del Grande Vecchio piemontese suona come una vibrante esortazione a costruire noi stessi, individualmente e in sintonia con gli altri, la nostra speranza. In che cosa?
Circoscriviamola alla Basilicata, dove viviamo in degrado, in povertà, in amarezza. E dico, non da solo, che in questa regione più che mai le realtà sociali esigono che si ponga in chiaro la “concretezza delle azioni politiche” da parte delle amministrazioni locali. Ne abbiamo tutti bisogno. Così voglio sperare.
I vincitori di queste elezioni amministrative, di qualunque colore essi siano, pensino a progetti ragionevoli e praticabili che abbiano sempre una motivazione ideale e una giustificazione etica largamente condivise. Renderebbero tali realtà più vive e pulsanti. E’ necessario per la salvezza dei paesi lucani. Così voglio sperare.
I nuovi amministratori cessino di farsi vedere corruttori politici e corrotti burocrati che mortificano la nostra intelligenza, feriscono la nostra sensibilità, segnano ancora di più il solco che divide “loro” da “noi”. La comunità civile locale ne ha bisogno. Così voglio sperare.
I poteri presenti sul territorio lucano debbono ripristinare il rigore morale dei padri fondatori della Costituzione. E’ un modo per non spingerci alla rassegnazione di vedere “evaporare” le tante inchieste giudiziarie e “neutralizzare” i molti avvisi di garanzia. Così voglio sperare.
Una sola speranza i nuovi amministratori NON debbono alimentare ma “soffocare”, la speranza che costringe molti giovani lucani cercare altrove condizioni capaci di dare dignità alla loro vita. Così voglio sperare.
“Non abbiate paura”, esortava Giovanni Paolo II. Essa deve valere soprattutto da domani per chiedere quotidianamente all’unisono e con forza a queste persone che oggi noi eleggiamo di aiutarci ad affrontare con energia e chiarezza le prospettive, pur se talvolta incerte, del futuro della nostra vita, della nostra città, della nostra terra.

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