
Per le strade di Potenza tu senti i cittadini domandarsi “Votiamo Santarsiero? Avremo cantieri per altri cinque anni!” – “Votiamo Molinari? Avremo cantieri per altri cinque anni!”. Allora la differenza dove sta? Non esiste, perché il primo ha già rapporti consolidati con certi gruppi di potere economico e decisionale, il secondo, per vincere, ha dovuto preventivamente scendere a patti con tali gruppi. Il cittadino sa pure che entrambi i candidati sono due facce della stessa medaglia. Entrambi non nascondono il loro tenace attaccamento al potere (è protervia?). Entrambi conoscono l’arroganza: dal primo esplicitata con sistematica superiorità – è un ingegnere! -, dal secondo mascherata da bonarietà contadina che tenta di avere un qualche significato. I cittadini continuano a domandarsi qualunquisticamente: “Ma chi arriva a quella poltrona ci arriverà per aggregazioni, agglutinazioni, ammiccamenti. E allora quanti appetiti dovrà soddisfare? Come siamo messi male!”
Non è peccato pensare che ogni eletto sarà un “mostro” (non in senso dispregiativo del temine) partorito dall’attuale voto, divenuto come Idra dalle mille teste. E’ sotto gli occhi di tutti che esso ha assunto ormai una nuova connotazione socio-politica: l’altro ieri si votava per il partito garante di un’ideologia; ieri per aggregazioni più o meno politiche; oggi si vota per famiglie, nel senso letterale del termine. Cioè: un candidato può sperare di vincere se ha una propria famiglia allargata e una cerchia di amici molto ampia. Mai come in queste elezioni il voto è un “porta a porta familiare”.
A nessuno interessa conoscere i programmi politici del candidato. Chiacchiere, le chiama il cittadino. Il candidato e l’elettore sanno bene che ormai è inutile accendere speranze. La presenza di un parente o di un amico in questa o talaltra lista elettorale è già un segno di garanzia. Garanzia di che? Garanzia di futuri favori personali. Che altro sennò?
In tale contesto di cultura socio-politica il clientelismo si rafforzerà nelle sue strutture e tenderà a divenire sempre più il vero centro, il nucleo vitale, del potere politico locale a danno della collettività (parola ormai fuori moda). Addio democrazia popolare a lungo sognata. E’ un ferro vecchio. Addio visione liberale di sviluppo e benessere sociale. E’ un ferro vecchio. Addio democrazia di giustizia e uguaglianza. E’ un ferro vecchio. C’è la dittatura del degrado. Devastante. Frenante. Ingiusta. Arrogante. Mortificante.
Questo è un ragionamento di carattere generale. Veniamo a quello particolare. Un tempo a scuola insegnavano Merceologia. Essa permetteva di conoscere quali fossero i prodotti di ciascuna regione utili alla sua economia. Si veniva a sapere così che in Basilicata un tozzo di pane e un bicchiere di vino nascevano dagli amari sudori dei cafoni, dal rischio meteorologico, dalle frane e smottamenti. Tutto era improntato alla penuria e alla sussistenza. Tempi lontani! Oggi, 2009, il principale prodotto merceologico della Basilicata è la politica. Un lucano si alza al mattino, si chiede se valga la pena faticare. Si risponde da solo: no! Si chiede se valga la pena avviare un’attività imprenditoriale senza il contributo regionale o statale a fondo perduto. Si risponde da solo: no! Si dà allora da fare con qualche politichicchio con ammiccamenti, piccole regalie, dichiarazioni di fedeltà per ottenere, ottenere, ottenere. Allora in 4.000 (quattromila) si sono posto la domanda: perché andare a chiedere, potrei essere io stesso ad elargire. Egli compra allora il gioco-dell’oca-amministrativo. Ammira le varie caselle in cui ci sono le immagini dei politichicchi intervallate da altre che mostrano vari trabocchetti e poi c’è l’immagine dell’Angelo Servile seduto in un angolo con il mento appoggiato al palmo della mano (sembra la famosa icona della Malinconia di Durer); e poi c’è quella di un Uomo in ginocchio davanti al re, Allegoria della Sottomissione; e poi c’è l’Allegoria della Prudenza rappresentata da tre facce maschili (sembra presa dall’omonima tela di Tiziano); e poi c’è un uomo claudicante, è l’ Allegoria del Servilismo, e via vedendo altre immagini dei restanti luoghi comuni sulla Basilicata, cari agli scontenti, ai frustrati, agli inacidici, ai polemici come me.
Dunque, in questa terra di appena cinquecentonovantamila abitanti, 4000 (quattromila) stanno intorno al gioco-dell’oca-amministrativo. Tutti interessati al BENE della regione! Tutti ad urlare sulle piazze, nei cinema, su internet, su face book: giù le mani dalla piazza che si vuole modificare! giù le mani dal ponte attrezzato! giù le mani dalla strada Oraziana! giù le mani dai Sassi! giù le mani dal petrolio! giù le mani…Dio mio, quante mani occupate a occupare quante cose! Però, ammettiamolo, nella finezza di cervello contadino, ché questa è la radice lucana, il candidato non dice mai ad alta voce “perché le mani ce le voglio mettere io”. Come si vede, ancora un po’ di pudore c’è! Tutto si fa in nome della sana democrazia? No, tutto è nel segno della brutale uniformità della dittatura del degrado.
Non è peccato pensare che ogni eletto sarà un “mostro” (non in senso dispregiativo del temine) partorito dall’attuale voto, divenuto come Idra dalle mille teste. E’ sotto gli occhi di tutti che esso ha assunto ormai una nuova connotazione socio-politica: l’altro ieri si votava per il partito garante di un’ideologia; ieri per aggregazioni più o meno politiche; oggi si vota per famiglie, nel senso letterale del termine. Cioè: un candidato può sperare di vincere se ha una propria famiglia allargata e una cerchia di amici molto ampia. Mai come in queste elezioni il voto è un “porta a porta familiare”.
A nessuno interessa conoscere i programmi politici del candidato. Chiacchiere, le chiama il cittadino. Il candidato e l’elettore sanno bene che ormai è inutile accendere speranze. La presenza di un parente o di un amico in questa o talaltra lista elettorale è già un segno di garanzia. Garanzia di che? Garanzia di futuri favori personali. Che altro sennò?
In tale contesto di cultura socio-politica il clientelismo si rafforzerà nelle sue strutture e tenderà a divenire sempre più il vero centro, il nucleo vitale, del potere politico locale a danno della collettività (parola ormai fuori moda). Addio democrazia popolare a lungo sognata. E’ un ferro vecchio. Addio visione liberale di sviluppo e benessere sociale. E’ un ferro vecchio. Addio democrazia di giustizia e uguaglianza. E’ un ferro vecchio. C’è la dittatura del degrado. Devastante. Frenante. Ingiusta. Arrogante. Mortificante.
Questo è un ragionamento di carattere generale. Veniamo a quello particolare. Un tempo a scuola insegnavano Merceologia. Essa permetteva di conoscere quali fossero i prodotti di ciascuna regione utili alla sua economia. Si veniva a sapere così che in Basilicata un tozzo di pane e un bicchiere di vino nascevano dagli amari sudori dei cafoni, dal rischio meteorologico, dalle frane e smottamenti. Tutto era improntato alla penuria e alla sussistenza. Tempi lontani! Oggi, 2009, il principale prodotto merceologico della Basilicata è la politica. Un lucano si alza al mattino, si chiede se valga la pena faticare. Si risponde da solo: no! Si chiede se valga la pena avviare un’attività imprenditoriale senza il contributo regionale o statale a fondo perduto. Si risponde da solo: no! Si dà allora da fare con qualche politichicchio con ammiccamenti, piccole regalie, dichiarazioni di fedeltà per ottenere, ottenere, ottenere. Allora in 4.000 (quattromila) si sono posto la domanda: perché andare a chiedere, potrei essere io stesso ad elargire. Egli compra allora il gioco-dell’oca-amministrativo. Ammira le varie caselle in cui ci sono le immagini dei politichicchi intervallate da altre che mostrano vari trabocchetti e poi c’è l’immagine dell’Angelo Servile seduto in un angolo con il mento appoggiato al palmo della mano (sembra la famosa icona della Malinconia di Durer); e poi c’è quella di un Uomo in ginocchio davanti al re, Allegoria della Sottomissione; e poi c’è l’Allegoria della Prudenza rappresentata da tre facce maschili (sembra presa dall’omonima tela di Tiziano); e poi c’è un uomo claudicante, è l’ Allegoria del Servilismo, e via vedendo altre immagini dei restanti luoghi comuni sulla Basilicata, cari agli scontenti, ai frustrati, agli inacidici, ai polemici come me.
Dunque, in questa terra di appena cinquecentonovantamila abitanti, 4000 (quattromila) stanno intorno al gioco-dell’oca-amministrativo. Tutti interessati al BENE della regione! Tutti ad urlare sulle piazze, nei cinema, su internet, su face book: giù le mani dalla piazza che si vuole modificare! giù le mani dal ponte attrezzato! giù le mani dalla strada Oraziana! giù le mani dai Sassi! giù le mani dal petrolio! giù le mani…Dio mio, quante mani occupate a occupare quante cose! Però, ammettiamolo, nella finezza di cervello contadino, ché questa è la radice lucana, il candidato non dice mai ad alta voce “perché le mani ce le voglio mettere io”. Come si vede, ancora un po’ di pudore c’è! Tutto si fa in nome della sana democrazia? No, tutto è nel segno della brutale uniformità della dittatura del degrado.
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