Non so da che parte cominciare, se da san Paolo o dalla filologia. Forse dal primo, visto che anche la Chiesa sta celebrando il bimillenario della sua nascita a Tarso (Turchia). Nato ebreo e, grazie al padre, ha il privilegio di godere la cittadinanza romana. La tradizione vuole che un giorno, mentre si recava a Damasco per indagare sui cristiani di quella città, fu accecato dalla luce solare. Le palpebre gli si ricoprirono di squame. L’iconografica occidentale ha interpretato questo momento in modo dinamico mostrandoci Paolo folgorato dalla luce (divina) e caduto da cavallo (celebre in tal senso il dipinto di Caravaggio). Quel che importa a noi è che egli si convertì e divenne l’”ideologo” del cristianesimo. Così è negli Atti degli Apostoli, capitolo 26.
Sul piano della filologia il verbo greco “strepho” fu usato per primo da Omero per indicare il girarsi, volgersi, cambiare direzione.Tale verbo descrive il movimento fisico del girarsi, oppure anche il moto spirituale del pensiero umano verso una persona o un oggetto. Omero diede poi anche il significato di cambiare, capovolgere, trasformare. L’Antico Testamento prende questo verbo, lo rinforza in “epistepho” aggiungendovi un nuovo significato: “conversione”. Lo nomina 1050 volte. Qui la conversione è descritta come allontanamento dal male. Chi rifiuta di convertirsi sarà colpito da punizioni, come la siccità, la prigionia, la distruzione, la morte. Chi invece si converte riceverà il condono della punizione, fecondità e prosperità.
Da allora sappiamo che la conversione presuppone ed implica un totale rivolgimento dell’esistenza umana sotto l’azione di una nuova idea. Pensando al passato, essa determina un sentimento di pentimento per un errore commesso, una colpa, una mancanza. Con la conversione avviene un cambiamento di signoria: l’uomo che fino ad allora era soggetto all’errore, ora entra sotto un nuovo “padrone”. L’uomo convertito dovrà servire il suo nuovo dio, e lui solo, in una spontanea dipendenza da lui.
Non siamo a Damasco e il sole non c’è. C’è però, nella Basilicata di questi tristi tempi, il fenomeno delle conversioni. Non a Dio (che già potrebbe essere un merito) e neppure al sole nascente dell’avvenire (=socialismo), ormai tristemente tramontato! Si convertono sindaci, assessori, consiglieri e altri. Cosicché la via di Damasco è un po’ affollata!
Ciascuno di noi si aspetterebbe di sapere se le conversioni che stanno avvenendo in sede locale si siano svolte, o si stiano svolgendo secondo i canoni della storia o della filologia. Di certo si sa che sono uomini nati meridionali, i quali, grazie ai loro padri vicini alla nostra memoria, hanno goduto finora i privilegi d’appartenenza a questa o a tal altra formazione politica di vecchio conio. Di certo si sa che non sono dotti ma uomini politicamente nulli e perciò soltanto legati alla tradizione del vantaggio personale e sordi ai bisogni della gente, immutati nel tempo. Ora hanno avuto la folgorazione! E senza cadere da cavallo, sono scesi comodamente da uno e saliti su un altro (spegnendo anche l’ispirazione dei pittori). Siccome non è richiesto loro di avere delle idee per il nuovo Partito, il quale di idee non ha bisogno perché in esso c’è uno che pensa per tutti…, e siccome sono anche (cristianamente) poveri di spirito, essi non possono affermare di essere stati spinti verso il loro nuovo leader da un moto spiritual-politico del loro pensiero …
Con la conversione avviene un cambiamento di signoria. Si ha insomma un nuovo “padrone”. D’altronde, se questi promette o lascia sperare trattamenti preferenziali che ormai il vecchio padrone ridottosi in abiti a brandelli non può più assicurare, allora perché non andare a prostrarsi davanti a lui? E sanno bene che si deve andare a lui con gli occhi ricoperti di squame e con l’accortezza (politica) di non togliersele mai.
Uno psicanalista potrebbe affermare che questi neoconvertiti sono alla ricerca di un padre. Io, più terra terra, dico che loro sono stati afferrati da una previsione (politica) drammatica proveniente dai cieli di Roma: chi rifiuta di convertirsi sarà colpito da severe punizioni, come l’esclusione dalla gestione dei fondi europei, dalla direzione clientelare delle AS (Aziende Sanitarie), esclusi dal fare progetti inutili propri dei GAL (Gruppi Azioni Locali), dallo spendere soldi in azioni non mirate delle Comunità Montane; saranno preventivamente eliminati dalla corsa a direttore generale di qualche ente (posti artificialmente creati non ne mancano), eccetera…
Allora: epistepho! epistepho! è il grido che si rincorre per le vie dei paesi, nelle aule di assemblee provinciali, nei consigli comunali e Dio sa in quanti altri luoghi istituzionali e non. Un povero cristo che non capisce questa parola e tutto ciò che c’è dietro si domanda terra terra: “Ma che succede, stanno cambiando casacca?” e nella rinnovata speranza di trarre qualche beneficio personale, a breve o a medio termine, da questi mini neocavalieri, si lascia colpire (anche lui!) dall’effetto-trascinamento. La storia politica del Sud unitario è serenamente abituata a questo.
Ma quel termine di Omero “stepho” lascia intravedere un ulteriore significato oltre quelli già detti: “cambiare direzione per tradire”. Basterà contarlo per 1050 volte? Tutto ciò sarà scritto negli Atti del Trasformismo, capitolo infinito.
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