domenica 26 ottobre 2008

POTERE LOCALE LOCALE


26.10.2008 - “Potere”. E’ forse tra la parole più odiate tra gli uomini, anche se solo da parte di coloro che lo ubiscono, non certamente da parte di quelli che lo esercitano. Ma questa parola oltre che un sostantivo (tutt’altro che astratto, anzi terribilmente concreto) è anche un verbo che significa “avere la possibilità di fare qualcosa”: ed allora, solo in questo caso, può rientrare tra i “valori morali”, in quanto possibilità di realizzare cose e realizzarsi senza ricorrere alle “prepotenze” del potere.
Questo principio mi viene in mente pensando che siamo nella stagione in cui molti Enti Locali stanno progettando i propri programmi culturali da realizzare a breve o a medio termine. E’ da ricordare che i problemi culturali connessi a tali Enti rispondono oggi più che mai ad una esigenza che si colloca nel quadro della vita morale, economica e politica della regione. Tale connessione si fa stretta in un momento, come l’attuale, in cui la crisi delle istituzioni sta raggiungendo livelli minimi e, inoltre, più difficile riesce anche la definizione dell’ identità di ciascun individuo.
Oggi anche la società lucana custodisce solo formalmente quasi tutti i valori e sicuramente non ne elabora dei nuovi. Vive della cultura informativa, intimidita dalla malversazione, dal clientelismo, dal rifiuto politico e nutrita da interessi corporativi e da silenzi conniventi. Un simile tessuto sociale sottopone gli individui alla difficoltà di costruire una nuova identità, alla creazione di nuove marginalità.
A livello centrale (intendo Regione) è quindi urgente elaborare una programmazione regionale mirata che, nel rispetto delle volontà periferiche (Comuni), promuova iniziative utili ad attenuare la d’identità regionale. Fuori però dalla retorica di un mondo contadino lucano visto come un Eden perduto. Fuori da aspetti di un compiaciuto levismo.
E’ dunque giunto il momento di cominciare a compiere uno sforzo di conoscenza comune e concertata per avviare la realizzazione di una effettiva partecipazione senza manipolazioni a fini politici; per instaurare la funzione di confronto dialettico permanente; per promuovere l’elaborazione di progetti finalizzati alla rifondazione della memoria collettiva, provocando anche il gusto della sperimentazione creativa, se necessario. In sostanza, ciascun ente – centrale e periferico – dovrebbe farsi “Ente di Cultura Vivente”.
Un suggerimento potrebbe consistere nell’avviare il processo di identificazione con l’immagine umana proprio del territorio, ricostruendone i segni e il complesso apparato simbolico. Non tralasciare poi di puntare alla riqualificazione delle radici e dei vissuti storici dei territori locali come segno della loro vitale energia.
So bene che spesso le iniziative promosse dagli Enti Locali autoctoni, soprattutto nell’ ultimo quindicennio, sono nate dalla domanda, apparentemente banale, nata sulla bocca degli amministratori: “che cosa fare del crescente tempo libero di cui dispone…il potenziale elettore?” Credo che i vari livelli amministrativi dovrebbero smettere di avere la pretesa di agire secondo una politica (o meglio, secondo un colore politico) mirata alla creazione di un’egemonia. Così operando essi creano limitate possibilità di scelte con conseguenti manifestazioni meccanicamente stereotipate ed ideologicamente unilaterali e quindi devastanti. La politica non è cultura, bensì è una categoria di essa e dove la prima esercita un’egemonia sulla seconda, quest’ultima risulta vivere solo nel suo cono d’ombra svalutando se stessa e l’essere umano che la vive. Se non si tiene presente questa distinzione, l’ “Ente di Cultura Vivente” diventa “Ente del Consenso Vivente”, utile ai presidenti e ai sindaci di turno. Non alla regione. Non alla mentalità.
Vi è poi un’altro compito dell’Ente Locale: non deve assorbire totalmente la funzione culturale. Questa deve essere condivisa con le associazioni capaci di rappresentare i vari interessi culturali avvertiti dalle comunità. Un’associazione è pur sempre un organismo di intermediazione tra l’Ente-Locale e l’individuo-beneficiario, da un lato. Dall’altro, la sua valorizzazione significa operare un reale allargamento della partecipazione dei cittadini. In conclusione ciascun Ente Locale di Basilicata deve praticare il pluralismo culturale, oggi in gran parte soltanto conclamato.
Certo, se il potere in uno dei suoi aspetti significa “avere la possibilità di fare qualcosa”, ebbene, lo faccia come “valore morale”, senza ricorrere alle prepotenze del potere stesso. Ricordi, inoltre, che la cultura non si riduce ad imposizioni ideologiche, mascherate o senza pietà. Ci possono essere momenti di asservimento al potere, ma, statisticamente, la cultura resta pur sempre un serbatoio di resistenza alle manipolazione e all’oppressione sotto tutte le sue forme. E questo perché essa è l’insieme delle attività che permettono di condividere le angosce e le speranze umane attraverso opere e produzioni comuni.
Foto di Gianni Santilio, Il dubbio, in Lucania, Milano 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Per passione ci occupiamo di patrimonio immateriale e sua salvaguardia, come strumento per favorire la diffusione della Cultura, che ci piace definire una qualità dell'uomo che gli consente di "migliorare l'esistente".

Oltre a questo, personalmente sono un grande ammiratore di Zygmunt Bauman, che da grande sociologo, qual è, ha affrontato anche il tema della Cultura, o meglio, della sua diffusione.

Partendo dalle sue tesi, ci siamo messi a ragionare sulla situazione italiana, ed ecco il risultato:

Ci sono diversi modi per favorire lo sviluppo culturale di una società o di una comunità, eccone alcuni:

Promuovere EVENTI e favorire l’accesso dei cittadini a tali eventi.

Promuovere ISTITUZIONI CULTURALI e favorire l’accesso dei cittadini a tali istituzioni.

Promuovere e favorire la PRODUZIONE CULTURALE e L’ESPRESSIONE CULTURALE DEI CITTADINI.

Nel primo caso, quello più di moda, l’effetto dovrebbe essere positivo tanto quanto le altre azioni, ma da qualche decennio si tende a promuovere soprattutto GRANDI EVENTI (mostre-spettacolo, enormi allestimenti, mega-festival, eventi-celebrità, ecc…) a scapito delle istituzioni culturali e della promozione della espressione culturale dei cittadini.

Il dato più grave è che sempre più spesso gli eventi si concepiscono in modo da “spaccare i botteghini”, ossia si tende a privilegiare l’impatto mediatico e la spettacolarità, alla qualità, al contenuto culturale e di servizio dell’evento stesso.

Insomma, per citare Bauman: “Oggi si tende a finanziare eventi “culturali” noti solo per la loro notorietà”

Gli EVENTI-CELEBRITÀ hanno l’enorme vantaggio di portare visibilità soprattutto a chi li promuove, ma ciò - in un periodo in cui si riducono drammaticamente i finanziamenti alla cultura – rischia di portare al margine delle politiche culturali tanto le Istituzioni Culturali quanto le iniziative di promozione della espressione culturale dei cittadini.

A ciò deve aggiungersi che i “grandi eventi” sono affidati – nella maggioranza dei casi - ad istituzioni con finalità di lucro, il che ne amplifica ancora di più il contenuto spettacolare e mediatico, più che culturale e di “servizio”.

In definitiva, quello che sta accadendo in Italia, secondo noi, è che si fa sempre meno cultura e sempre più intrattenimento, facendo passare questo per cultura.