– Stavamo seduti intorno al falò acceso dai contadini pellegrini sul sagrato del santuario montano. Le lingue di fuoco creavano ombre profonde sul volto di quell’ anziano parroco seduto accanto a me e come me seduto per terra. Con un fuscello smosse la brace per ravvivare il fuoco. Con voce sommessa volle concludere il nostro lungo colloquio iniziato nel pomeriggio, giù in paese: “Lasciami dire una cosa ma non ti dispiacere…Sei nato borghese, poi ha creduto di cambiare il mondo facendo il ’68, adesso sei un professore…” Sorrise ironico: “Mai convinto di ciò in cui credevi e mai mezze misure…, ora non sai che fare e vivi in solitudine…La solitudine dello spirito.…” Fissò il suo sguardo nel mio e aggiunse: “Come me.” Non mi sopresi a questa sua confessione pensando alle sue precedenti confidenze sul silenzio, la solitudine, l’incomprensione, la fatica che tante volte erano prevalse nella sua vita di prete e che, come spine, gli avevano lasciato il segno.
Volli essere cattivo: “Ci siamo arresi ad una stanza borghese in cui tenere tutto in ordine, pulire la polvere sulle piccole cose che l’arredano, mangiare, dormire, venerare i santi che ciascuno ha per sé.” Ebbe una occhiata furtiva verso la porta del santuario della sua Madonna Nera. “E’ sempre aperta”, disse e cavò dalla tasca la corona del rosario: “La nostra fede in Dio o… – esitò per un momento – o nella rivoluzione trova sempre meno aria da respirare e morire di asfissia è una brutta morte.” Il rosario nel cavo della sua mano era tenuto con la stessa amorosa attenzione con cui si trattiene un pugno di grano. I contadini pellegrini sedettero intorno al falò e con lui sussurrarono il rosario guardando spesso, sospirosi, verso quella porta sempre aperta…
….. successe tutto qualche decennio fa.

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