Depongo questo calice amaro e vado con il ricordo a Nino Rota. Un
ricordo doloroso, ma in una cornice diversa. Lui non era ebreo. Era
timido ma se ti fissava, il suo sguardo ti arrivava fin dentro le
midolla. Ci trovammo a cena in una bettola romana (ancora esistevano
allora) dalle parti del Colosseo. Me lo aveva presentato Vittorio,
un mio amico romano di sette generazioni e di gran cuore. Ancora più
di lui era sua madre, che si trovò a passare davanti a noi, seduti
al tavolino all'aperto – era d'estate -, assieme ad una donna dalla
bellezza sfiorita ma dal profilo da antico cammeo eburneo. Era Leda.
Notai sul suo braccio i numeri incisi. Lei mi fissò senza nascondere
quel braccio alla mia vista. Nino le sorrise. Quando seppe che lui
"era quello che faceva la musica dei film", disse
immediata: "A Ni', perché nun scrivi 'na bella musica per noi
che semo tornati? 'Na musica allegra però..Tanto, de pianti n'avemo già
fatto tanti!"
Lei era una delle poche persone sopravvissute alla retata romana del
16 ottobre del 1943. Allora era una ragazzina ma le SS l'avevano
messa nel mucchio e caricata sul treno per l'Austria. Era bastato un
solo treno merci con 1007 ebrei e 20 uomini di scorta. Lo avevano
spiombato a Mauthausen. A dare quest'ordine era stato lo stesso
Hitler, ("Quell' infame fijo de 'na mignotta", lo
apostrofò Leda). Lui non li volle mandare nei campi ai
lavori forzati, come gli aveva suggerito l'ambasciatore tedesco a
Roma, no, li aveva mandati direttamente nel campo
perché "gli ebrei italiani devono essere
immediatamente e totalmente eliminati". Così aveva telegrafato a Kappler, comandande della piazza di Roma
"Io sto' ancora qua, ah Ni',
sono viva e con dodici figli, alla faccia di quel trucido!" Nino
ed io temevamo che attaccasse la geremiade delle sofferenze subite.
Ma no, lei era una donna allegra. Vittorio la sollecitava a
dirci con quali mezzi viveva. Viveva con un po' di contrabbando di sigarette e
altri traffici al limite della legalità ma, ci teneva a dirlo, "io
so' 'na donna onesta", intendendo che non amava il commercio del
sesso. Il discorso continuò per qualche minuto. Lì, davanti a noi,
con quel numero macabro sul braccio, ci confermava di aver
ricominciato a vivere nel labirinto della vita con le sue speranze,
errori, dolori, sforzi, propositi e ancora nuove speranze. Ci
confermava di essere ancora se stessa. Anche se il silenzio di Dio
l'aveva insidiata.
Nino Rota le promise di comporre una
danza. Con repentino slancio lei baciò la sua fronte facendo
arrossire la sua timidezza. Arrivò la composizione: era l'omaggio ad
un essere vivente che aveva varcato la soglia dell'assurdo ed era
ritornata alla vita, (quel manoscritto l'ho donato al Museo della
Memoria).
A quello studente e a quelli come
lui voglio ricordare: quanto è orribile l'ignoranza spalmata di
miele!

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