domenica 24 gennaio 2010

LA VITA PER UN IDEALE

A Praga il diciannove gennaio del 1969 il ventunenne studente di filosofia Jan Palach mori. Aveva il corpo tragicamente ustionato. Il filmato che lo mostra nel letto d’ospedale dopo la tragedia, è stato finalmente reso pubblico due anni fa dopo essere rimasto per trentasette anni negli archivi segreti della polizia, quella stessa che aveva sistemata sotto il letto un registratore per fissare ogni parola che egli avesse detto.
E’ impressionante vederlo carbonizzato. E’ impressionato sentire la sua voce che risponde alla domande di una giornalista della TV ceca sul perché egli si fosse dato fuoco tre giorni prima in piazza San Venceslao, la principale della città. Con voce decisa Jan riconferma il suo amore per la libertà. Il suo amore per la dignità della persona.
Si era dato fuoco per richiamare l’attenzione del mondo sulla repressione attuata nel suo paese dai carri armati del Patto di Varsavia entrati in Cecoslovacchia il 20 agosto del 1968. Erano lì per reprimere il tentativo di creare un “socialismo dal volto umano”. Lo aveva iniziato a fare Alexander Dubcek, segretario generale del Partito Comunista Cecoslovacco. Egli voleva allentare la presa politica di Mosca sulla propria nazione ed introdurre nuove leggi che riducessero il potere autoritario del Partito. La sua politica riformatrice era stato chiamata “Primavera di Praga”.
Il 25 gennaio si svolsero i funerali di Jan, Lo seguirono in duecentomila. In silenzio. Il mondo intero guardò attonito a Praga in quei giorni.
L’anno dopo scrissi una piece teatrale partendo da una riflessione: l’opera di sacrificio compiuta da Jan Palach non andava considerata come un gesto individuale bensì come dramma della libertà collettiva. La dignità umana del popolo sottomesso, umiliato dall’aggressore, era stata riscattata dal sacrificio totale del giovane.
Nato come persona privata, egli si era bruciato dando al suo gesto il valore di simbolo universale. Ciò vuol dire che la sua morte lo aveva rivestito di una duplice personalità morale: quella di campione di libertà e di apostolo della dignità umana al cospetto del mondo.
La sua morte andava pertanto considerata come atto di mediazione ontologica tra il suo Spirito – in opposizione ad ogni condizionamento – e l’idea di Libertà – volta al bene comune.
Diedi alla ‘piece’ la forma di trittico in tre pannelli. Per caratterizzarla scelsi il paradigma dell’ azione liturgica compiuta da ogni sacerdote prima di celebrare il sacrificio della messa: la vestizione degli paramenti sacri per il rito. Sono indumenti dal valore simbolico. Per questo diedi alla piece il titolo de “La Vestizione”.
Jan nella piece indosserà un abito di colore bianco, il quale rinvia, sul piano liturgico, al significato simbolico della verità e dell’ innocenza priva di influssi e turbamenti propria dell’età delle origini e come meta ultima dell’uomo purificato.
La presentazione del lavoro avvenne a Venezia nel 1970 durante un Seminario sul tema “La tragedia del testo al palcoscenico” nel corso di aggiornamento per docenti di Scuole Medie Superiori. Venne poi ripresa nello “Studio di arti sceniche" in via della Lungara a Roma nel 1971.

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LA VESTIZIONE - [La scena è immersa nel buio. Si ode uno sferragliare di carri armati].
JAN [voce che si leva sui rumori]: “I nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione. E così abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta. Di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Ho avuto l'onore di estrarre il numero 1. E’ perciò mio il diritto di essere la prima torcia umana.” [ticchettio di un orologio]
SACERDOTE [appare al proscenio leggendo dalla Bibbia]: Un leone è balzato dalla tana, / un distruttore di nazioni si è mosso dalla sua dimora / per ridurre questa terra in desolazione. / Ecco, egli sale al pari delle nubi / e come un turbine sono i suoi carri, / i suoi uomini sono più veloci delle aquile. / Guai a noi che siamo perduti! / Gli assedianti vengono da una terra lontana, /tempeste di urla scagliano contro la città. / Come avidi orrendi custodi dei campi l’anno circondata. [pausa] / Le mie viscere, le mie viscere. Spasimano! / Le pareti del mio cuore. Tremano! / Il cuore mi batte forte, non riesce a tacere / perché ha udito un fragore di guerra. / Si annuncia rovina sopra rovina/ perché tutta la mia terra è devastata. / La nostra eredità è passata a stranieri, / le nostre case ad estranei. / La nostra acqua beviamo a prezzo d’argento. / Con un giogo sul nostro collo siamo inseguiti, / siamo sfiniti, non c’è requie per noi. / A prezzo della vita raccogliamo il nostro pane/ di fronte alla spada del potere. / Le mie viscere, le mie viscere. Spasimano!
[sipario: la scena è pervasa di luce bianca accecante; al centro c’è un tavolo-altare su cui c’è l’abito per la vestizione: pantaloni, giacca e camicia bianchi, una cravatta rossa, una bottiglia con; un bicchiere a forma di calice].
PRIMO PANNELLO - [la Donna, il Poeta reggono steso un lenzuolo rosso da bagno; dalla vasca da bagno esce Jan che viene avvolto dal lenzuolo]
DONNA [si avvinghia a Jan, disperata]: Jan! Jan!

JAN: Ieri ho assistito al tramonto. / Non è vero che il sole sia bello: / tra cortine di nebbia / lontanissime ma compatte e nere / moriva davvero / ed è stato un terribile supplizio.

DONNA: Ma dov’è il tuo amore inaudito per la terra? / Dove il tuo desiderio inebriato di vita? /
Perché ti consegni all’orrenda forza della morte? / E’ pazzia!

POETA: E’ una pazzia?... / Ma chi è colui che non affitta ai ragni il proprio cuore / quando sente gli intonaci piombare in schegge / sul dorso degli ultimi fiori?

JAN: [alla Donna]Tu credi che io non soffra a lasciarti? / Tu credi che io non ti ami? / Anche qui ed ora so che il ramo profondo delle tue braccia / sui tendini leggeri delle mie spalle / è pronto a fiorire come il volo di una rondine. / Ma qui ed ora tu devi cadere come sogno / che svanisce nel buio languore di interminabili gallerie. / Lo so: potrei amarti come il vento si sveglia sui fiumi, /
come il faggio chiude le braccia nella notte, / potrei amarti ancora con la grazia della tua fronte /
e della tua tristezza, ma tu lo sai: / un melograno di idee sta seppellendo il cuore.

DONNA: Allora solo il tuo nome, il tuo nome dovrà dare vita ai miei tramonti? / Solo il tuo nome, dovrà sfilacciare tristezze tra i rami di alloro? / Dell’alloro che crescerà sulla tua tomba? / Ami il mito di te stesso!
[Il dialogo va avanti tra i due: Lei attaccata alla vita, espressione stessa della vita, reclama il diritto di viverla con la persona amata. Lui, che ha visto le pietre marcire sotto il turbine dei carri armati spiega, in un monologo articolato, che la ragione della vita sta nella perfezione di un’idea quando essa viene conquistata]

SECONDO PANNELLO [vestizione” di Jan]
SACERDOTE [porge a Jan la camicia bianca]: Il Signore faccia di te una luce chiara / come questo indumento, affinché tu / mentre ti accingi ad immolarti, / possa godere l’onore eterno. /
Sei come colomba che fa il nido sul precipizio.

JAN: Vedo la città solitaria piena di popolo. / Piange di notte, non c’è chi la consoli. / Tutti i suoi amici l’hanno tradita / si sono dileguati come nebbia. / Le strade sono silenziose come a lutto,
i suoi nemici sono sicuri. / Essa è caduta in modo sorprendete / ed ora non c’è che la consoli.

POETA: L’invasore ha scavato una fosse alla nostra vita.

JAN: Ora è nostro l’affanno di una pena. / Grande, immensa, alta. / Grande come un sogno.
Feroce come le notti. / Vecchia e fredda come le pietre della nostra città.

SACERDOTE [porge a Jan la cravatta, rossa]: Prendi, ponila al collo, / il martirio, espresso dal colore, / acquisterà a te che accedi al sacrificio, / il ricordo sempiterno.

POETA: Offri in olocausto la nostra umanità / umiliata, avvilita, offesa.

SACERDOTE: La tua morte è vita vivificante / che Dio non può non accogliere. / Fu suicida Sansone, fu suicida Giuda / eppure le Scritture distinguono la loro morte.

POETA: Soltanto colui che della notte / conosce le ombre senza aver paura / può sollevare i veli della morte. / Soltanto colui che del giorno / conosce la luce gialla senza rimanere accecato / può aprire i suoi occhi ai misteri della morte.

SACERDOTE [porge a Jan la giacca bianca]: Eccoti completo nel tuo abito / come tunica di giocondità / e indumento di letizia.

POETA: Non senti il profumo del sole? / Il sole! Tanto grande da riempire tutto il buio dei tuoi occhi / con il giallo opaco dei suoi riflessi caldi. / Non senti la discrezione del silenzio che ti allontana / dall’agonia dei tramonti, / dalle corolle sfiorite che appassite / cadevano fredde nei riflessi della tua vita? / Tuo è l’ardire di scacciare il vecchio cavaliere / nero di luna e bianco di morte / venuto con mille trombe e senza argenti / per le vie della città / a scandire l’ angoscioso gocciolio di ombre orrende.

TERZO PANNELLO.
POETA: E’ tempo, devi aprire, / lasciare che il muschio pesante / entri piano nei tuoi occhi / nella tua bocca, nelle tue orecchie. / Entri nelle cose tue perché / l’alta torre quadrata distruttrice / si dissolva coi giorni già vecchi di tirannia.
[La Donna ha un ultimo sussulto d’amore per dissuadere Jan dal sacrificarsi. Jan le oppone le sue ragioni ideali. Poi va dietro il tavolo, versa il vino nella coppa e tenendola sollevata, recita con tono di orazione]

JAN: Cosa possiamo dire di un’epoca in cui un corpo brucia? / La nostra dignità è nella Libertà.
La nostra creatività è nello Spirito. / Il nostro fine è aprirci all’Uomo. / Ma che sarà di essi dove manchi la Libertà? / Ciascuno di noi ha ricevuto la vocazione ad amarla / perché in essa risiede il diritto ad essere uomini-umani, / perché essa nutre l’interesse verso la vita-vivificante. / Dove c’è libertà là c’è lo Spirito / che solo fa concepire, apprezzare, vivere / a ciascuno di noi la nostra origine e il nostro termine. / Libertà è capacità di pensare e di orientare. / Pensare fuori dal labirinto delle ideologie. / Orientare verso la solidarietà. / Nella Libertà la solidarietà ha ciò che la rende possibile. / Nella solidarietà la Libertà ha ciò che la rende operosa e la realizza. / Questi due principi rendono l’ uomo spirito vivificante.
[Segue il dialogo tra tutti i personaggi fino a quando Jan esce di scena seguito dal Sacerdote. La Donna si raccoglie in una posizione fetale. Sul tavolo-altare il Poetai accende una candela che brillando nel buio]

POETA: Addio, Jan Palach, schietto pupillo della dignità!/ La mala sagra della dittatura / non ti ha piegato alla mediocrità quotidiana. / La mala danza dei carri armati / ti ha dato un sogno d’amore / Lo abbiamo raccontato non per amor tuo / Ma per quell’amore che portiamo a noi stessi. / In un solco di fiori, cristallo puro / brucerà il tuo ricordo. / In giorni duri come la pietra e l’oro delle città. / In giorni come il mattino e i legni del mare / tornerai per vivere sull’onda / di tutta l’immensa pioggia dei ricordi / che lavano le nostre dimenticanze. / Noi pure scioglieremo questi netti risvegli/in un solco di fiori.

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