mercoledì 13 aprile 2022

SUCCEDE A BRERA

 
“Entrato nella saletta, subito una luce soffusa suscita la sensazione di essere in un luogo in cui non è ammesso neppure il rumore di un’ala di farfalla. L’atmosfera è stata creata dal regista Ermanno Olmi: ha collocato il quadro ad altezza di bacino d’uomo in modo che lo si possa guardare come si guarda dentro una bara. La bara non c’è, il morto si, ed è Cristo. Noto i volti dei due personaggi situati alla sua destra, Maria e Giovanni, ridottissimi. Fisso gli occhi su di Lui, non per devozione. Non vedo un Dio messo a morte. Vedo un uomo. Un uomo che ha vissuto tutto il dramma della sofferenza fino a morire in un modo atroce e vergognoso. Mi turba e decido di sottrarmi passando nella sala successiva. Sulla soglia mi fermo e mi rigiro a guardarlo ancora. E’ ipnotico. Torno indietro a calarmi ancora in quel silenzio. Credo che Mantegna abbia voluto che fossimo lasciati soli con quel corpo steso sul tavolaccio. Il volto di Cristo non ha la bellezza di un dio greco, non ha neppure la disperazione che la ribellione alla morte può generare. C’è serenità, raggiunta e composta, insolita nella morte. Umiliato fino all’estremo, Egli riesce ad attirare lo sguardo più ancora che se fosse dipinto pieno di gloria. Il pittore lo ha trattato come un qualsiasi uomo. Non bello. Non imbellettato come i potenti del suo tempo. Anzi, ha la faccia del povero perché tale era. Non piacente. Egli è stato attraente per la sua parola. Perciò i potenti non lo hanno sopportato.
Nel dipingerlo in questo modo Mantegna avrà pensato che per capire il dolore bisogna essere stati toccati dalla sofferenza… Forse sta qui il fascino della tela: scrutare quel corpo steso e lasciarsi toccare da un sentimento di intimità…che è un guardare con gli occhi del nostro profondo con le sue solitudini…Se lo si fa solo con quelli del corpo la sosta davanti a quell’immagine sarà breve.”  
 
(Pinacoteca di Brera - Milano)

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