Oggi, Pssqua, sulla Gazzetta del Mezzogiorno c'è il mio articolo “Identità affettiva nell’aumento delle processioni dei ‘misteri’”.
Anche in Basilicata durante questa settimana santa sono riprese le processioni dei “misteri”. Ne sono 13. Così pure le processioni penitenziali con la statua dell’Addolorata. Se ne contano 45. Ci sono quelle del Vulture, di cui qualcuna osannata a sproposito a fini turistici; altre tenute in sordina, come la suggestiva rappresentazione in bianco e nero di San Fele; alcune sfilano composte come a Ferrandina, Vaglio, Pisticci; e c’è anche quella “modello Mediaset” di Potenza.
Esse si svolgevano anche prima della pandemia, pur se in numero minore. L’attuale aumento non va scambiato da qualche fedele di eccessiva buona volontà come rinascita della religiosità popolare. In realtà con tanta apprensione che c’è in giro anche i lucani riconfermano il “bisogno di una identità affettiva”. Mi spiego: nella manifestazioni di questa settimana particolare il popolo lucano cerca la tradizione come risorsa affettiva contrapposta al qualunquismo, all’anonimato, alla mortificazione sociale e politica, all’ansia quotidiana. Ci sono i pendolari operai di Melfi, c’è l’immobilismo della politica regionale, ci sono le fabbriche che chiudono, ci cono giovani disoccupati e altri giovani che vanno via, ci sono i rassegnati.
C’è da riflettere: anche il lucano, immerso fino al collo nelle contraddizioni attuali, si è accorto di aver bisogno di tradizione. Non come rifugio – questo lo pensano i demolitori sociali – ma per confermare una identità che quelle contraddizioni gli hanno sbiadito, e spesso anche cancellato.
Questi poveri Cristi delle rappresentazioni che ripetono le cadute sotto il peso di croci di povertà. Queste Addolorate a ricordare le lacrime delle mamme coi figli drogati. Questi Pilati che ripetono il lavarsi le mani per non turbare lo status quo di sottomissione. Questi Giuda impossibili da evitare perché dal DNA rapido a riprodursi e annidarsi in molti rapporti sociali. Questi altri personaggi con barbe finte a ricordare la preferenza per i Barabba e l’ipocrisia del perbenismo. Tutti “questi” personaggi che ripropongono un dramma tanto decisivo per l’umanità, suscitano in ciascuno di noi più di una domanda: continuo a farmi svuotare l’anima dalle contraddizioni di questo territorio oppure debbo riappropriarmi di “qualcosa” di importante non ancora perduto? Torno a credere che la mia libertà non è nei rami ma nelle radici della mia genealogia di lucano? Domande del genere, anche se non pronunciate, vengono avvertite nell’ intimo del lucano, e sono esse a far partecipare e rivivere in prima persona il significato della tradizione capace di tenerlo legato “affettivamente” ancora di più alla sua terra. In questo sta, a mio parere, il valore delle manifestazioni popolari (ora della settimana santa, d’estate le sagre e le rievocazioni storiche): ritrovare “insieme” quel pezzo di identità affettiva capace di ridurre gli effetti delle contraddizioni e della desacralizzazione, entrambi tese a ridurci soltanto strumento di consumo consolatorio.
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