Ero ragazzino ma ancora ricordo quando un carabiniere arrivava in una casa contadina per informare che il giovane figlio soldato era morto in Russia.
Esplodeva il dolore: le bocche urlavano, le unghie graffiavano le guancia, i pugni tambureggiavano la testa. Subito la casa si riempiva di gente gemente. E chi non piangeva allora?
Noi ragazzini ci aggrappavamo alla gonna di mamma e di li spiavamo ad occhi spalancati e pieni di paura per quegli strazi. Il vicinato era lì a consolare. Ma come consolare una madre che aveva perso suo figlio, ucciso chissà dove? Che significava “in Russia”? Non era casa sua. E sentivi quella madre maledire per mille e mille anni chi lo aveva mandato a sparare altri figli di mamma in mezzo a quella neve che non finiva mai.
Cosa dire al padre che si raggomitolava in un angolo della casa per dire in silenzio che quel dolore era suo e che nessuno glie -ll doveva levare. Piegava il capo senza rialzarlo a lungo per soffocare il pianto che aveva in gola mentre soffiava a intervalli il nome di suo figlio morto e di Gesù Cristo, non per metterli insieme in una preghiera di pietà e di consolazione ma per confermare il suo amore per il primo e la sua rabbia contro il secondo, crudele, che lo aveva portato via…14-03.21
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