martedì 7 dicembre 2021

UCCISIONE DEL MAIALE

 

In Basilicata la più grande festa profana, forse anche un po’ pagana, è stata, per secoli, l’uccisione del maiale. Come dappertutto, era ammazzato in casa, dall’Immacolata (8 dicembre) a Natale o tra Natale e sant’Antonio abate (17 gennaio).
Per noi ragazzi quell’uccisione veniva vissuta come uno dei momenti più drammatici, dal punto di vista emotivo. Quando ficcavano il coltello in gola al porco, ci allontanavano oppure eravamo noi stessi a scappare fuori casa per non sentire quelle grida disperate, tragiche, per non vedere quei volenterosi “assassini” che, ficcato il coltello in gola, puntellavano con le ginocchia l’animale per tenere fermo quel corpo che sussultava per resistere alla morte.
Un pezzo di filetto, uno di polmone, un altro di fegato e una foglia di lauro avvolte “nda szippa” (nel vello bianco pleurico) Questo era il regalo da mandar agli amici più cari. Non mandarlo era un’offesa. Ma non accettarlo non solo era da scostumati ma anche di malaugurio.
Si sa, del maiale non si butta niente. I lucani sono stati bravi fin dall’antichità nel saper impiegare ogni sua parte. Ne parla Orazio, oltre al ghiottone Apicio in “De re conquinaria” (L' arte culinaria), il più importante libro di cucina scritto in latino.

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