Vorrei sentire la presenza della sua ombra accanto a me. Lei aveva sempre parlato con me e adesso ero io ad avere bisogno di parlare con lei. Ma lei era morta. Finita. Dissolta. Non stava da nessuna parte e quindi neppure accanto a me. Era inutile allora cercare di parlare con lei immaginando una sua vicinanza.
Mi rimane dentro e, in modo costante, almeno la contemplazione del suo viso così come per anni l’ho guardato, scrutato, accarezzato, baciato. Anche lei voleva che così la ricordassi e per questo si fece promettere da me che alla sua morte quel suo viso venisse coperto dalla maschera bianca da anni appesa alla spalliera del letto. Voleva essere ricordata con quella sua espressione tutta particolare che aveva sempre avuto da viva o forse voleva nascondermi l’orrore della morte che comunque avrebbe preso possesso dei suoi lineamenti a lungo amati.
Dopo la sua morte la mia solitudine fu a lungo reale. Non riuscivo a pensare ad un suo totale abbandono. Insistevo a convincere me stesso a sentirla accanto come un’ombra e se mi capitava di scorgere un’ombra su qualche muro o per strada la guardavo e mi rammaricavo di non vederla coincidere con la mia percezione ingannevole. Eppure, testardo, e “testardo di più”, come mi diceva lei, pensavo di sentirla maggiormente vicina a me in modo più pregnante, soprattutto quanto intenzionalmente riattraversavo le strade, i vicoli del paese, il bosco, il Fontanile di Barile e non rare erano le notti in cui mi svegliavo e tendevo l’orecchio a cogliere il più lieve scricchiolio di un tarlo nella speranza di avvertire la sua presenza impalpabile.….
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