MORI’ IL 9 OTTOBRE – Ma prima per noi liceali maturati un po’ speciali “giunse il giorno dell’”udienza del baciamano”, come la chiamavano. Fummo introdotti nell’ anticamera della saletta del trono: Pietro, Franco ed io, tirati a lucido. Anche il Padre-direttore faceva la sua bella figura col suo ampio ferraiolo nero lungo fino ai talloni. Oltrepassata la soglia ed entrati nella saletta, notai le due finestre coperte da spesse cortine che non permettevano alla luce naturale di entrare…. Un parato color avana chiaro rendeva eleganti le pareti su una delle quali pendeva una “Crocifissione” di pittore rinascimentale. Mi impressionò il silenzio segnato appena dal lieve scalpiccio dei privilegiati come noi ammessi all' udienza. Un monsignorino cerimoniere, alto e magro, in tonaca color cremisi e cremisi anche il suo ferraiolo, stava dritto in piedi a sinistra di Lui, assiso in tronetto, per sussurrargli di volta in volta il nome della persona ammessa alla sua augusta presenza…. Arrivò il nostro turno e lenti e silenziosi avanzammo. Il Padre-direttore si genuflesse a baciare l'anello piscatorio. Il Papa tirò indietro la propria destra all’ omaggio di quel suo vecchio amico e gli accennò un sorriso, corrisposto per cordialità. Bisbigliate poche parole, il Padre-direttore gli presentò Pietro. Genuflessosi, Pietro subito afferrò la mano inanellata e la baciò con devoto trasporto, forse un poco eccessivo, poi, invece di tornare alla sua posizione iniziale, si prostrò chinando profondamente il capo fino a sfiorargli un ginocchio. Il Padre-direttore bisbigliò al vecchio Amico sul soglio qualcosa non percepito da noi. Peccato! Chissà, forse gli avrà mormorato che il giovane voleva prendere l’abito francescano e non gesuita? Vedemmo il Pontefice posare la mano destra sul capo di Pietro, in silenzio, premerla un poco, ritirarla e accennare ad una benedizione. Pietro si alzò confuso in lacrime silenziose e rilucenti. […..]
Toccava a me. Il Padre-direttore questa volta non bisbigliò ma sussurrò più a lungo qualcosa a quell’ Uomo ancora silente sull’olocausto. Sospettai che gli stesse dicendo la mia “condizione di nato ebreo e battezzato cristiano”, studente in un liceo dei gesuiti. Drizzatosi, con un lieve cenno della mano destra egli mi invitò ad avvicinarmi al soglio. Sentivo di essere seguito dal suo sguardo. Volli inginocchiarmi anche se da dentro mi veniva un no. Ma lo feci, ‘oportet’, era opportuno... Dal suo trono a portata d'uomo, Pio XII ebbe un lieve sorriso e mi porse la mano destra tenendola però in modo obliquo e non in orizzontale, positura quest' ultima abituale per il baciamano. Gliela presi delicatamente con la mia sinistra in forma confidenziale. Egli intuì la mia intenzione di voler dire qualcosa e mi porse anche la sua sinistra. Presi pure questa suscitando sorpresa nel Padre-direttore, che riteneva ardito simile mio gesto. Notai quanto bianche e quanto diafane fossero quelle due mani nelle mie giovanili, sode e vigorose. Pio XII sussurrò due tre parole di apprezzamento per i miei studi, brillanti. Gli era stato riferito così. Ringraziai con un cenno del capo e mi protesi un poco in avanti per dirgli sottovoce: “Santità, abbiamo qualcosa in comune noi due.” Ci era stato raccomandato di non rivolgere per primi la parola al Papa, come da protocollo. Notai un lampo di scandalo negli occhi del monsignorino in tonaca cremisi, già pronto a farmi segno della fine dell’udienza. Ma la breve occhiata del Vestito di bianco e con mozzetta rossa ornata di ermellino, lo bloccò. Pio XII esitò un istante e più con l'acutezza dello sguardo che con la voce sommessa, chiese: “Che cosa?...'' (notai che evitò la parola a lui abituale, “figliuolo”). “La solitudine, Santità. Lei ha la solitudine del potere, io dell'orgoglio.” Protese il busto leggermente in avanti come a volermi parlare in confidenza, o in confessione, non so. Acuì il suo sguardo dritto nel mio, strinse appena le mie mani e sussurrò: “Ma io ho Dio con me.” Mi sentii sfrontato per chiedergli ancora: “Il Dio che assiste muto all’oscurità che si fa dentro di noi?” Ancora strette le sue mani dalle mie, Egli mi attirò a se con un tocco leggero come a voler confidare un segreto. Sentivo il suo alito sul mio viso nel dirmi nuove parole: “L’oscurità che ciascuno di noi può avvertire non è dentro di noi, così come crediamo o vogliamo far credere, e non è neppure nei nostri sensi, come ci piace credere. Quell’oscurità è quel vuoto…quel vuoto che si trova fra noi e Dio.” Il suo ripetere “quel vuoto” aveva reso il mio sguardo interrogativo. Egli lo colse subito e aggiunse, con tono severo questa volta: “Dio non ha bisogno di essere pensato da noi, ma di essere amato.” Drizzatosi col busto, stava per posare la destra sul mio capo ma la trattenne a mezz’aria. Ero pur sempre un ebreo per Lui? Avvertii una vampata in viso e un chiodo sulla mia lingua mentre nella testa mulinava la domanda che gli avrebbe voluto porre Nonna: “perché Dio ha taciuto e Tu pure?” Con mossa rapida cavai dalla tasca della giacca la stella di Davide e gliela porsi sussurrando: “E’ di mia nonna tornata da Dachau”. La prese con la sinistra, la guardò brevemente e la passò al monsignorino allibito. Mi drizzai tenendo fisso il mio sguardo nel suo. …”
(dal mio libro “La Stanza”)
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