Noi ragazzi senza dircelo, ma tacitamente, andavamo ad esaltarci in piazza alle parole del CANTASTORIE: apprendevamo avventure d’amore narrate con parole roboanti in rime baciate. I tabelloni dipinti naiff, mostravano uno dopo l’altro, in lenta sequenza, cavalieri erranti, signori partiti chissà per quale crociata e mogli inchiavardate con cinture di castità. Lupi mannari e streghe nemiche di giovani vergini tanto consumate dal desiderio d’amore da non riuscire a rimanere vergini… C’era l’uccello azzurro a melodiare e il cavallo verde a dissolvere ogni infelicità amorosa e a trasportare su nuvole caste fanciulle infelici ma dai seni pieni di palpiti. … Stavamo lì a commentare con sgomitate allusive vibranti malizia. Anche quelle cantate profane del sanguigno Cantastorie ci accendevano i desideri ed essi erano simili a scintille scoppiettate dai carboni accesi del nostro sesso nascente.
Mi è capitato giorni fa di trovarmi davanti un Cantastorie nella piazza di un paesino per la festa patronale (pur se ridotta al minimo). Cominciò a cantare storie di mafia, di malavitosi e altre storie truculenti. Dette con grazia, si, ma pur sempre violente. E mi ha sorpreso, relativamente, vedere i ragazzi sorridere a quelle storie, quasi con compatimento, come se fossero inverosimili, lontane nel tempo, tornare con gli occhi ai loro telefonini e andare via.
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