Se ne andò quel giorno di luglio, era il 23 del 1957. Timido in società, brillante in privato. Non amava l’opera lirica italiana. Non i preti. E neppure la Sicilia. Passava le mattinate nelle librerie di Palermo. Parlava francese , inglese, tedesco ma, come succede a tutti gli uomini, non conosceva una sillaba del linguaggio della Morte per dirle di non portarselo via ad appena sessant’anni. Spesi bene? Non so. So invece che non voleva fare lo scrittore. Leggeva molto, perfino in modo ossessivo, insaziabile, ma scriveva pochissimo. Motivo? Non si sentiva di essere uno scrittore. Era già in età avanzata quando vide un suo cugino, Lucio Piccolo, neppure tanto giovane, premiato e lodato da Montale per un volume di poesie. Allora disse a se stesso: “Con la certezza matematica di non essere più stupido, mi sono seduto alla scrivania e ho scritto un romanzo”. Terminatolo, confidò al suo unico allievo, Francesco Orlando: “Temo che sia una porcheria” (era una civetteria, sicuro). Tuttavia, sollecitato da alcune parti, lo inviò a più di un editore, inutilmente. Muore e il manoscritto finisce nelle mani di Giorgio Bassani che lo “impose” alla Feltrinelli. E fu un successo immediato. Al libro si aggiunse presto il film (1963) , favoloso, girato da Luchino Visconti.
Fu così de IL GATTOPARDO e deil suo autore, GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA
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