AVEVO QUINDICI ANNI. E già ero alto un metro e ottanta. E già mi sentivo forte come un cavallo. E già ero presuntuoso nell’insistere di voler scalare il palo della cuccagna. Non era per il prosciutto appeso in cima o per la salsiccia o per la bocca di vino. Era per dimostrare di essere forte! Agile! Tenace! Pieno di vita! Ma… non avevo l’età, tagliò corto uno degli organizzatori della festa. Insisto: mi tingo il viso di nero per non farmi riconoscere. Mi presi un vattene perentorio con parolaccia annessa. Allora, caparbio come un caprone, dissi sottovoce a quell’ organizzatore: “Facciamo metà per uno.” (intendevo del bottino). E lui immediato: “Se non te ne vai ti piglio a calci in culo.”
Ingenuo, non sapevo che per scalare il palo della cuccagna bisognava fare squadra con altri tre o quattro e concordare il tratto da salire che ciascuno avrebbe dovuto fare. Si, perché il palo era cosparso di grasso e faceva scivolare facilmente in giù. Ogni socio compiva l’ascesa buttando segatura sul palo in modo da creare una presa e non scivolare. Ciascun partecipante poteva “sgrassare” quattro-cinque metri al massimo. Era davvero molto faticoso tenere un braccio intorno al palo e l’altro a sgrassarlo con la segatura da prendere in una tracolla. L’ultimo, faceva un paio di metri e si beccava il malloppo, che poi divideva con la squadra, giustamente.
A pensare che io, come un allocco, volevo fare tutto da solo! Eppure mia Nonna mi aveva già detto che “NEL MONDO DA SOLI NON SI VA DA NESSUNA PARTE!.”
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