lunedì 27 gennaio 2020

QUEL TRENO PER MELFI




A volte avere qualche anno in più può servire a qualcosa. Io, per esempio, ricordo bene che settant’anni fa ci fu una partita di calcio  Rionero-Melfi.  Vinse il Melfi e, com’è naturale, la tifoseria melfitana percorse il tragitto campo sportivo-stazione ferroviaria,  non distante tra loro, osannando come un giorno delle palme, ma senza agitare simboli di pace bensì esibendo pugni chiusi (che niente avevano a che fare con un simbolo comunista di allora), parole minacciose, fischi, insulti non alla squadra perdente del Rionero ma ai Rioneresi, loro sempiterni antagonisti. Insulti pesanti indirizzati ai “morti di fame” che non davano da mangiare neppure ai loro giocatori! Insulti inaccettabili per i sensibili figli di Crocco! E infatti quei figli si recarono alla stazione ferroviaria quando già i tifosi melfitani avevano riempito la littorina (automotrice risalente all'epoca fascista) per Melfi. Festanti. I tifosi rioneresi, col sangue agli occhi per la sconfitta subita e per gli insulti ricevuti, assaltarono quella littorina  e …. la INCENDIARONO. Finestrini rotti a pedate, sportelli divelti  consentirono ai melfitani di scappare da quel rogo. Non ci fu nessun morto. Feriti, si. Non molti e non gravi. Fu chiamato di corsa il dottor Basalisco, medico condotto, con la casa li vicino, e le escoriazioni furono curate in sala d’ attesa con la contrarietà degli “irriducibili” locali, lì ad urlare: “(melfitano) “ardi vivo! ardi vivo!”  Arrivarono i carabinieri. Arrivò una nuova littorina per Melfi col suo carico di tifosi, alcuni ammaccati, altri arrabbiati, altri impauriti.  Il  prefetto di Potenza, creatura del ministro dell’interno Mario Scelba, mandò le sue brave camionette di celerini a presidiare entrambi le stazioni ferroviarie, di Rionero e di Melfi. Per una settimana, però. Non ricordo se furono adottati provvedimenti disciplinari  nei confronti delle due squadre. Ci fu qualche condanna per alcuni assalitori. L’entità della pena “per tentato omicidio” non l’ho conosciuta, ma so che i facinorosi stettero nel carcere di Melfi (ironia della sorte).
            Fu soltanto tifoseria? Assolutamente no. Fu semmai l’occasione per far esplodere  il reciproco  disprezzo alimentato  da secoli.*** Rionero era nata da una colonia di migranti albanesi nel Settecento poveri in canna, fuggiti da una Atella malarica, e con un territorio comunale risicato alle ultime case del paese. Non bastò un Giustino Fortunato a salvare la sua faccia. Ancora si vantava di un paesano che aveva dato filo da torcere ai piemontesi, Carmine Crocco. Ma ciò non bastava a mascherare l’ invidia per una città con un castello antico, una storia antica, un’economia di gran lungo migliore. Comunque era ricorrente  l’insulto  che però suscitava ilarità nel pronunciarlo: “melfitani a due porte” (in dialetto era molto efficace)  per indicare l’esistenza in ogni casa di due porte, una per far entrare il marito e l’altra per far uscire l’amante. Era un insulto pesante come un macigno, ma non ha mai creato vittime. Cose di paese di un tempo!  Certo, non si può non condividere l’indignazione espressa sulla rete in questi giorni: ”imbarbarimento dei rapporti umani”, “perdita di ogni valore” , “sospendere le partite almeno per un anno” “squalificare i campi”, eccetera. L’azione barbarica va comunque condannata senza esitazioni, senza mediazioni linguistiche o antropologiche o storiche. Anche se questo atto sciagurato  è figlio della cultura di oggi, ben lontana dai connotati di quella di settant’anni fa, esso va condannato per quel che è: sciagurato, barbarico, crudele. Perciò c’è da rimanere sbigottiti, e non per un giorno. Dal non cercare giustificazioni con  ricorsi al substrato culturale del passato. I tempi sono cambiati,. La cultura è cambiata. E preoccupa che dalla cultura del campanilismo di ieri si e passati alla cultura dell’odio di oggi. La cultura dell’odio! E’ soltanto nei tifosi?...





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