sabato 18 gennaio 2020

IL FUOCO DEGLI INIZI


                     
                                                               
E’ il 17 gennaio. Il sole ha fatto capolino dalle nuvole. Era stanco di stare nascosto per permettere alla neve di cadere in questi giorni d’inverno. Nella piazza di molti paesini lucani gli ultimi fuscelli secchi vanno ad avvolgere le basi della catasta di legno. Debbono aiutarla a prendere fuoco, subito. I tocchi di legna stanno uno sull’altro a formare una piramide, non per custodire un’eternità di vita, ma per far sprigionare  lunghe allegrie e furori spesso scortesi e già pronti a ripetersi per vari giorni per poi cessare, stanchi, in un martedì “grasso” e  finire tra le braccia della Quaresima, triste e penitente.   
L’altezza di quella piramide dipende da quanti tocchi di legna i ragazzi sono riusciti a mettere insieme bussando di casa in casa a questuare. Un tocco l’ha donato volentieri ogni contadino perché in casa ha l’asino, il maiale e qualche altro animale da proteggere dal malocchio e dalle malattie. Egli sa che c’è un Santo capace di fermare l’invidia degli uomini e la cattiveria del diavolo. E’ sant’ Antonio Abate. E’ proprio in suo onore che si accendono i fuochi in piazza. Si può dire di no a Lui,  che, per bocca dei ragazzi, chiede legna per scaldarsi un poco, abituato com’è stato a vivere nel caldo del deserto egiziano?                                                                                  
Anche il calzolaio, l’impagliatore di sedie, il fabbro-maniscalco, il falegname, il bottaio,  l’imbianchino, il sarto, l’arrotino e quegli altri con un mestiere tra le mani, hanno donato tocchi di legna per la piramide perché ciascuno di loro ha un qualche motivo, intimo o palese, per tenersi buono questo Santo eremita. Tutti sanno infatti che oltre agli animali Egli protegge gli uomini dalla malattia della pelle che porta il suo nome (il fuoco di sant’Antonio), tanto diffusa da queste parti, e da altre malattie infettive che si attaccano al corpo per distruggerlo.    
Ma… tutto questo appena detto succedeva in Basilicata fino agli anni Sessanta del Novecento. Adesso in ogni casa c’è la cucina a  gas. Non più a legna. I mestieri ricordati  sono  diventati rari e per questo preziosi. I pochi contadini esistenti  hanno il trattore, sicuramente più efficace dell’asino. E se ancora posseggono un animale da fatica, quando  viene colpito da una malattia  chiamano il veterinario  e non  più l’aiuto di sant’ Antonio  perché non credono più che a mandare quella malattia sia stato il diavolo.        
E allora? Adesso, oggi cioè, chi è che va a chiedere legna per la piramide di fuoco del 17 gennaio? Nessuno. La compra il Comune “per mantenere viva la tradizione”, afferma convinto il sindaco. Il quale, a braccetto con la Pro-Loco, organizza in un angolo della piazza, anche “l’assaggio degli antichi sapori” del paese con qualche piatto contadino (fatto con “strascinati” comprati al supermarket). Con salsicce “locali” alla brace (d’ importazione, le salsicce). Con bicchieri di plastica pieni di vino rosso a basso costo (servito freddo per attutirne la qualità scadente). Ha organizzato il ballo sulla piazza intorno alla piramide,  senza organetto e senza zampogna, per carità, è roba troppo vecchia. Meglio  con musica rock rumoreggiata da giovani talenti lucani.  E così la gente balla in piazza. E spilucca in piazza. E tracanna in piazza. Diventa stralunata in piazza. Bene! Deve andare così, è d’obbligo, perché da quella piramide di fuoco nasce vivo  il Carnevale.                                                                                                                                        
A notte consumata, il sindaco guarda la piazza vuota e gongola: ce ne è stata di gente in questo 17 gennaio! “Bene ha fatto l’Amministrazione”, conclude guardando un tizzone ancora acceso, ultimo testimone dello scialo di allegria.  Quel tizzone è simile a quell’altro che si spegnerà di li a qualche settimana. Avverrà in un “martedì grasso” e sarà  fatidico per Carnevale. Egli verrà letteralmente bruciato, altre volte impiccato, tra le risate sconce dei paesani in piazza. Brucerà sul rogo della finta vergogna, crudele, o con la corda al collo, tra alti lamenti tanto striduli e tanto falsi da far sganasciare di risate la gente, adesso riunita a sbeffeggiarlo con allegra ingratitudine.  Sono sberleffi e risate blasfemi perché irriconoscenti! Con Carnevale quella gente per giorni ha condiviso  l’esaltazione della vita alla rovescia. Ha goduto l’ingordigia della tavola. Ha annusato e consumato la lussuria, nel desiderio o nella realtà. Ha blaterato blasfemie  scandalizzando le anime morigerate e ipocritamente pie.                                                                                                    
E più di qualcuno tra quella  gente il giorno dopo  andrà in chiesa  a ricevere sul capo un pizzico di cenere, terribile nulla del fuoco col quale anche la realtà carnevalesca è stata annientata. Ciascuno però  conserva nella mente la certezza che l’anno prossimo Egli, Carnevale, risorgerà dalle proprie ceneri per tornare a far ridere.                                                                                                                                                            
Infatti da secoli Egli sa bene che le fiamme del fuoco lo ridurranno in cenere, ma sa anche che risorgerà, perché questo della morte e della resurrezione è proprio del ciclo della natura, da sempre. Non dell’uomo. Il quale conosce  soltanto la prima, la morte, e mai l’ altra, la resurrezione. Il Carnevale serve a distrarlo dalla Morte, pur se per poco. Perciò Egli risorge  ogni anno. Non per merito divino ma per volontà umana. E’ una resurrezione laica, ma preziosa. Necessaria. 
Oggi i ragazzi in piazza  ammirano il falò a forma di piramide messa su con la legna del Comune. Per caso vengono a sapere che essa brucia in onore di quel Vecchio con la  barba e il maialino ai suoi piedi. Da dove Egli provenga e  cosa rappresenti a loro non interessa. Bevono  in abbondanza. Ballano per  lo sfinimento. Fanno con quella piramide un selfie. Lo  postano poi sulla rete per confermare agli amici, ai compagni, ai parenti, ai paesani, a tutto il mondo che in quella piazza del paesino lucano loro c’erano. Certo che c’erano! Stavano lì  come spettatori., anzi no, è meglio  dire da  “protagonisti dell’inizio del meraviglioso  Carnevale lucano”.  Che per loro non è promessa di allegria, ma è già  allegria. Soltanto allegria.

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