ERA DI LUGLIO e avevo 16 anni quando comprai il primo libro
con i miei soldi.
Mi mostrò il catalogo illustrato un rappresentante, quasi
per scherzo, perché sapeva che io ragazzo non avrei potuto acquistare uno dei
suoi libri costosi, ben stampati, ben rilegati e di grande formato. Ma subito
affissai la copertina: l’immagine mostrava due scarpe da contadino sul
pavimento, a riposare. Stupenda.
Firmai il contrattino sicuro di poter pagare con la paghetta
settimanale e con l’aiutino, sottobanco, di nonna (che controfirmò a mia
insaputa). Ebbi il libro con le sue 50 tavole e un testo splendido di Meyer Shapiro.
E così scoprii il mondo di Vincent VAN GOGH: il fervore della sua anima e della sua
intelligenza, il suo bruciante sogno di artista che non aveva conforto da
nessuno, se non dal fratello Theo, al quale un giorno aveva scritto: “Benché
sia nella miseria, mi lascio andare a sogni di stelle troppo grandi.”
Ancora sfoglio quel ‘librone’ perché ancora amo Vincent,
intensamente.
Morì suicida in un giorno di luglio, il 29 del 1890.
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