Erano le 11 di quel 15 aprile 1967 ed era nuvolo a Roma quando ricevetti una telefonata da Mario Castellani, la ‘spalla’ storica di Totò, per dirmi che il Principe era morto. Avevo con lui l’appuntamento alle 15 nella sua casa ai Parioli per il sesto registrare il racconto della sua vita. Volevo scrivere la sua biografia. ‘Mi scusi, ma perché lei vuol farsi male da solo?’ mi apostrofò fra il serio e il faceto il primo giorno che mi ricevette nel suo salotto – sobrio e con un pianoforte a mezza coda – dopo che gli avevo parlato del mio proposito. Era d’accordo anche Rizzoli per pubblicarla. ‘Già, ora sono sdoganato…’ commentò fra se e se, riferendosi a Pasolini e a ‘Uccellacci e uccellini’, da poco nelle sale, e alla puzza sotto il naso con cui la critica di sinistra lo sberleffava da sempre. Di questo ne avevamo già abbondantemente parlato sei mesi prima nella lunga intervista fatta per “La Rivista del Cinematografo”, subito ripresa e tradotta dalla prestigiosa “Cahiers du Cinèmà” parigina. A lui era piaciuta molto e perciò mi ricevette subito quando gli chiesi il secondo appuntamento. Credeva che fosse per un’altra intervista tant’è che affermò di avermi già detto tutto. ‘Eh no, caro principe, non basta per una biografia’. ‘Lei è così giovane e già ha idee strane’. - ‘Se non si è po’ folli non si fa niente nella vita’ replicai divertito a quel suo apostrofarmi con garbo davvero ‘principesco’. Sorrise porgendomi la tazza del caffè e scusandosi con ironia ‘non si aspetti un caffè napoletano, la donna è romana e non capisce molto di caffè e né vuole imparare, questo è il dramma’ e tirò fuori un comico sospiro di rassegnazione. Si riferiva alla collaboratrice domestica – una donna dal fisico sodo a tutto tondo e viso gradevole - che ci aveva portato il vassoio con caffè e due pezzi di torta. ‘Ne prenda un’altra, magari una napoletana’ , azzardai credendo di dargli un suggerimento. Lui mi fissò con volto serio: ‘Lei crede che sia facile licenziare una donna con due bambini da mantenere?’, un fremito di disagio mi percorse la schiena: avevo abusato della sua familiarità. Lui se ne accorse e disse ‘stiamo tranquilli, possiamo anche vivere senza caffè alla napoletana’ e ci fece su una risata, anzi ci facemmo su una risata. Ebbi l’ardire di chiedere: ‘Principe, se vuole aiutarmi a fare bene deve parlarmi come se fosse nel confessionale’. Indicandomi con la mano inanellata un pezzo di torta, rifiutata: ‘veramente!, vuole che mi metta in ginocchio?’ Ed io con la mia impudenza, a quel tempo ne avevo: ‘metaforicamente si’. Avviai il registratore e la sua voce sommessa prese con la narrazione fin dal concepimento. Quando gli scappava, provocato, qualche giudizio tagliente su questo o talaltro personaggio dello spettacolo copriva con le mani il microfono giustificando con un sorriso e sopracciglia alzate ‘lasciamo stare!’, quel giudizio doveva rimanere tra noi, questa era la tacita intesa.

Quel 15 di aprile
gli anni gli si erano fermati sugli occhi. Chiusi a lungo i miei
per non piangere.
Ho gioito alla
notizia del conferimento della laurea honoris causa alla memoria conferitagli
dall’Ateneo napoletano.
P.S. – I nastri
li ho ceduti alla RAI di Roma
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