Per il 27 gennaio --- A CASA - ….”Franco arrivò a precipizio gridando
‘arriva! arriva!’ E mamma, ‘chi arriva?’ Capii subito e scattai dalla poltrona e mi stoppai
spaventato: sulla soglia era apparso uno
scheletro vestito di nero sbiadito. Lo seguiva una gioiosa voce nunziante: “E’
tornata la signora, è tornata” Nonna, era
nonna quello scheletro! Mi abbarbicai alla sua vita cieco di lacrime. Lei non piangeva. Non mi staccai da lei neppure
quando l’abbracciò sua figlia e gli altri nipoti. Tutti a toccarla, come si fa
con una reliquia, e a ripetere mille volte il suo nome e a piangere di
allegrezza. Lei non piangeva. Notai che lo sguardo le si era appannato. Mi
staccò da lei con delicatezza e pose una mano sulla testa: un brivido corse
nelle midolla. Benché ridotta a
scheletro, manteneva dritta la schiena, forse per il suo naturale orgoglio. La
voce però aveva perso in limpidezza e usciva arrochita. Cosa le avevano fatto?
Le accarezzai il viso. Afferrò la mia mano e ne baciò il palmo. Teneva il capo
coperto da un fazzoletto, insolito. Le cinsi di nuovo la vita e posai la testa sul suo petto: era diventato
appiattito, lo ricordavo soffice anche se non molto pieno. Il collo appariva
segnato da profondi solchi orizzontali sovrapposti; più su una sottile ragnatela
di rughe copriva tutto il volto, quel volto sempre baciato e sempre amato. Cosa
le avevano fatto?
--- A sera andai a sedermi sul bordo del letto, il suo, come d’
abitudine. La fissai: attribuii l’estremo pallore del volto e l’incavatura
delle guancia alla fatica del viaggio – un luogo viaggio, aveva detto lei - iniziato da un paesino a venti chilometri da Monaco
di Baviera. Ancora teneva in testa il fazzoletto, come fa un’ebrea durante lo shabbat, secondo la richiesta di Jahwè
di presentarsi a Lui a capo coperto. Com’era mai possibile tutto ciò, non glielo
avevo mai visto prima. Sapevo da sempre della sua miscredenza, ferma, granitica.
Volevo chiederle se era stato quel juncker
Oberleutnant , il maledetto tenentino nazista che frequentava casa, a portarla in quel paesino della Baviera, ma
non volli turbarla, in verità mi mancò il coraggio. Fu lei a porre a me una
domanda la sera successiva seduta sul bordo del letto, il mio. Teneva un’ espressione
sommessa: “Perché ha taciuto?”
---
Credetti che si riferisse allo juncker , il tedescaccio responsabile di tutto quanto, invece no. Mi
accarezzò gli occhi, come faceva tutte le sere, e aggiunse: “Quello di
lassù…” Allora capii che si riferiva a Jahwè, mai amato da lei e
che mi aveva insegnato a non amarlo. Dove era finita la sua miscredenza? Perché
mi stava davanti tenendo l’indice fra le pagine del Talmud e a ripetere quel
suo ‘perché” che non capivo? Sussurrò una nuova domanda: “Ma li perdonerà?” Si riferiva alla
bontà di Dio di perdonare i nazisti. “Se lo facesse, non sarebbe giusto”,
concluse. Rimasi a scrutarla in
silenzio, esterrefatto senza darlo a vedere: allora quel fazzoletto in testa stava davvero a significare che adesso lei credeva in Dio e che
a Lui chiedeva vendetta? Cosa le era successo in quel paesino vicino Monaco?
Cosa le avevano fatto? Pose l’indice sulle mie labbra per fermare la petulante insistenza di ragazzo. Diede una
sola risposta dicendo finalmente che quel paesino si chiamava… s’interruppe, si
coprì gli occhi con una mano e soffiò: “Dachau”.
da “I
quaderni di Mahler”, dal cap. IV, in
corso di stampa..
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