giovedì 26 gennaio 2017

RITORNO DA DACHAU

       

 Per il 27 gennaio --- A  CASA -  ….”Franco arrivò a precipizio gridando ‘arriva!  arriva!’  E mamma, ‘chi arriva?’  Capii subito e scattai dalla poltrona e mi stoppai spaventato:  sulla soglia era apparso uno scheletro vestito di nero sbiadito. Lo seguiva una gioiosa voce nunziante: “E’ tornata la signora,  è tornata” Nonna, era nonna quello scheletro! Mi abbarbicai alla sua vita cieco di lacrime.  Lei non piangeva. Non mi staccai da lei neppure quando l’abbracciò sua figlia e gli altri nipoti. Tutti a toccarla, come si fa con una reliquia, e a ripetere mille volte il suo nome e a piangere di allegrezza. Lei non piangeva. Notai che lo sguardo le si era appannato. Mi staccò da lei con delicatezza e pose una mano sulla testa: un brivido corse nelle  midolla. Benché ridotta a scheletro, manteneva dritta la schiena, forse per il suo naturale orgoglio. La voce però aveva perso in limpidezza e usciva arrochita. Cosa le avevano fatto? Le accarezzai il viso. Afferrò la mia mano e ne baciò il palmo. Teneva il capo coperto da un fazzoletto, insolito. Le cinsi di nuovo la vita e posai  la testa sul suo petto: era diventato appiattito, lo ricordavo soffice anche se non molto pieno. Il collo appariva segnato da profondi solchi orizzontali sovrapposti; più su una sottile ragnatela di rughe copriva tutto il volto, quel volto sempre baciato e sempre amato. Cosa le avevano fatto?                                                                                                                                                         --- A sera andai a sedermi sul bordo del letto, il suo, come d’ abitudine. La fissai: attribuii l’estremo pallore del volto e l’incavatura delle guancia  alla fatica del  viaggio – un luogo viaggio,  aveva detto lei -  iniziato da un paesino a venti chilometri da Monaco di Baviera. Ancora teneva  in testa  il fazzoletto, come fa un’ebrea durante lo shabbat, secondo la richiesta di Jahwè di presentarsi a Lui a capo coperto.  Com’era mai possibile tutto ciò, non glielo avevo mai visto prima. Sapevo da sempre della sua miscredenza, ferma, granitica. Volevo chiederle se era stato quel juncker Oberleutnant , il maledetto tenentino nazista che frequentava casa,  a portarla in quel paesino della Baviera, ma non volli turbarla, in verità mi mancò il coraggio. Fu lei a porre a me una domanda la sera successiva seduta sul bordo del letto, il mio. Teneva un’ espressione sommessa: “Perché ha taciuto?”                                                                                                                                       --- Credetti che si riferisse  allo juncker , il tedescaccio  responsabile di tutto quanto, invece no. Mi accarezzò gli occhi, come faceva tutte le sere, e aggiunse: “Quello di lassù…”  Allora capii  che si riferiva a Jahwè, mai amato da lei e che mi aveva insegnato a non amarlo. Dove era finita la sua miscredenza? Perché mi stava davanti tenendo l’indice fra le pagine del Talmud e a ripetere quel suo ‘perché” che non capivo?  Sussurrò  una nuova  domanda: “Ma li perdonerà?” Si riferiva alla bontà di Dio di perdonare i nazisti. “Se lo facesse, non sarebbe giusto”, concluse.  Rimasi a scrutarla in silenzio, esterrefatto senza darlo a vedere: allora quel  fazzoletto in testa stava davvero  a significare che adesso lei credeva in Dio e che a Lui chiedeva vendetta? Cosa le era successo in quel paesino vicino Monaco? Cosa le avevano fatto? Pose l’indice sulle mie labbra per fermare  la petulante insistenza di ragazzo. Diede una sola risposta dicendo finalmente che quel paesino si chiamava… s’interruppe, si coprì gli occhi con una mano e soffiò: “Dachau”.
da “I quaderni di Mahler”,  dal cap. IV, in corso di stampa..

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